A un certo punto c’era il salvatore della patria, Mario Monti, osannato da tutti i media e appoggiato da quasi tutto il parlamento che ha votato senza battere ciglio una serie di “riforme che ci chiede l’Europa”, che alla domanda “Qual è la manifestazione più completa del grande successo dell’Euro?” rispose  “La Grecia”.

La Grecia dopo quattro anni il salvataggio della Troika (Banca Europea, Commissione Europea e Fondo Monetario) è ancora in recessione, ha un tasso di disoccupazione del 27% che sale al 55% per i giovani, ha sofferto un abbassamento del PIL del 20% e il 30% della sua popolazione vive sotto il livello di povertà dell’Unione Europea. Forse non a caso il partito dell’ex salvatore della patria ha raggiunto lo 0,7% alle ultime elezioni, rendendo automaticamente smemorati tutti gli adulatori di ieri.

Le conseguenze per l’università sono chiaramente terrificanti. Dal 2010 non ci sono stati nuovi reclutamenti, il personale docente invecchia e si riduce e molti corsi fondamentali sono stati tagliati col relativo degrado della qualità dell’istruzione avanzata e della ricerca scientifica.  Questa situazione ha comportato una perdita di fondi alla ricerca sia nazionali sia internazionali e una vera e propria emorragia di giovani ricercatori. Il finanziamento alle università è diminuito del 50%: ad esempio il budget dell’università di Atene è passato dai 40 milioni del 2009 ai 14 del 2012 e quello dei centri di ricerca da 80 milioni a 36 milioni nello stesso arco di tempo. Questo calo drastico di risorse è avvenuto in un sistema che già era in sofferenza. Evapora così ogni residua speranza non solo per le giovani generazioni ma per il paese stesso di riprendersi da una crisi devastante.

L’Italia sta seguendo la stessa traiettoria. Dal 2009 a oggi il finanziamento per l’università è calato del 20%, i fondi per progetti di ricerca sono stati azzerati, il reclutamento è diminuito del 90%: chi ci rimette di più sono i sempre i più deboli ovvero gli studenti e i giovani ricercatori. Così mentre chi dirige l’accademia al massimo si scalda per una bella discussione sul sistema di reclutamento ideale, che a quanto pare non è quello introdotto dalla riforma epocale del Ministro Gelmini pur approvato tra gli applausi generali, l’Italia sta rincorrendo la Grecia verso l’incubo del fallimento del proprio futuro.

(Pubblicato su Il Fatto Quotidiano)

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13 Commenti

  1. The Lancet ha recentemente pubblicato un articolo sugli effetti dell’austerità sulla salute in Grecia. La conclusione è che se gli effetti negativi dell’austerità e delle “riforme strutturali” sull’economia sono stati valutati in modo errato, I COSTI SOCIALI SONO STATI INVECE DEL TUTTO IGNORATI, con effetti dannosi sul popolo greco. Costi che finora sono stati negati dalle istituzioni.

    Ecco alcuni numeri. Dopo 40 anni è riapparsa la malaria. Il 70% dei partecipanti ad un sondaggio ha dichiarato di non avere sufficiente denaro per comprare le medicine. I suicidi sono aumentati del 45%. I neonati sottopeso sono aumentati del 19% mentre i bambini nati morti sono incrementati del 21%.

    Per maggiori dettagli si rimanda all’articolo:

    Greece’s Health Crisis: from austerity to denialism – Lancet 2014; vol.383, issue 9918: 748-53, February 2014
    (http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(13)62291-6/abstract)

  2. Mi pare che il declino del sistema universitario sia iniziato da parecchio tempo, anche se certamente la riforma Gelmini e’ stata un grosso passo avanti in quella direzione. In Italia le maggiori responsabilità’ non le ha l’Europa che sulla materia non ci ha mai chiesto di disinvestire, ma la subalternita’ della politica italiana rispetto al sistema lobbistico rappresentato in modo simbolico da Confindustria/Corriere/Sole24ore/Repubblica. La destra Berlusconiana non ha mai avuto alcuna idea di cosa fare in materia di università’ tanto che la riforma Gelmini e’ stata materialmente scritta da altri. Ma il pensiero dominante anche a sinistra e’ che l’università’ pubblica sia non riformabile, che sia un sistema totalmente corrotto e familistico, idea poi veicolata da alcune penne eccellenti (molto ben retribuite) sul Corriere e su Repubblica. Aspetto ancora un articolo dei grandi moralizzatori Stella e Rizzo che si occupi della gestione Telecom di Tronchetti Provera. Ricordo invece di aver letto casualmente nel 2006 di un incontro organizzato (come sempre a porte chiuse) da Aspen Italia sull’ università, subito dopo un convegno presso Confindustria (con ancora Montezemolo presidente) in cui l’allora Ministro Mussi si esibi’ dicendo che l’ università’ italiana “e’ un casino” e che porto’ il governo Prodi a fare una finanziaria da 30 miliardi, motivata dal finanziamento per laq ricerca. Questo vide svariati miliardi andare alla ricerca industriale per risultati che nessuno ha mai visto e contemporaneamente, nonostante tante chicchere, un taglio di fondi alle università. I modelli positivi erano ovviamente IIT di Genova e Bocconi, tutto il resto spazzatura. Il progetto di demolire la ricerca scientifica di base e lo sviluppo di saperi indipendenti, non viene dall’ unione europea, che al più e’ solo un taxi, ma trova invece molti autori in casa nostra e altri autori in organizzazioni internazionali trasversali in cui il citato (da FSL) Mario Monti ha avuto anche ruoli dirigenti.
    A riprova di cio’ basta vedere le appartenenze e i comportamenti di molti economisti “paludati”.

    • Sono d’accordo che l’opera di distruzione dell’università è stata progettata ed è iniziata prima delle crisi economica e dunque non era ancora l’epoca del “ce lo chiede l’Europa”. Solo che ora il “ce lo chiede l’Europa” è diventato un alibi di ferro che sta trascinando l’accademia italiana, così come tutto quello connesso R&S, in una crisi irreversibile. In questo il Partito Democratico ha responsabilità enormi a mio parere anche più grandi di quelle di chi ha in mano le leve del comando.

    • In realta’ il PD come tutti gli altri partiti non ha uno straccio di politica propria. Seuno vuole sapere quello che dira’ il PD basta leggersi Corriere/Repubblica/Sole24ore e miscelare a caso. Mi pare che le questioni universitarie non siano molto nelle corde di nessuna forza politica. L’area SEL Rifondazione non va oltre il riciclo di parole d’ordine vecchie di 50 anni. M5S nei suoi programmi scrive piccoli collage di frasi fatte, con aperture di credito a personaggi in cerca d’autore. Quanto alla destra direi che non va molto oltre E-campus e altre “eccellenze” dello stesso tipo.

  3. Grazie a Francesco Sylos Labini per aver segnalato il commento di Tito Boeri sull’Espresso, un’altra piece illuminante. Il commento è addirittura imbarazzante per la bassa qualità della sua struttura: un tocco qui, uno là e alla fine spero risulti chiaro che, da grande illuminato, dedico un po’ del mio tempo impartendo le linee guida necessarie per disbrigare
    questo problemino che è l’università e ricerca in Italia. Ricorda Nanni Moretti: “Mi si nota di più se …” https://www.youtube.com/watch?v=yaiH2lGIvVw

    Si tratta di una serie di frasi fatte, intercalate da qualche “autorevole” interrogativo posto al Ministro, in stile vecchio saggio. Sarebbe interessante coinvolgere Boeri in un ambiente dove si fa ricerca di punta (peraltro sembrerebbe proprio che la menzioni). Non so perché, ma ricorda una vecchia leggenda metropolitana di quando in un seminario di alto livello, ci fu un dinamico ricercatore, di quelli coltivanti la bibliometria,
    talmente trasparente che gli appoggiarono il cancellino sulla testa.

    • Un prorettore alla ricerca che non sa che l’unico finanziamento alla ricerca non esiste più (il PRIN) esplica in maniera perfetta quello che si intende per ricerca nella sua università e perché continua a scrivere sui maggiori organi di stampa italiana. Un esempio più lampante era davvero difficile da trovare: grazie a Tito Boeri per avercelo regalato.

  4. Gent.mo Marcati, Le sue analisi sono fra le più lucide e più interessanti e perciò le chiedo se Lei vede qualche possibilità di intervenire su un tipo di politica nella quale pochissimi, oltretutto non rappresentativi del mondo dell’istruzione-ricerca, decidono per gli altri sulla base di paradigmi distruttivi, sbagliati e in fin dei conti autolesionistici (non mi sembra che nel nostro paese esistano margini per costruire alternative privatistiche credibili).

    • Ringrazio, ma credo siamo in molti a condividere l’idea che in un paese come l’Italia una forte università pubblica sia non solo un elemento di democrazia ma anche di crescita.

  5. ma il ministero è MIUR? oppure MIU? visto che la R di ricerca non esiste più?

    si parla di ricerca, no?

    allora stanziare soldi per tantissimi posti da ricercatore rtd tipo b (molto più che per associato o ordinario), oppure ritornare subito a ric. temp. ind.,

    oppure se non si fanno queste cose, meglio scrivere MIU e non MIUR, in quanto la R di ricerca andrebbe tolta, giacché i giovani precari o i vecchi precari non potranno ricercare più (a meno di non farlo gratis).

  6. Il “ce lo chiede l’Europa” può diventare, appunto, soltanto un alibi per non guardare ai fatti.
    Per esempio in materia di indici bibliometrici, attuale ossessione anvuriana, a me pare che l’Europa non chieda proprio nulla.
    Nella mia esperienza da proponente o valutatatore, né in FP7 né in H2020 ci sono menzioni esplicite a indicatori bibliometrici.
    Nell’attuale H2020, nella stesura di progetti di ricerca e innovazione, sono sufficienti cinque pubblicazioni per partner che siano enti di ricerca pubblici o privati, e neanche negli ultimi cinque anni.
    Nei grants dell’ERC, dove si premia l’eccellenza (non parliamo di ASN, del patentino, per dire), si chiedono pubblicazioni di rilievo: per gli starting “at least one important publication without the participation of their PhD supervisor”. Sia per starting che per gli altri, si richiedono pubblicazioni significative in riviste importanti nel settore di pertinenza e peer-reviewed. Non ci sono indicatori: nel rapporto di valutazione il giudizio è stabilito fra pari secondo criteri qualitativi.

    • Il “ce lo chiede l’Europa” è, ovviamente, sempre riferito al peggio. Dunque per il momento si tratta di politiche di tagli. Il minimo di civiltà che l’Europa potrebbe chiedere, quello no, mai neanche per sbaglio.

  7. Sì, sono d’accordo, e non entro in questioni di merito economiche perché non è il mio campo. Non so quindi dire quanto e come i sacrifici che ci chiede l’Europa siano appropriati o meno e neanche quanto vengano manipolati dai vari Monti. Il quale ci ha riempito di tasse per far cassa e questo non è il caso della media europea dove i più affezionati alle tasse siamo solo noi e la Svezia, ma con un’evidente distacco in termini di servizi! A favore di chi, è facilmente intuibile.
    Per il resto, a livello di politiche di ricerca e di formazione, o culturali, mi pare che l’Europa segua delle strategie cercando di uniformare sistemi molto dissimili, e stabilendo delle priorità. La burocrazia diventa un mezzo per raggiungere dei fini che l’Europa non può non darsi, se vuole diventare un ente di coordinamento e armonizzazione fra realtà molto diverse, con in mente lo scopo condivisibile che si riassume in: “l’unione fa la forza”. Scopo buono e utile non solo per aumentate possibilità di scambio, confronto, supporto reciproco ma anche per competere con potenze emergenti che hanno numeri impressionanti.
    Le direttive sono poi suscettibili di applicazioni diverse ed è lì che servono governanti in grado di mantenere i principi ispiratori ma di adeguarli alla realtà e di condurre eventuali trasformazioni per favorirli.
    Ed è lì, nella governance, che siamo spesso piuttosto impreparati o, peggio, maliziosi.

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