Nella bozza dell’ultima legge di Bilancio ci sono alcuni provvedimenti interessanti riguardanti il mondo accademico, come la tassazione ridotta per i ricercatori provenienti dall’estero, il sostegno a chi ha presentato un progetto valutato positivamente ma non finanziato presso l’European Research Council e soprattutto un fondo di 3.000 euro all’anno per i singoli ricercatori.
Questa idea potrebbe avere davvero un impatto positivo. È importante sostenere la cosiddetta “eccellenza” ma anche assurdo che per i 50.000 docenti dell’università italiana possa essere un problema acquistare il toner della stampante o un cacciavite. Quello in discussione è un intervento di buon senso. Azioni simili che forniscono i minimi strumenti per lavorare sono la norma nei sistemi universitari dei paesi avanzati.
C’è però anche un’altra faccia della medaglia. Solo il “miglior 60%” dei ricercatori universitari e il 20% dei professori associati otterrà questi fondi. Qui ci sono almeno due criticità. La prima è di tipo tecnico: la “classifica” è un concetto che appartiene allo sport agonistico, non al mondo dell’istruzione. Nelle competizioni atletiche, tutti i partecipanti sono valutati sullo stesso compito (es. correre i 100 metri piani). Si prendono i migliori 60 tempi ogni 100 e si può stilare una classifica. È “migliore” il ventenne che corre i 100 metri in 13 secondi o il cinquantenne che impiega 14 secondi? Come consideriamo la performance di una corritrice incinta o di chi corre controvento? Sorgono dei problemi persino in questo caso semplice. Estrarre il “60% migliore” dei ricercatori, i quali operano in aree e con compiti diversi, è un problema che non ha una soluzione accettabile.
Oltre a quella tecnica, c’è però una questione più sostanziale. Lo stipendio lordo di un ricercatore operante nell’università costa non poco al pubblico. Qual è l’interesse dei cittadini? Che queste persone siano motivate e messe in grado di lavorare. I 3.000 euro di fondi di ricerca sono tanti in assoluto, ma pochissimi se confrontati con l’onere effettivo per la collettività. Che cosa potrebbe succedere al 40% di “sfigati”? Saranno spronati o più forse avranno una giustificazione per lasciarsi andare? È questo il danno (grave) da evitare. Pensiamo a un’analogia tra l’università e una ditta di pulizie. A un certo punto la dirigenza decide che solo il 60% del personale avrà i materiali per lavorare. E gli altri? Si arrangino! Quale sarà il probabile risultato? La produttività scenderà più o meno al 60%. È la solita “strategia” già vista: risparmiare spiccioli e buttare soldi veri. Come ad esempio i circa 300 milioni che l’Italia regala ogni anno per finanziare la ricerca degli altri Stati europei.
Dare 3.000 al 40% dei ricercatori significa investire circa 25 milioni di euro. Questo 40% di ricercatori che non ha i mezzi per lavorare costa invece circa 600 milioni. Ciascuno scelga in autonomia la soluzione “migliore”.
La selezione del “60% migliore” cui fornire normali strumenti di lavoro è un’idea assurda. È una direttiva che proviene dall’alto, da parte di chi va in giro a presentare annunci roboanti. Ci saranno poi degli oscuri funzionari con l’ingrato compito di studiare un decreto attuativo per tradurre i desiderata dei grandi capi.
Purtroppo, dovremmo entrare nell’idea che quando si parla di scienza e università, la politica riesce a dimostrare tutta la sua inadeguatezza, approvando leggi inapplicabili senza riflettere sulle conseguenze. È già successo a inizio legislatura, con il caso Stamina. Il Parlamento alla quasi unanimità ha approvato una sperimentazione che nella pratica non poteva essere eseguita, perché non era neppure chiaro quale fosse l’intruglio da somministrare ai pazienti, senza considerare che iniettare robaccia a caso è indiscutibilmente pericoloso.
Gli interventi legislativi dovrebbero essere orientati al “fare bene”. Sembra sia apprezzato invece l’annuncio del semplice “fare”, anche se in realtà “non si sa come fare”.
Quali potrebbero essere degli interventi migliorativi per questo provvedimento specifico? Innanzitutto, le soglie “relative” del 60 e 20% “migliore” non sono tecnicamente definibili e sono soprattutto insensate. Come spiegato sopra, è pericoloso e controproducente fornire la scusa per non lavorare. Tutti dovrebbero ricevere una minima dotazione. Per non parlare di chi opera negli enti pubblici di ricerca (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Superiore di Sanità) la cui occupazione principale dovrebbe essere di dedicarsi alla ricerca. Inizialmente, il finanziamento dovrebbe essere assegnato alla platea più ampia possibile. In seguito, l’eventuale selezione dovrebbe avvenire confrontando una soglia fissa misurabile in modo certo, ad esempio un certo numero di pubblicazioni. Chi non ottenesse il finanziamento minimo gli anni seguenti sarebbe esclusivamente a causa delle proprie manchevolezze, e non perché gli altri siano “migliori” o “peggiori”.
Questo provvedimento è potenzialmente davvero utile. Sono cose che dico da anni e non posso che essere contento che la politica inizi a recepirle.
Non gettiamo al vento un’occasione per correre dietro a proclami propagandistici.
considerazioni eccellenti in quanto dettate dal buon senso, cioè tutto il contrario di ciò che ispira la logica del governo (di oggi, ma anche di ieri, ieri l’altro, ecc.!) – una ragione di più per votare NO al referendum di dicembre, comunque la pensiate, per mandare il segnale che c’è un paese vivo, che non se le beve tutte come vorrebbero ‘lorsignori’!
“l’eventuale selezione dovrebbe avvenire confrontando una soglia fissa misurabile in modo certo, ad esempio un certo numero di pubblicazioni.”
L’ideologia dominante (“la misurazione quantitativa della qualità della ricerca”) colpisce anche i suoi critici …
Dipende da chi fa le soglie e come vengono usate.
Se le soglie fossero stabilite per SSD dal CUN, e riguardassero un livello minimo di produttività, il tutto allo scopo di far scattare il bonus, allora mi sembra accettabile.
Qui le soglie automatiche vengono considerate per dare un incentivo, non per scatenare una guerra delle cifre tra professori e ricercatori dello stesso dipartimento, e oltre.
Qui nessuno vuole “misurare” nulla. Si tratta solo di trovare un criterio il più possibile inclusivo e soprattutto semplice per assegnare dei modesti fondi di ricerca.
Proposte alternative?
giusta annotazione di Accursio: un vero corto circuito ideologico (involontario, spero).
Un bell’articolo, chiarissimo nel denunciare alcune nefaste logiche del disegno normativo recato dall’art. 41 della legge di stabilità in via di finalizzazione, fra le quali le più importanti sono:
1) a livello di sistema si consumano risorse (generando costi transattivi sia per gli organi ministeriali che per chi concorrerà al premio) per distribuire somme “premiali” che dovrebbero appartenere alla normalità del finanziamento della ricerca ordinaria;
2) l’entità della premialità stessa, 3000 euro, non cambierà la vita a nessuno dei percettori, ma permetterà di comprare il pc nuovo, la stampante e qualche libro, che sono dotazioni ordinarie – mezzi – funzionali all’esplicazione ordinaria del proprio quotidiano lavoro di ricerca;
3) somme che per la loro entità dovrebbero appartenere alla dotazione ordinaria e strutturale necessaria per il lavoro quotidiano del ricercatore sono conferite solo al 60% deila platea (o al 20%) degli aventi titolo astratto alla distribuzione, lasciando inferire che il 40% (o l’80%) non destinatario della distribuzione al termine della procedura sia sostanzialmente inadempiente rispetto alla sua funzione quotidiana e debba quindi essere punito;
4) si annuncia il tandundem sul piano legislativo, salvo delegare i punti chiave della procedura distributiva selettiva alla burocrazia dell’ennesimo decreto che determinerà i dettagli di questa premialità, definendo le minuziose procedure da seguire per vedersi riconosciuto il diritto a questa distribuzione selettiva di risorse;
Ma soprattutto – ed è questa a ben vedere la cosa più grave in una prospettiva dii sistema – si scavalca a piè pari l’autonomia del Dipartimento e dell’Ateneo (quella costituzionalmente riconosciuta, da cui a cascata deriva il margine di autonomia derivata del Dipartimento).
E’ questo il dato allarmante, che va compreso in una logica di sistema.
Esso è del tutto coerente con un disegno complessivo che si sta attuando da parte governativa per distruggere il senso concreto dell’autonomia universitaria prevista nella nostra Costituzione.
Ci si auspica che questo disegno complessivo non sia sfuggito al CUN, alla conferenza dei Rettori e a tutti i consessi istituzionali nei quali l’autonomia protetta dal I e VI comma dell’art. 33 dovrebbe continuare a vivere.
Pensare che non sia opportuno finanziare con fondi aggiuntivi ricercatori inattivi (= che hanno 0 pubblicazioni nell’ultimo triennio) non mi sembra possa definirsi come un soggiacere all’ideologia dominante; mi sembra, invece, puro buon senso.
“un certo numero di pubblicazioni” significa, dunque, almeno 1? Perché non 2, 3, 4 …? Ancora: cosa vuol dire pubblicazione (n pagine? quante?)? E se un ricercatore dedica un triennio alla ricerca, senza però PRODURRE qualcosa di tangibile (magari sta scrivendo un’opera che richiede tempo e riflessione)? Ecco l’ideologia dominante, pseudo-aziendalistica …
Pseudo-aziendalista, caro Accursio, sarà lei.
non so se ripeto concetti gia’ espressi, ma la logica di questo provvedimento mi sfugge
o stimano che ci sia il 40% di inattivi (mi pare difficile), oppure perche’ non dare tra 2000 e 2500 euro a tutti i ricercatori attivi? (a spanne questa potrebbe essere la cifra)
per i matematici, ma immagino anche nelle aree umanistiche, una cifra annua certa del genere a regime farebbe la differenza rispetto allo stato attuale, soprattutto in vista della tanto decantata internazionalizzazione: poter cambiare computer senza rinunciare ad un convegno all’estero, magari in America, poter invitare un collega straniero per alcune settimane, …
vi assicuro che farebbe la differenza, in questo momento la dotazione annua di base nel mio ateneo per un matematico attivo e’ di 800 euro circa (e poi si entra nel circo dei progetti, dei prin,…, cioe’ quando va bene si prendono in media altri 800 euro all’anno, ma non con regolarita’)
per molti matematici, se non ci fosse l’INdAM che ha sempre sostenuto in un modo o nell’altro la ricerca di base, sarebbe stata veramente dura
questi governanti sembrano miopi, se non peggio
come associato poi, trovo totalmente privo di senso “premiare” solo il 20%, si rischia veramente che gli altri comincino a tirare i remi in barca
La “logica” è stata illustrata da Nannicini nell’incontro con rete 29 aprile a cui ha partecipato anche Francesco Sylos Labini. Ci sono circa 43 milioni di euro per questo provvedimento, si stabilisce quant’è la cifra da destinare a ciascuno, e si vede quanti ricercatori e associati possono ricevere questo contributo, affidando ad ANVUR il compito di individuare i “meritevoli”. Il rischio è che soprattutto tra gli associati si verifichi “l’effetto san Matteo” (il ricco diviene più ricco e il povero più povero) dando i soldi a chi li ha già.
Se si dessero 1200 euro circa a ciascuno si potrebbero includere tutti i ricercatori e associati.
Un modesto fondo di spese per la ricerca dovrebbe essere assegnato ad ogni dipartimento, in proporzione al numero dei docenti che vi afferiscono. Il fondo, amministrato dal direttore e dalla giunta, dovrebbe coprire spese relative a ricerche “curiosity driven” che non hanno carattere progettuale e che quindi non dovrebbero poter essere finanziate attraverso progetti di ricerca. Ad esempio la partecipazione a convegni, l’invito a studiosi stranieri per conferenze o collaborazioni in atto dovrebbe essere finanziato in questo modo. Dovrebbe essere evitata la distribuzione a priori dei fondi ai singoli docenti. Pure esclusa dovrebbe essere la spesa non direttamente legata alla ricerca. Da notare che quasi tutte le ricerche di matematica non hanno carattere progettuale: le strade da percorrere e gli scopi da raggiungere dipendono dai risultati man mano conseguiti. Lo stesso si applica a molte ricerche di fisica teorica e a quasi tutte le ricerche umanistiche.
E se in un Dipartimento un Direttore la Giunta non la vuole riunire, che si fa?
Qui stiamo parlando di cifre davvero modeste, eppure per chi lavora nel campo delle scienze sperimentali sarebbero di grande aiuto. In mia opinione, è più efficace dare questi soldi ai singoli docenti piuttosto che al dipartimento. Ci sono una serie di piccole spese per le quali davvero non serve scomodare “la giunta di dipartimento”, tipo serve una nuova guarnizione a un evaporatore rotante, bisogna cambiare una lampada allo strumento HPLC, serve un cacciavite particolare, serve una batteria nuova per il portatile, bisogna comprare il toner della stampante. Sono queste spese strettamente legate alla ricerca oppure no? Non direttamente, eppure senza questi beni si può bloccare tutta l’attività di ricerca. Pensare che per spendere pochi euro si debba scomodare la giunta di dipartimento, beh, onestamente mi sembra inopportuno.
Il bello è che su certi aspetti siamo ipervigili: guai ad affidare la valutazione di un lavoratore al suo superiore, perché si premierebbero i soliti tirapiedi. Invece siamo disposti a mettere in mano ai direttori di dipartimento il denaro per fare ricerca, con il bel risultato che gli/le amanti prosperano, i tirapiedi sguazzano e i meritevoli (regolarmente invisi ai direttori perché autonomi e brillanti) fanno la fame.
“gli/le amanti prosperano, i tirapiedi sguazzano e i meritevoli (regolarmente invisi ai direttori perché autonomi e brillanti) fanno la fame”

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Qui sotto, una realistica rappresentazione di un dipartimento che aveva messo in mano al direttore di dipartimento il denaro per fare ricerca, Il direttore è sdraiato sul letto, attorniato da alcune delle sue concubine, mentre in basso a destra è visibile un truce tirapiedi pronto a sgozzare concubine in disgrazia e meritevoli invisi al direttore. In questa Sodoma e Gomorra dipartimentale, non è da escludere che il tirapiedi sia egli pure un amante del direttore.
Ogni “problema” che una democrazia affronta quotidianamente “non ha una soluzione accettabile”. Come si distingue un colpevole da un’innocente? Qual è la pena adeguata a un reato? Quanti devono essere i parlamentari? Quale stipendio attribuire a un medico ospedaliero? E’ meglio investire in università o in aeroporti? Eppure le soluzioni si trovano, si devono trovare, pena la paralisi. Ognuno di noi ogni giorno classifica (a quale scuola devo mandare mio figlio? con che compagnia aerea volo? in quale ospedale mi faccio operare? da che medico?). Il problema è che le uniche classifiche che ci piacciono sono quelle che stiliamo noi.
Lo stesso autore di questo articolo individua un “probabile risultato” al suo modello in base al quale la produttività di chi non è incentivato discende: ecco un esempio di come anche a un “problema”, in linea di rigore, insolubile (come possiamo entrare nella testa del ricercatore non incentivato? e addirittura generalizzare a tutti i ricercatori non incentivati?) viene data una (possibile) soluzione. Perché mai il legislatore non dovrebbe poter fare altrettanto?
Carissimo, qui non stiamo parlando di “incentivi”. Un incentivo sarebbe avere 3000 euro in più in busta paga, ad esempio, una medaglia del Rettore o una vacanza premio ai Caraibi.
Qui invece si tratta di normali strumenti di lavoro, cioè una dotazione minima per svolgere il proprio compito. Dare i materiali per le pulizie agli addetti non rappresenta un incentivo, significa semplicemente metterli in grado di lavorare.
Se la guarnizione della pompa da vuoto non tiene più e non hai i soldi per comprarla, o ce li metti tu di tasca tua oppure quello strumento non lo usi, quello diminuisce chiaramente la produttività.
Potersi acquistare il toner della stampante non è un incentivo, è semplicemente fornire uno strumento di lavoro.
Per Marco Bella: OK, sostituisci nel mio post il termine “incentivi” con il termine “strumenti di lavoro”. Le domande rimangono tutte aperte.
davvero non capisco come si possa dubitare che togliendo gli strumenti di lavoro la produttività cali. Ci sono due addetti alle pulizie: a uno togliamo l’aspirapolvere. Quale dei due svolgerà il lavoro in modo più efficiente?
Caro Leonardo40 con il sistema in questione per avere degli incentivi (o meglio un elemosina) non bisogna essere meritevoli ma semplicemente meglio degli altri nello stesso dipartimento. Se io sottraggo strumenti di lavoro ad un collega aumento le possibilità di avere una produttività migliore della sua. Quindi morte tue vita mei… aumentiamo il Darwininsmo della sopravvivenza del più scaltro e così sicuramente miglioreremo la qualità della ricerca Italiana. Non penso proprio che succederà questo ma sicuramente renderemo le università dei posti meno piacevoli in cui lavorare.
Comunque il sistema del sottrarre il mezzi minimi di lavoro ai colleghi può aiutarci a rimanere tra i meritevoli. Viva l’università “meritocratica” !
A me sembra che sebbene i problemi nell’articolo siano ben enunciati, ci sia un vizio logico. Non si tratta di “rovesci della medaglia” ma di aspetti complementari evidenti. Tutto dipende dalla dotazione disponibile che non basta a tutti ( e allora si seleziona). E dal presupposto che comunque alcuni (tipo gli ordinari, che ne sono esclusi) hanno già finanziamenti (chissà perche ‘ordinario’ implica finanziamenti gia ottenuti). Inoltre: perche l’esclusione del 40-80% delle altre due categorie? Ma solo perche i soldi sono insufficienti e non per questioni di merito intrinseco. E quindi non vedo niete di specialmente buono o di lodevole nel provvedi, ci vedo soltanto conti semplicistici in salsa pseudomeritocratica, cioe che i fondi sono ridotti e allora si introduce un criterio (merito)metrico che non potrà che essere quantitativo, dal momento che gia il 60-2o-0% lo e. E, volendo quantificare a tutti i costi, perche 3 lavori dovrebbero valere piu di uno, constatando che molti usano il salami slicing, ossia lo smembramento del pollo? Senza sapere nulla, anzi essendo del tutto e pericolosamente ignoranti, mi riferisco sia al legislativo che all’esecutivo (finche esistera la distinzione), su che cosa significa far ricerca creativa.
E lasciamo perdere le/i amanti e i/le tirapiedi, perche entriamo in una logica ancor diversa, come minimo.
Cara Marinella,
Per chi fa ricerca sperimentale, e anche per chi opera nelle scienze umane, una minima dotazione di fondi è davvero importante. Serve a risolvere le emergenze che altrimenti ti impedirebbero di lavorare, tipo toner stampante esaurito, la guarnizione che si è allentata, la riparazione d’urgenza. Non servono grandi cifre. Questa piccola disponibilità è davvero importante per poter svolgere al meglio il proprio lavoro. In questo senso, il provvedimento è lodevole e anche se su altre iniziative ministeriali sono stato molto critico, lo sostengo. Il problema nasce nel COME distribuire questi fondi. Come giustamente osservato anche da altri, l’idea di individuare delle percentuali prestabilite come 60-20-0 è profondamente criticabile sia nel metodo che nel merito. In mia opinione, sarebbe preferibile che i fondi fossero assegnati alla platea più ampia possibile escludendo solo chi è davvero inattivo. Penso che non sia scandaloso chiedere a dei docenti universitari una produzione scientifica minima verificabile in modo semplice. Per questo ritengo che il parametro migliore da utilizzare possa essere un minimo numero di pubblicazioni, o anche semplicemente essere attivi per la VQR. Gli inattivi VQR sono una percentuale minima. Ricordiamoci però che 3.000 euro di fondi per svolgere il proprio lavoro sono una cifra insignificante (meno di un ventesimo nella maggior parte dei casi) dello stipendio lordo di un docente universitario. Infine, va bene protestare, cerchiamo anche di non dire sempre di no a priori e quando ci sono proposte perfettibili tutto sommato sensate, è giusto sostenerle.