Vi proponiamo il filmato Open Access Explained degli autori di phd comics. In 8 minuti e con una brillante sequenza di fumetti viene spiegato perché è importante che la conoscenza scientifica sia libera, accessibile e riutilizzabile, nell’interesse dei ricercatori e in quello della società. Il filmato è del 2012, ma quanto descritto è vero ancora oggi, anche se le voci che chiedono un cambiamento del sistema della comunicazione scientifica sono molte e qualche segnale di cambiamento comincia a vedersi.

 

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4 Commenti

  1. Onestamente non riesco a trovare particolarmente fondate le motivazioni addotte nel filmato (e che sono spesso ripetute da molti evangelisti dell Open Access).
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    Il tax payer non ha la possibilità di assistere gratis, e neanche con uno sconto, alla proiezione di un film realizzato con il contributo pubblico. Ci sono movimenti che perseguono politiche di sconti ? E se ci fossero, agirebbero in modo razionale ? Evidentemente c’e’ un mercato cinematografico e il contributo pubblico va visto, e ha la sua motivazione, nell’ interesse pubblico a sostenere la realizzazione di opere culturali, senza entrare con cio’ nei meccanismi del mercato (i modelli di business).
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    Con l’ Open Access invece, si teorizza un intervento proprio sui modelli di business, ma, invece di restare sul problema reale (i costi sempre più stratosferici per le singole istituzioni per abbonamenti), si sposta l’ attenzione (in modo a dire il vero un po’ populistico) sul diritto di accesso all’ informazione su ricerche finanziate con soldi pubblici.
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    Ma questo acceso c’e’. Le biblioteche pubbliche che ci stanno a fare ? E quindi il problema resta quello del costo per le biblioteche pubbliche, più che per il privato. Anche perché in molti casi il privato potrebbe pagare un abbonamento molto meno di quello che paga la biblioteca pubblica.
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    Per non parlare dell’ argomento, utilizzato nel filmato, anche questo ben congegnato per catturare consenso, dell’ accesso del privato cittadino ad informazioni di tipo medico. Veicolare messaggi della serie: e’ il singolo cittadino che giudica sull’ adeguatezza o meno di una terapia sulla base delle informazioni che riesce a recuperare via rete, non mi sembra troppo diverso dallo sdoganare ciarlatani, maghi e guaritori. Giudicare sull’ autorevolezza e sul significato concreto delle informazioni, in certi campi richiede, senza se e senza ma, l’ intervento di un esperto. Questo non significa che il cittadino non debba poter accedere a quell’ informazione. Ma che abbia bisogno di farlo in tempo reale in caso di emergenza, mi sembra decisamente una forzatura retorica.
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    Percio’, bene discutere di Open Access. Ma restando sul problema (i costi crescenti per le biblioteche). E soprattutto, mi piacerebbe che l’ attenzione si spostasse sulle cause, piuttosto che sulle conseguenze ultime.
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    La causa principale, se accettiamo le leggi economiche, sta nelle concentrazioni editoriali e nel gioco della domanda/offerta.
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    Occorrerebbe primariamente interrogarsi sul modello di produzione scientifica che spinge a cercare la pubblicazione e soprattutto la pubblicazione su riviste con certe caratteristiche. Se le necessità di “produzione di articoli”, possibilmente su riviste di alta visibilità diminuissero, è difficile pensare che non ci sarebbero effetti benefici anche sui prezzi. Un abbonamento a Physical Review o a Journal of Chemical Physics costano migliaia di dollari all’ anno anche perche’ il numero totale di pagine per anno e’ notevole. In compenso, anche una rivista come Physical Review Letters ha una frazione non trascurabile di articoli di impatto molto limitato (misurato dalle citazioni di quell’ articolo). Forse una parte delle ricerche pubblicate potrebbe restare documentata da Report Interni (anche pubblicamente accessibili) ma senza bisogno di andare ad intasare il mercato della pubblicazione si rivista. E forse anche, si tornerebbe a scrivere più monografie veramente meditate e non gli “instant book” che ormai affliggono anche il mercato scientifico.
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    Ne vogliamo parlare ? Cosi’ come vogliamo parlare degli effetti sul far ricerca di un cambio di modello economico (pagare per pubblicare invece che per accedere) ?

    • “Il tax payer non ha la possibilità di assistere gratis, e neanche con uno sconto, alla proiezione di un film realizzato con il contributo pubblico.”
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      L’industria dell’intrattenimento e culturale funziona secondo regole diverse dalla ricerca scientifica. Lo scrittore è incentivato a scrivere o il regista o il musicista a produrre, dal fatto di ricevere royalties. Il ricercatore non riceve royalties per gli articoli che scrive, né per quelli che valida come reviewer. Non si possono confrontare i due mondi.
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      “Con l’ Open Access invece, si teorizza un intervento proprio sui modelli di business, ma, invece di restare sul problema reale (i costi sempre più stratosferici per le singole istituzioni per abbonamenti), si sposta l’ attenzione (in modo a dire il vero un po’ populistico) sul diritto di accesso all’ informazione su ricerche finanziate con soldi pubblici.”
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      Il diritto di accesso di cui si parla è correttamente generalizzato, non solo quello del singolo cittadino, ma quello di tutti i possibili interessati ad una determinata ricerca
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      “Ma questo acceso c’e’. Le biblioteche pubbliche che ci stanno a fare ? E quindi il problema resta quello del costo per le biblioteche pubbliche, più che per il privato. Anche perché in molti casi il privato potrebbe pagare un abbonamento molto meno di quello che paga la biblioteca pubblica.”
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      Immagino che con biblioteche pubbliche si intendano quelle accademiche, che non sono proprio la stessa cosa. Le biblioteche pubbliche non acquistano letteratura scientifica specialistica. Volendo parlare di biblioteche accademiche, è da anni che l’università di Harvard sostiene di non potersi più permettere di acquistare l’informazione scientifica di cui hanno bisogno i suoi ricercatori, le biblioteche accademiche italiane ogni anno rifanno i conti e tagliano tutto ciò che si può tagliare, e se vincolate da contratti capestro, tagliano sull’acquisto di monografie o di riviste nazionali.
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      “La causa principale, se accettiamo le leggi economiche, sta nelle concentrazioni editoriali e nel gioco della domanda/offerta.”
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      Certo, e nei sistemi e modelli di valutazione. Purtroppo per molti ricercatori l’open access resta ancora qualcosa di sconosciuto o di remoto, il video ne spiega i tratti fondamentali in 8 minuti, senza pretendere di risolvere problemi con cui interi paesi (dove la consapevolezza è senz’altro maggiore che nel nostro) che hanno già compiuto scelte politiche si stanno confrontando.
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      “Ne vogliamo parlare ? Cosi’ come vogliamo parlare degli effetti sul far ricerca di un cambio di modello economico (pagare per pubblicare invece che per accedere) ?”
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      Certamente. Attendiamo con ansia un Suo contributo sul tema.

  2. I prezzi dei journal crescono, perchè c’è una domanda sfrenata di pubblicazioni, perchè l’accademia ha bisogno di pubblicare per incrementare il ranking individuale e dell’istituzione. E’ inevitabile che anche il prezzo del journal rifletta il ranking che il giornale consente. Banali leggi dell’economia, che gli accademici ‘puri scienziati’ e sostenuti dal sistema pubblico determinano, facendo lievitare i costi ed arricchire strutture private. Il classico ‘cane che si morde la coda’. Basterebbe che gli accademici dessero il giusto peso alle pubblicazioni, valorizzassero magari di più anche le sedi di pubblicazione meno prestigiose, ma di minor costo ed il gioco sarebbe fatto. Basterebbe in sintesi che contasse il contenuto della pubblicazione e non la sede di pubblicazione ed il gioco sarebbe fatto. Ma questa è fantascienza!

  3. Il problema è molto serio in particolare se una consistente fetta delle risorse per la ricerca vanno poi a trasferirsi alle case editrici.

    Potremmo anche ragionare sull’aumento dei profitti delle case editrici o di certe case editrici

    Potremmo anche ragionare sul sempre minor peso delle riviste delle società scientifiche e dei comitati editoriali fatti da scienziati? Dubbi e preoccupazioni che hanno fatto nascere riviste con Elife.

    E’ immaginabile che le biblioteche accademiche si dotino di un servizio, rapido ed efficiente, per la distribuzione libera delle pubblicazioni sotto forma di bozze scritte dagli autori della stessa accademia ?

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