Si allarga a dismisura lo scandalo legato a Jeffrey Epstein, il finanziere americano travolto dalle accuse di abusi sessuali e traffico di minori, suicidatosi in carcere il 10 agosto scorso. Le denunce pubbliche e le rivelazioni che continuano a emergere dopo la sua morte stanno imbarazzando non poco la crema della sfera artistico-intellettuale a stelle e strisce – con impreviste appendici che vanno oltreconfine: sembra coinvolto pure il principe Andrea, terzogenito della regina d’Inghilterra e perfino la Procura parigina sta aprendo apposite indagini preliminari.
Intanto in Usa il caso continua a suscitare forte attenzione e ampia eco mediatica. Martedì scorso 27 agosto era affollatissima l’aula tribunale federale di Manhattan dove si è svolta la prima udienza sul caso, una sorta di formalità per constatare il decesso dell’imputato. Ciò non vuol dire il blocco dell’inchiesta giudiziaria, tutt’altro: il PM ha assicurato che le indagini proseguiranno nell’interesse pubblico, per individuare altri che nel corso degli anni hanno aiutato Epstein a procurarsi decine di donne e ragazze per i suoi abusi sessuali, per seguire ogni altra pista rispetto a ulteriori reati e colpevoli.
Questa è stata anzi la prima occasione in cui 23 donne hanno raccontato pubblicamente le loro storie di abusi, spiegando anche come Epstein avesse poi sfruttato potere e ricchezza per zittirle, a volte per anni. Alcuni interventi hanno rimarcato l’ovvio fallimento del sistema giudiziario, visto che, per esempio, già 23 anni fa le due sorelle Farmer (una sedicenne) avessero segnalato a polizia e FBI di aver subito abusi sessuali da parte di Epstein e dell’amica-complice Ghislaine Maxwell nel 1996.
Mentre lo scandalo continua a montare, qui preme sottolineare un punto specifico: Epstein aveva la passione della “cutting-edge science” e aveva attirato intorno a sé un ampio circolo di ricercatori e accademici di primo piano interessati sostanzialmente a ottenerne gli investimenti. O meglio, i suoi interessi dichiarati erano “scienza e sesso” (ripulendone il linguaggio volgare), e non faceva mistero di perseguire a tutta forza quest’insolita combinazione. Per esempio, quando nel 2006 organizzò sulla sua isoletta privata (nota come “Isle of Babes”, nei Caraibi) un evento sulla “forza di gravità” con 21 ricercatori, era sempre circondato da “un gruppetto di tre o quattro ragazze”, come ha riferito al New York Times uno dei partecipanti. E l’organizzatore dell’evento, il cosmologo Lawrence Krauss, ha confermato, in una intervista del 2011 al Daily Beast che «in quanto ricercatore scientifico non avevo alcun motivo per credere che Epstein stesse commettendo alcun reato…pur se aveva sempre intorno a se’ ragazze di 19-23 anni».
Lo conferma il ricercatore informatico Roger Schank, descrivendo un’altra riunione di esperti di intelligenza artificiale organizzata dal noto co-fondatore del Media Lab del MIT, Marvin Minsky, sulla stessa isoletta nell’aprile 2002: «Epstein entra nella sala conferenze con due ragazze al braccio…» e mentre la discussione va avanti, «…se ne sta sul divano in fondo alla sala a sbaciucchiarle». Ma il bello (anzi, il brutto) è che questo circoletto scientifico rimane fedele a Epstein anche durante e dopo la sua condanna nel 2008 a 18 mesi di carcere in Florida, per aver sollecitato la prostituzione di una minorenne — dopo il patteggiamento che gli consentiva di trascorrere le giornata fuori al ‘lavoro’, pur se imponendogli di registrarsi come ‘sex offender’.
Ed è sempre dopo questa condanna che varie entità scientifiche, tra cui il MIT e il Melanoma Research Alliance continuano ad accettarne le donazioni, oltre a 250.000 dollari ricevuti dall’Origins Project diretto da Lawrence Krauss presso la Arizona State University tra il dicembre 2010 e l’aprile 2017. Operazioni finanziarie che consentono a Epstein di crearsi la fama di “science philanthropist” e diventare amico di prestigiosi ricercatori della East Coast. Era ormai di casa ad Harvard, grande amico del matematico-biologo Martin Nowak, e pronto a staccare corposi assegni per le ricerche sull’intelligenza artificiale e altri progetti affamati di contanti. Eppure solo pochi giorni fa il direttore del Media Lab al MIT, Joi Ito, ha diffuso una lettera aperta ammettendo i frequenti rapporti e le donazioni continue di Epstein a partire dal 2012 (tra cui 50.000 dollari dall’Epstein Interests e 150.000 dollari nel 2017 da Gratitude America). In pratica si tratta di un vago mea culpa e la promessa di recuperare quel denaro per girarlo a enti non-profit, con scarsi segnali di trasparenza e mezze verità che hanno convinto ben pochi. Da Harvard finora è arrivato solo il silenzio, pur se nel 2003 il periodico interno The Harvard Crimson scriveva del «magnate che dona 30 milioni di dollari alla scienza».
Proprio questo laissez-faire di parte della comunità scientifica Usa sta suscitando animate reazioni di addetti ai lavori e colleghi. In particolare su Twitter, abbondano commenti e rilanci vari, grazie soprattutto al lavoro investigativo della giornalista Xeni Jardin (che riferisce di aver ricevuto minacce proprio questo suo impegno pubblico) e ai sagaci interventi dello scrittore Evgeny Morozov, il quale ha denunciato legami anche tra Epstein e John Brockman, titolare di un’affermata agenzia letteraria e fondatore del noto progetto culturale Edge Institute, (composto quasi interamente da uomini bianchi) di cui Epstein è stato il solo maggior finanziatore per quasi 15 anni con un totale di oltre mezzo milione di dollari.
Sempre su Twitter, alcuni si chiedono come mai proprio nel giorno in cui alcune vittime degli abusi di Epstein escono allo scoperto (nell’aula di tribunale a Manhattan di cui sopra), viene lanciata una pagina web di sostegno a Joi Ito per superare il “territorio pessimista” e la “negatività” diffusa dai media in questi giorni. In calce vi compaiono 137 firme di sostegno, alcune illustri tra cui Lawrence Lessig, Stewart Brand, Nichilas Negroponte come se il punto fosse tutelare a ogni costo la credibilità di certi individui e istituzioni, anziché ammettere gravi errori di valutazione e assumersene per intero la responsabilità.
Tante le domande sul tappeto: Come mai Jeffrey Epstein ha scelto proprio scienza e tecnologia, fra tutti i settori possibili, per la sua filantropia? Forse solo perché era un seguace di teorie a dir poco controverse (o anzi pseudoscienza) come l’eugenetica e il transumanesimo? E basta la scusa “a caval donato non si guarda in bocca” per giustificare quelle prestigiose istituzioni accademiche che ne hanno accettato i finanziamenti pur dopo la condanna per pedofilia e abusi sessuali? Non conta forse di più la trasparenza, il codice morale e la giustizia per le vittime? Fin dove si estendono i tentacoli di questo meccanismo perverso che insegue successo e prestigio accademico in nome del “progresso” scientifico? Bastano le interconnessioni alla base della “forza delle reti” a salvaguardarci da mostruose intrusioni, oppure sono proprio tali network (e chi ne motiva la grandiosità priva di responsabilità) parte del problema?
Intanto due noti docenti affiliati con il Media Lab, Ethan Zuckerman e Nathan Matias, hanno annunciato le dimissioni a seguito di questi legami con Epstein, mentre il presidente del MIT, Rafael Reif, ha aggiunto che l’istituto si appresta a rivedere il processo di accettazione delle donazioni, dopo aver ricevuto in totale circa 800.000 dollari dalle fondazioni gestite da Epstein. Dettagliando le motivazioni della sua scelta, in un post su Medium Zuckerman spiega fra l’altro di aver suggerito a Ito di star lontano da Epstein e di aver inoltrato una «nota di scuse alle tre donne che avevano ricevuto il Disobedience Prize del Media Lab per il loro impegno nel movimento #MeToo».
Ma questo scandalo, la cui onda lunga è appena agli inizi, sta sollevando il coperchio su questioni ben più complesse. Come scrive ora sul Guardian Kate Darling, ricercatrice presso lo stesso Media Lab, quest’intrusione di un magnate pedofilo nel mondo scientifico è solo il sintomo di ampie problematiche che richiedono urgenti cambiamenti strutturali prima di tutto dall’interno – sempre che non sia già troppo tardi:
I’m worried that change won’t come easily. And I’m worried that I am again missing the line between working from within and being complicit. … If we all step up to the best of our ability, whether that’s by leaving or staying, whether that’s by speaking up or encouraging others to speak, whether that’s by burning or building institutions, it’s my hope that we can start holding those in power accountable and creating structural change.
veloce aggiornamento per segnalare che, siccome l’articolo di cui sopra è stato chiuso il 28/8, lo scandalo continua ad allargarsi e sta avendo risvolti sempre più preoccupanti, come rivela quest’ampia inchiesta del 6/9 sul New Yorker: https://www.newyorker.com/news/news-desk/how-an-elite-university-research-center-concealed-its-relationship-with-jeffrey-epstein
Update: On Saturday, less than a day after the publication of this story, Joi Ito, the director of the M.I.T. Media Lab, resigned from his position. “After giving the matter a great deal of thought over the past several days and weeks, I think that it is best that I resign as director of the media lab and as a professor and employee of the Institute, effective immediately,” Ito wrote in an internal e-mail. In a message to the M.I.T. community, L. Rafael Reif, the president of M.I.T., wrote, “Because the accusations in the story are extremely serious, they demand an immediate, thorough and independent investigation,” and announced that M.I.T.’s general counsel would engage an outside law firm to oversee that investigation.
Da The New Yorker
finalmente e giustamente Ito si assume in pieno le proprie responsabilità’, ma è a dir poco sconcertante che la decisione arrivi solo ora, dopo quest’inchiesta che pubblica email e resoconti di whistleblowers interni, dopo settimane che addetti, giornalisti e media hanno svelato (a cominciare da Twitter) man mano queste losche connesioni tra MediaLab/Mit ed Epstein, e dopo che finora stesso Ito e il Mit hanno negato tutto o quasi, fino a lettere di sostegno frmate da luminari come Lessig e altri nomi importanti del giro high-tech/accademico….e infine va ricordato che Ito era anche venuto variamente in Italia ed aveva rapporti con analoghe entità nostrane, come anche il Media Lab/Mit, Harvard, ecc. — speriamo soltanto che le indagini interne vadano avanti e si arrivi alla verità totale, non un altro insabbiamento del Mit come purtroppo nel caso Schwarz :(
Ma quali sbaciucchiamenti e altro ancora. Si trattava di convegni eleganti, seguiti da cene altrettanto eleganti, non in ville ma in piu grande stile, su isole private. Beh, gli Sates sono gli States, mica il paese del mandolino e del cucù.
be’, a parte il fatto che con l’aria che tira ultimamemte gli States per molti versi sembrano proprio il “paese del mandolino e del cucù” (io ci vivo da tempo), questo tipo di convegni e cene super eleganti si svolgono ormai a livello internazionale, *Italia inclusa*, dove gli agganci ad alto livello con “figure prestigiose” come Ito, MediaLab, Mit, Harvard e compagnia bella sono attivi da tempo e ancora adesso non mi pare circolino almeno dei “mea culpa” per certe amicizie e contatti in quest’ambito (penso a nomi famosi come Lessig, per esempio, che ha pubblicamente sostenuto Ito, o Negroponte, co-fondatore del Media Lab con pratiche disinvolte), ma si continuano piuttosto ad osannare certi “guru” della situazione, e i media nostrani fanno finta di essere distratti come sempre, tipo Repubblica che confonde il New Yorker con NYT (nomi simili…), e non provano a criticare/indagare più di tanto….
Carissimi,
forse non è direttamente attinente, ma, in tema di etica della scienza e di sue possibili strumentalizzazioni da parte del potere (politico o economico che sia), mi piace segnalarvi il recentissimo e interessante Manifesto per la scienza, aperto ad adesioni, che trovate al seguente indirizzo manifesto.eunoe.org.
Tom Bombadillo
sono appena venuto a sapere che la settimana scorsa Repubblica (cartaceo soltanto, a cui purtroppo non ho accesso) ha pubblicato due articoli sulla vicenda, firmati da Arturo di Corinto e Riccardo Luna, in particolare dopo le dimissioni di Ito…. meno male (e grazie!) che quotati giornalisti del settore se ne occupano anche in Italia, sperando le ricadute a tutto campo di questo scandalo non tocchino in qualche modo entità o individui italiani, visto che la vicenda continua a rivelare sviluppi decisamente inattesi — queste comunque un paio di fresche notizie/uscite: Brown University Puts Official Tied to Jeffrey Epstein’s M.I.T. Gifts on Leave (https://www.nytimes.com/2019/09/09/business/jeffrey-epstein-mit-brown.html) e soprattutto l’ampia “spiegazione” di Lessig, che imho non è altro che il classico passaggio dalla padella alla brace (come ribadiscono gran parte dei commenti assai espliciti, in particolare uno che chiede: “Lessig, what do you think Aaron Schwartz would say?”): https://medium.com/@lessig/on-joi-and-mit-3cb422fe5ae7 — e un’arguta analisi di Evgeny Morozov sul Guardian, dove mette nuovamente in guardia sulla “ugly collective picture of the techno-elites that emerges from the Epstein scandal reveals them as a bunch of morally bankrupt opportunists.”
solo per dire che la faccenda continua ad avere inattese ripercussioni nel mondo high-tech/accademico Usa; le ultime notizie sono le dimissioni di Richard Stallman da presidente della Free Software Foundation e altre incombenze al MIT; qui c’è un ottimo resoconto “dall’interno” della complessa questione: https://medium.com/@thomas.bushnell/a-reflection-on-the-departure-of-rms-18e6a835fd84 — utile anche questo pezzo su Wired.com: https://t.co/kCUTAUF30l — nonché questa riflessione di danah boyd: https://t.co/KjtC8kBA60 (in caso qualcun* non le avesse viste e fosse interessat*, mentre varie discussioni proseguono su twitter)