Sono passati venti anni da quando si svolse sul sito lavoce.info un dibattito tra diversi economisti sulla fondazione di un nuovo istituto di ricerca. Alberto Alesina e Francesco Giavazzi diedero a questa operazione un forte connotato ideologico: “riversare più fondi in questo sistema è come buttarli al vento…” l’unico modo per garantire “…rigore, controlli ed incentivi… è muoversi all’esterno dell’università italiana di oggi. Vittorio Grilli ci sta provando con l’IIT: è per questo che cerchiamo di aiutarlo mentre tutti i conservatori lo criticano”. L’economista Vittorio Grilli diventò il Presidente del nuovo Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) nel 2005. L’IIT è stato dunque fondato con una struttura giuridica completamente diversa rispetto agli altri enti di ricerca italiana: alcune delle caratteristiche chiave erano l’eseguo numero di posizioni a tempo indeterminato, cosa peculiare per un istituto di ricerca, e un consiglio di amministrazione caratterizzato dalla presenza di imprenditori di varia estrazione oltre ad avere una governance nominata dal Ministero dell’Economia invece che da quello dell’Università e della Ricerca.
All’epoca alcuni di noi si domandavano quale avrebbe dovuto essere la missione del nuovo istituto e in che cosa avrebbe dovuto differenziarsi dagli altri enti di ricerca già esistenti, in primis il CNR. Nel corso di questi vent’anni nel l’IIT è stato al centro di polemiche, basti qui ricordare gli interventi della Senatrice Elena Cattaneo sui finanziamenti, sulla trasparenza della gestione, ecc. Quello che però ancora non si capisce quali sono i risultati tecnologici, dato che “L’IIT ha l’obiettivo di promuovere l’eccellenza nella ricerca di base e in quella applicata e di favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale.“ Visto che nella ricerca di base la concorrenza non manca, grazie ai diversi enti di ricerca vigilati dal Ministero dell’Università, la missione principale per un ente vigilato dal Ministero dell’Economia avrebbe dovuto essere quello di “favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale”.
Qualche tempo fa l’ormai ex direttore scientifico Roberto Cingolani, in diverse interviste su media nazionali, affermava che uno dei progetti di punta dell’Istituto Italiano di Tecnologia era il robot iCub che “sarà un prodotto a metà strada fra l’automobile e lo smartphone e potrebbe essere l’occasione per riconvertire gran parte degli impianti dell’industria automobilistica oggi inutilizzati”. Non sembra che gli impianti dell’industria automobilistica siano stati riconvertiti. Dunque, quale è stato il risultato particolare dell’IIT? E come può funzionare un istituto di ricerca senza personale a tempo indeterminato?
Per fare un paragone, in Germania la rete di istituti di ricerca della società Fraunhofer per lo sviluppo della ricerca applicata supporta in modo sistematico i collegamenti tra scienza e industria, ed è bilanciata dalla rete degli istituti della società Max Planck per lo sviluppo della scienza, che invece è orientata verso la ricerca di base. Se il CNR dovesse svolgere il ruolo della società Max Planck, all’IIT spetterebbe quello dell’organizzazione Fraunhofer, dove lavorano circa 23.000 tra ricercatori e ingegneri, con un budget di ricerca annuo di circa 1,7 miliardi di euro, di cui solo il 30% è finanziato attraverso fondi pubblici (governo federale o governo locale), mentre il 70% proviene da contratti con industrie o da bandi per progetti di ricerca applicata, sia a livello nazionale che internazionale. Al di là delle polemiche, come si confronta l’IIT con questi numeri?
(Pubblicato su la Voce del Circolo Pertini N°44)