Appena lunedì scorso il Ministro dell’economia Saccomanni si è mostrato decisamente contrariato in seguito alla diffusione da parte dell’Istat delle stime sulla crescita previste per il PIL per il 2014, peggiori rispetto a quelle presentate poche settimane fa dal governo. La reazione del Ministro ci ricorda le insofferenze di Tremonti per i dati Istat che dal 2009 indicavano la gravità della crisi occupazionale che il governo Berlusconi cercava di nascondere. In quell’occasione una petizione per la difesa della credibilità della statistica ufficiale raccolse oltre 1.200 adesioni. O ancora per i dati del 2011 sulla povertà.

Il giorno dopo l’ultima reazione governativa a dati Istat non graditi alcuni deputati del Movimento 5 stelle si sono recati in procura, per consegnare una denuncia contro lo stesso Istituto, colpevole a loro dire di aver trasmesso a Eurostat un dato sottostimato sull’indebitamento rispetto al PIL per il 2013.

Così l’Istat in soli due giorni si è trovato a dover rispondere all’accusa di essere inaffidabile sia dal Governo in carica che dall’opposizione per ragioni opposte.

Prendiamo spunto da questi segnali, legati alle previsioni economiche 2014, per lanciare l’allarme sulle modifiche statutarie introdotte a sorpresa nel DL 101/2013 tramite un emendamento ad hoc sull’Istat presentato dal governo in commissione alla Camera e approvato successivamente in aula.

Le  “Disposizioni in materia di ISTAT e di Sistema statistico nazionale” introdotte nell’articolo 8 bis del DL 101/2013, oltre a prevedere modifiche e semplificazioni alla predisposizione del Programma Statistico Nazionale (PSN), cambiano le caratteristiche del profilo che i candidati alla presidenza dell’Istituto nazionale di statistica devono possedere. Se finora la norma prevedeva che il Presidente dell’Istat dovesse essere  un professore ordinario in materie statistiche, economiche ed affini, l’emendamento in questione, aggiunge il requisito di una “esperienza internazionale”.

Questo provvedimento è almeno singolare in quanto è chiaro che la competizione tra i possibili professori candidati alla presidenza dell’Istat non può che essere sulla qualità della loro produzione scientifica, il cui livello dovrebbe essere indicato dal grado di rilevanza nazionale ed internazionale di tale produzione. L’inserimento della norma dell’esperienza internazionale, che facilmente verrà tradotta nel linguaggio burocratico-concorsuale nell’essere stato impiegato (con che ruolo, per quanti anni?) in un organismo internazionale, restringe il campo dei possibili candidati oltre ogni limite di legittimità, riducendo il numero dei possibili candidati e impedendo una reale selezione tra i più idonei. Tra l’altro, in virtù di quali considerazioni si vogliono premiare concorsualmente i professori ordinari che hanno lasciato le Università (e a volte anche la ricerca) per trasferirsi come manager in organismi internazionali? Sono forse migliori di un Preside di facoltà o di un Rettore rimasto in Italia? Tra l’altro ciò avviene a procedura di nomina in corso, essendo attualmente ai vertici dell’Istat il professore emerito  Antonio Golini in qualità di “facente funzione” mentre  la carica è vacante dallo scorso mese di maggio, quando Enrico Giovannini ha accettato l’incarico di ministro del lavoro nel governo Letta.

Ma l’aspetto contingente di questa vicenda riguarda l’iter previsto dall’ultima legge di riordino dell’Istat, la quale prevede che la nomina del nuovo presidente sia avviata dal governo e accettata dal parlamento, con una maggioranza molto qualificata (i due terzi delle commissioni competenti). Il nodo sembra essere che il governo in carica in questi mesi non è riuscito ad esprimere una maggioranza che su questo tema abbia fatto indicare una candidatura condivisa dal Consiglio dei Ministri. In particolare il nome di Pier Carlo Padoan, professore di più che autorevole esperienza internazionale ed attualmente  capo economista dell’OCSE, sembra essere più volte entrato nelle riunioni del Consiglio dei Ministri senza ottenere il necessario consenso. Dunque è lecito supporre che l’articolo 8 bis del DL 101/2013 abbia lo scopo di forzare la posizione di una parte della maggioranza di governo in questa direzione e risolvere in  questo modo fantasioso il dissidio politico.

In questo modo, però,  si continua sul pericoloso cammino che cerca di allontanare l’Istat dalla sua naturale collocazione nella sfera giuridica degli enti di ricerca pubblici che partecipano al dibattito accademico, per spostarlo verso un ambito paraministeriale tramite l’aumento dell’influenza dei Dicasteri vigilanti (in primis il ministero dell’economia), che entrano sempre di più nella gestione dell’Ente, rischiando in tal modo di far saltare il principio di indipendenza della funzione statistica. Invece è soprattutto in questi anni di crisi economica e sociale di cui si stenta a vedere la fine, che diviene centrale il ruolo dell’Istituto di Statistica per il monitoraggio delle politiche e per l’analisi della situazione economica e sociale del Paese. Un ruolo che deve essere svolto nella piena condizione di autonomia e indipendenza che lo stesso ordinamento sancisce come principio fondativo, ma che soprattutto è garanzia per tutti: Politica, Imprese, Cittadini… Dunque il nostro è un allarme che riguarda il metodo ma soprattutto il merito della nuova norma, che intende modificare il funzionamento dell’Istat e del Sistan  tramite un emendamento a un decreto legge senza il minimo coinvolgimento dei vertici dell’Ente e soprattutto della comunità scientifica interna ed esterna all’Istituto di statistica.

Questa vicenda torna utile però anche per esprimere grande preoccupazione per le tensioni cui è sottoposta la funzione statistica di questo Paese, in particolare, lo ripetiamo, rispetto alle sorti della sua autonomia e indipendenza. Crediamo che la modifica operata sull’Istat debba essere abrogata, in quanto sbagliata nella sostanza e pericolosa nelle conseguenze. Le forze politiche e il Governo dovrebbero farsi immediatamente garanti dell’emersione in forma pubblica del dibatto politico intorno alla nomina del futuro Presidente dell’Istat,esplicitando i criteri e i parametri con cui si vuol dare seguito all’applicazione della norma per rendere realmente trasparente ed efficace questa procedura. Bisogna evitare che il passaggio parlamentare individuato correttamente dalla legge, che ricordiamo essere il favore dei 2/3 delle commissioni competenti di entrambi i rami del parlamento, sia nei fatti aggirato e vanificato minando o addirittura annullando l’autorevolezza e la forza della figura che verrà in fine indicata.

L’Istat non è un qualsiasi ente burocratico e la politica dovrebbe rendersi conto di quanti pericoli presenti e futuri possano arrivare dal minare in un momento di crisi come quello attuale la legittimità, la forza e l’autorevolezza delle massime cariche di un Istituto che presiede ad una funzione di ricerca fondamentale per lo Stato, garanzia anche di stabilità e trasparenza internazionali.

Lorenzo Cassata, Carlo De Gregorio, Patrizio Di Nicola

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4 Commenti

  1. Concordo pienamente con quanto scritto nell’articolo.

    Vorrei fare qualche considerazione relativamente alla figura del presidente dell’ISTAT, come previsto nel Decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, che istituisce il Sistema Statistico Nazionale (SISTAN). Il motivo per cui è stato stabilito per legge che il presidente dovesse essere un professore ordinario in materie statistiche, economiche ed affini è legato al periodo del Craxismo in cui il governo spesso seguiva, nelle nomine pubbliche, il criterio dei “nani e delle ballerine”. Allorché si dovette scrivere il Decreto (sostanzialmente a Via Balbo), la comunità scientifica degli statistici riuscì a mettere dei paletti riservando la carica di presidente dell’ISTAT a qualcuno del mestiere. Poiché al momento era in carica Guido M. Rey, professore di politica economica, venne aggiunta alla statistica la disciplina economica con l’appendice delle materie affini (mai specificate: sociologia, matematica, fisica?). Ma la pezza a colori, se da un lato ha evitato almeno parzialmente le scorribande dei politici, dall’altro ha creato un mostro: in nessun paese del mondo, e nemmeno in altri enti di ricerca italiani, vi è una discriminazione così netta, probabilmente incostituzionale. Sono esclusi i professori straordinari, gli associati, i ricercatori universitari, i ricercatori degli enti pubblici che sono equivalenti ai docenti universitari, tutti gli esperti che lavorano in altre organizzazioni pubbliche e private, nazionali, straniere e internazionali.

    Va rilevato che, secondo il Decreto legislativo 4 giugno 2003, ai sensi dell’ articolo 1, comma 1, della legge 6 luglio 2002, n. 137, “Il presidente del CNR è scelto tra persone di alta qualificazione scientifica e manageriale, con una profonda conoscenza del sistema della ricerca in Italia e all’estero e con pluriennale esperienza nella gestione di enti o organismi pubblici o privati, operanti nel settore della ricerca.” Paragonando dunque i due enti di ricerca, mentre per il CNR serve una competenza scientifica insieme a quella tecnico-organizzativa, nel caso dell’ISTAT basta saper insegnare. Ricordo che Guido M. Rey, quando venne nominato su proposta del ministro del tesoro Beniamino Andreatta, non aveva alcuna esperienza di gestione (era stato consulente della Banca d’Italia e poi aveva insegnato in varie università). Va inoltre osservato che Enrico Giovannini, dirigente di ricerca dello stesso ISTAT, è dovuto diventare professore di statistica all’università per concorrere alla nomina a presidente – se rimaneva in casa sua non era eleggibile. La lezione è che i ricercatori dell’ISTAT non possono ambire a dirigere il proprio ente se non passano per le forche caudine dell’università. Si potrebbe prendere esempio dai Carabinieri e dalla Guardia di finanza: fino a qualche anno fa il comandante doveva provenire dall’esercito, mentre ora deve essere scelto tra i ranghi di ciascuna delle due organizzazioni.

    Ma veniamo alla questione specifica del “possibile” candidato Pier Carlo Padoan. Senza dubbio si tratta di un economista di altissimo livello professionale che ha lavorato con successo presso prestigiose organizzazioni internazionali – oltre ad essere professore di economia all’Università La Sapienza di Roma. C’è da chiedersi, tuttavia, se ha maturato sufficienti conoscenze e capacità tecnico-organizzative assolutamente necessarie per gestire un’organizzazione italiana così complessa, strutturata secondo un modello ancora largamente burocratico, come l’ISTAT, in un periodo così difficile come l’attuale sia sotto il profilo delle risorse disponibili che sotto quello dell’indipendenza della statistica ufficiale. Sono tuttavia fiducioso che chi dovrà prendere la decisione (governo, parlamento) farà un’oculata scelta – mica siamo più nel periodo dei “nani e delle ballerine”!

    Infine, sarebbe quanto mai opportuno che il parlamento ed il governo abbandonino il continuo ricorso a leggi “omnibus”, come quella di stabilità, in cui inserire pezzetti di riforma di leggi di vasta portata o, peggio, provvedimenti ad o contra personam.

  2. Che peccato, anche la direzione della fabbrica italiana delle informazioni statistiche per i cittadini, le imprese e le istituzioni è entrata nel solito giro delle poltrone! Un presidio istituzionale fondamentale per garantire l’indipendenza e la professionalità nel fornire un quadro accurato, tempestivo e completo della nostra società, da utilizzare con fiducia per prendere decisioni e valutare i cambiamenti, è oramai divenuto un posto da attribuire nelle solite logiche politiche.
    Lo testimonia il fatto che un po’ di soppiatto si è pensato di modificare le caratteristiche per la nomina del nuovo Presidente (emendamento n. 8. 0.10. al decreto-legge n. 101/2013, presentato dal Governo nella seduta del 21 ottobre 2013), come se non bastassero quelle vigenti: un professore ordinario di statistica o economia, di valore scientifico riconosciuto, competente, magari appassionato di statistica ufficiale, con un’esperienza di direzione di una struttura pubblica. Si è aggiunto nel profilo il requisito dell’esperienza internazionale; ma cosa aggiunge? Un prof. ordinario di livello avrà certamente diretto un qualche progetto europeo o di ricerca internazionale, avrà svolto una qualche assistenza tecnica o cooperazione statistica internazionale. Ma il Presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica dovrebbe aver magari trascorso qualche anno all’estero in servizio presso un’organizzazione internazionale, perché questa esperienza dovrebbe essere indispensabile per presiedere la nostra fabbrica dei dati? E’ vero che la fabbrica produce sempre più dati secondo quanto stabilito da regolamenti europei, ma cosa c’entra questo?
    Ma soprattutto questa decisione di modifica della normativa vigente appare poco opportuna, perché presa in corso di vacanza della Presidenza (l’ottimo prof. Golini è stato nominato presidente facente funzioni oramai da 16 mesi in seguito alla nomina del Presidente Giovannini a Ministro del lavoro), e soprattutto non ammissibile, in quanto presa attraverso un emendamento del governo ad un decreto legge, in materia non strettamente connessa, circostanza peraltro ben segnalata anche dal Centro Studi della Camera dei deputati (dossier n. 80/1), ma non ripresa da alcuno.
    E’ un peccato, perché la fabbrica italiana della statistica ufficiale ha bisogno di essere finalmente ammodernata nel suo processo produttivo, in linea con l’era digitale e con gli avanzamenti delle nuove metodologie statistiche. Soprattutto ha bisogno di autonomia, di indipendenza, di credibilità, di passione incondizionata per la qualità dell’informazione, dell’energia necessaria per diffonderla e trasformarla in conoscenza promuovendone il suo utilizzo da parte della Società.
    Un peccato, insomma, un’altra occasione mancata. D’altra parte con l’aumento assicurato da Tremonti al Presidente dell’Istat all’atto della nomina di Giovannini, stipendio passato da 90.000 a 300.000 euro lordi all’anno, è evidente che questo servizio che precedentemente un ottimo professore assicurava al suo Paese si è trasformato in qualche cosa d’altro.
    D’altra parte, la mia perplessità riguarda il fatto che tutto questo appare chiaramente finalizzato a proporre alle Commissioni parlamentari il nome di Piercarlo Padoan, economista, oggi presso l’Ocse e prima presso il FMI. Nulla da dire sulla persona, certamente più competente di macroeconomia che di produzione di statistiche ufficiali, ma credo che il suo storico impegno politico esponga l’Istituto, in questa fase delicatissima per il Paese, ad una posizione di fragilità che non merita e di cui sicuramente non ha bisogno. Già la scarsa cultura statistica nel nostro Paese è un terreno fertile per la diffidenza nel quadro conoscitivo della nostra Società che fornisce l’Istituto. Ulteriori e magari sistematiche polemiche di parte sui risultati delle indagini e le previsioni fornite da modelli statistici non aiuterebbe davvero il Paese. Con i dati sempre letti solamente in finzione della loro coerenza o meno con le previsioni o speranze del governo di turno, o dell’unione europea.
    Abbiamo invece bisogno di bisogno che la fabbrica italiana della statistica ufficiale possa essere finalmente ammodernata nel suo processo produttivo, in linea con l’era digitale e con gli avanzamenti delle nuove metodologie statistiche. Soprattutto l’Istituto ha bisogno di autonomia, di indipendenza, di credibilità, di passione incondizionata per la qualità dell’informazione, dell’energia necessaria per diffonderla e trasformarla in conoscenza, promuovendone il suo utilizzo da parte della Società.
    Grazie per il vostro intervento sul tema, di cui condivido pienamente il contenuto e lo spirito.

    Libero Emiliano, un appassionato della statistica ufficiale e del suo ruolo fondamentale in una democrazia.

  3. Da ingenuo sognatore, mi chiedo perché presidenti e direttori generali degli enti di ricerca non possano essere nominati a valle di elezioni interne agli enti stessi, come accade all’Università per i direttori di dipartimento, i presidenti dei vari consigli, i presidi e i rettori. Quanto sarebbe bello avere un periodo di campagna elettorale in cui i candidati ci presentano il loro programma su come preservare e far crescere la passione incondizionata per la qualità dell’informazione, l’energia necessaria per diffonderla e trasformarla in conoscenza, promuovendone il suo utilizzo da parte della Società. Si, dico “preservare e far crescere” perché, caro Emiliano, queste all’Istat sono già garantite dalle persone che ci lavorano.

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