Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera aperta dell’Associazione degli italianisti, che unisce italianisti universitari e docenti di italiano delle scuole (ADI-sezione didattica). Si segnala il pericolo che sia la tipologia di prove INVALSI a decidere ciò che conta per l’Italiano a scuola, determinando un effetto a ritroso che condizioni l’insegnamento della materia, finalizzandolo alla buona riuscita nel test (‘teaching to test’), con il conseguente rischio di compromettere l’insegnamento equilibrato della disciplina.
Lettera aperta all’onorevole Ministro prof.ssa Maria Chiara Carrozza
Onorevole Ministro,
l’Associazione degli italianisti unisce italianisti universitari e docenti di italiano delle scuole (ADI-sezione didattica), in prevalenza scuole superiori, in un dialogo proficuo sulla ricerca e sulla didattica dell’italiano e della letteratura italiana fra scuola e università.
L’italiano, nella scuola secondaria di secondo grado di ogni indirizzo, in particolare nel secondo biennio e nell’ultimo anno, prevede, unite nella medesima disciplina e insegnate dal medesimo docente, l’educazione linguistica e l’educazione letteraria, in un insegnamento da sempre cardine della scuola italiana di ogni ordine, oggi ancor più decisivo per il raggiungimento di quelle competenze per la vita che garantiscono la piena cittadinanza consapevole. Educazione linguistica ed educazione letteraria concorrono nel formare e accrescere tali competenze, e come italianisti di scuola e università crediamo fortemente che la letteratura sia uno strumento estremamente potente e versatile sul piano delle risorse comunicative, emotive e sociali, e che detenga un ruolo educativo e formativo fondamentale.
Pur nel riconoscere l’emergenza legata alla padronanza linguistica, riteniamo che altrettanto necessaria e indispensabile alla formazione di cittadini consapevoli sia la dimensione culturale, non solo linguistica, della letteratura. Il conseguimento della maggior parte delle competenze chiave individuate dal Parlamento europeo, “comunicazione nella madrelingua”, “imparare a imparare”, “competenze sociali e civiche”, “consapevolezza ed espressione culturale”, obiettivo da garantire a tutti gli studenti medi, passa attraverso valori portati dalla letteratura: la capacità di riconoscere ed esprimere adeguatamente sentimenti ed emozioni, il riconoscere e il rispettare l’altro da sé, sia esso essere umano, animale o paesaggio, la responsabilità sociale e civica che ne deriva, la capacità di guardare criticamente il mondo e di interpretare i suoi molti linguaggi, lo sviluppo dell’immaginario e la possibilità di fruizione della bellezza. Per l’acquisizione e lo sviluppo di tali competenze la letteratura ha un potenziale altamente formativo ed educativo, che non è necessario qui argomentare: sull’importanza della lettura, in particolar modo nell’età scolare, vi è d’altra parte una conclamata convergenza di opinioni e di interventi, da ultimo anche la dimostrazione da parte delle neuroscienze della sua valenza quale ‘simulatore d’esperienza’. Vogliamo però ribadirne la consustanzialità con l’insegnamento dell’italiano, e chiediamo che non ne venga disconosciuto o non valorizzato il significato.
Comprendiamo bene e non ci sottraiamo alle esigenze di una cultura della valutazione, e, d’altra parte, ci rendiamo perfettamente conto di quale sia la difficoltà di ridurre a valutabilità confrontabile tali valori, di cui l’insegnamento letterario si fa carico e cura, ma, nella fase in cui sta per essere varata una ulteriore prova INVALSI da somministrare al quinto anno dell’insegnamento superiore onde verificare l’apprendimento di italiano,
vogliamo segnalare alcuni punti di criticità che rischiano di compromettere l’insegnamento equilibrato della nostra disciplina.
- Il documento, per come è formulato, si basa su un equivoco sostanziale: di fatto attribuendo alla disciplina ‘italiano’ la piena responsabilità della competenza dello studente nella madrelingua, quando, viceversa, concorrono alla sua determinazione, oltre all’ambiente socioculturale di provenienza dello studente, tutte le discipline e tutti gli insegnamenti del curricolo scolastico in quanto appunto erogati nella lingua nazionale.
- Il documento INVALSI struttura la prova di valutazione a partire dai “risultati di apprendimento dell’Italiano”: in tal modo, col valutare “la padronanza linguistica” degli studenti, di fatto vengono valutati i risultati degli apprendimenti della disciplina ‘italiano’ per la loro porzione relativa alla competenza linguistica, testando perciò l’apprendimento di italiano in modo esclusivo e settoriale.
- L’art. 16 del DL 104 ora legge 128/13, relativo alla distribuzione delle risorse per la formazione del personale scolastico, stabilisce che queste vengano erogate “per migliorare gli esiti nelle valutazioni nazionali svolte dall’Istituto nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (INVALSI) e degli apprendimenti, in particolare nelle scuole in cui tali esiti presentano maggiori criticità”: la valutazione degli apprendimenti di conseguenza sarà utilizzata per valutare gli insegnamenti.
Il rischio che ne consegue è che sia la tipologia di prove INVALSI a decidere ciò che conta per l’Italiano a scuola, determinando un effetto a ritroso che condizioni l’insegnamento della materia finalizzandolo alla buona riuscita nel test (‘teaching to test’); che vi sia perciò una correlata inevitabile perdita di considerazione e di peso, se non strumentale all’acquisizione della padronanza linguistica, della componente letteraria della disciplina.
Chiediamo pertanto al Ministro che voglia riconsiderare il quadro della valutazione INVALSI per l’Italiano onde renderlo più consono alla complessità di un insegnamento dal quale ancora dipende in buona parte la formazione culturale e critica dei futuri cittadini. A tal fine mettiamo a disposizione del MIUR e dello stesso INVALSI il contributo degli italianisti esperti dell’insegnamento e dell’apprendimento della lingua e della letteratura italiana, espressione del sistema scolastico e universitario italiani, attraverso il coordinamento dell’associazione.
Guido Baladassarri, presidente ADI
Natascia Tonelli, presidente ADI sezione didattica
Se le prove di apprendimento dell’italiano che l’INVALSI va elaborando rischiano di essere sbilanciate a favore della sola competenza linguistica, come teme l’ADI, la richiesta di correttivi è utile e opportuna. Dal mio punto di vista di italianista-linguista (insegno Linguistica italiana a Tor Vergata), non posso fare a meno di rilevare che nel triennio delle superiori la didattica dell’italiano rischia invece di essere sbilanciata nel senso diametralmente opposto. “L’emergenza legata alla padronanza linguistica”, per citare le condivisibili e apprezzabili parole della lettera aperta, non dipenderà anche dalla scarsa attenzione che viene dedicata, in una fase così importante del ciclo scolastico, alle strutture e agli usi dell’italiano?
Nella scuola media superiore l’insegnamento dell’italiano, concepito come un tutto organico di lingua e letteratura, non riserva di fatto neppure un’ora di lezione alla settimana – dico un’ora! – specificamente alla lingua. La conseguenza di ciò è che molti neodiplomati entrano nelle aule universitarie o si avviano verso il mondo del lavoro senza possedere alcuni fondamentali “saperi linguistici”, ovvero senza conoscere granché delle molteplici varietà di registro, delle peculiarità che distinguono lo scritto dal parlato, delle alternanze di codice tra lingua e dialetto, dei nuovi modelli di analisi sintattica, dei meccanismi che sovrintendono alla coerenza e coesione testuale: per dirla in breve, senza aver meditato abbastanza sulla lingua che usano quotidianamente.
Occorre prendere atto di una realtà sgradevole ma innegabile: la scuola non dà ai giovani di oggi una formazione linguistica adeguata. Aggiungerei che, ora come ora, non è neppure in grado di darla, a causa dell’insufficienza e dell’invecchiamento dell’armamentario teorico tradizionale che – nonostante l’elevata preparazione e l’impegno personale di tanti insegnanti – continua a essere largamente utilizzato nella pratica didattica. Non potrà che essere così, fino a quando la lingua e la linguistica non saranno incluse a pieno titolo nel novero delle discipline ufficialmente impartite anche nel triennio conclusivo delle superiori, al fianco e non più soltanto all’interno dell’imprescindibile insegnamento della letteratura, che ne trarrebbe a sua volta un sicuro vantaggio. Si riconosca finalmente il valore intrinseco delle competenze linguistiche, che non sono soltanto una porzione minore e marginale di quelle letterarie. Proprio dall’equivoco paradigma dell’assimilazione della lingua alla letteratura, fra l’altro, è scaturita una concezione retorica dell’italiano che non sarà certo il caso di perpetuare nella scuola di oggi.
Una scuola pubblica cosciente del proprio ruolo fondamentale – promuovere la parità tra i cittadini e lo sviluppo equilibrato dell’intera società – non può ignorare il potere sottile ma penetrante e pervasivo della parola, che rende un po’ meno uguali coloro che non sanno maneggiarla adeguatamente. Anche di ciò la collega Ministra dovrà tenere conto.
[…] approfondimento, competenza accumulata in anni di ricerca. Leggete, ad esempio, l’interessante lettera indirizzata alla Carrozza dall’Associazione degli Italianisti al ministro Carrozza in merito ai test Invalsi. Ci vogliono […]
[…] si segnala il pericolo che sia la tipologia delle prove Invalsi a decidere ciò che conta a scuola (qui) e a non tenere in considerazione saperi che non rientrano nelle competenze misurabili, che siano […]