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L’autunno caldo delle università: le reazioni degli studenti allo sciopero degli esami proclamato dai docenti

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Lo sciopero autunnale degli esami proclamato dal Movimento per la dignità della docenza universitaria  e sottoscritto da 5.444 docenti sta creando non poco allarme tra gli studenti universitari. Nell’arco di pochi giorni le principali organizzazioni studentesche hanno diffuso comunicati che commentano l’iniziativa e ne sottolineano le conseguenze sulle carriere degli studenti, anche per quanto riguarda l’accesso agli esami di laurea e il rinnovo delle borse di studio. Queste le modalità dello sciopero: «ci asterremo dal tenere il primo degli appelli degli esami di profitto già programmati […]  2) Tutti gli esami corrispondenti verranno, di conseguenza, spostati all’appello successivo, che si terrà regolarmente.  3) Verrà assicurata in ogni caso la tenuta di almeno un appello degli esami di profitto nell’ambito del periodo 1° settembre – 31 ottobre p. v.». Questa la reazione degli studenti dell’UDU: «Riteniamo le rivendicazioni di questo sciopero più che legittime, considerata l’inconsistenza degli interventi statali, sollecitati da vari incontri e missive inviate al Ministero come sottolineato dalla piattaforma dei docenti. Tuttavia, crediamo che l’astensione dagli esami di profitto sia uno strumento di protesta estremamente sbagliato […] L’impianto normativo che ha colpito duramente il sistema universitario italiano era scientifico e programmato. La volontà esplicita è stata quella di disgregare la comunità accademica. La risposta a quei principi non può che essere l’unità.». Anche LINK commenta: «dobbiamo uscire dalla lotta intestina, dalle ritorsioni, dalla visione compartimentale, che alimenta la frammentazione e l’isolamento costante tra le componenti dell’università. Occorre provare a re-indirizzare verso il nemico comune la rabbia di chi vive giornalmente, in forma diversa, le miserie dell’università italiana.». Infine, la Confederazione degli studenti lancia una provocazione, il voto politico: «se proprio si vuole portare avanti la protesta che lo sciopero sia uno sciopero della didattica, della formazione e della valutazione che veda i docenti garantire al primo appello della sessione autunnale il voto politico agli studenti, mandando così un segnale forte circa il loro fondamentale ruolo.».

Il movimento per la dignità della docenza universitaria ha indetto uno sciopero secondo le seguenti modalità:

Nella sessione di esami di profitto autunnale p.v., relativa all’anno accademico 2016-2017, ci asterremo dal tenere il primo degli appelli degli esami di profitto già programmati nel periodo anzidetto, per la durata massima di 24 ore corrispondenti alla giornata fissata per il primo degli appelli che cadano all’interno del periodo 1° settembre-31 ottobre 2017, così come comunicato da ciascun Professore o Ricercatore al Direttore del Dipartimento ovvero alla propria struttura di riferimento.   2) Tutti gli esami corrispondenti verranno, di conseguenza, spostati all’appello successivo, che si terrà regolarmente.  3) Verrà assicurata in ogni caso la tenuta di almeno un appello degli esami di profitto nell’ambito del periodo 1° settembre – 31 ottobre p. v. Pertanto, nelle Sedi in cui i calendari degli esami prevedano un solo appello per gli esami di profitto in tale periodo, e questo cada nel periodo anzidetto, ci asterremo dal tenere tale appello, per la durata massima di 24 ore corrispondenti alla giornata fissata, ma stabiliremo un appello straordinario dopo 14 giorni dalla data del giorno dello sciopero. 4) Verranno assicurati tutti gli esami di profitto al di fuori del periodo 1° settembre – 31 ottobre p. v. 5) Verranno assicurate inoltre in tale periodo tutte le altre attività istituzionali.
Riteniamo che tali modalità conflittuali e di parziale astensione dalle prestazioni istituzionali siano nel contempo rispettose del diritto di sciopero garantito costituzionalmente e del diritto degli utenti di avere servizi ridotti ma non annullati.

 

Questa la presa di posizione dell’UdU:

Sciopero esami: giusta rivendicazione, modalità sbagliata. Le lotte vanno fatte insieme!

Negli ultimi giorni siamo venuti a conoscenza dello sciopero proclamato dal “Movimento per la dignità della docenza universitaria”, che come modalità vede l’astensione dallo svolgimento degli esami di profitto nelle Università italiane. Nel dettaglio, si prevede l’astensione dallo svolgimento di un appello per i docenti che dovessero avere fissato due appelli nella sessione di settembre-ottobre, mentre i docenti che dovessero avere fissato un solo appello dovrebbero astenersi dal suo svolgimento, salvo poi richiedere un appello straordinario nei 14 giorni successivi. Le rivendicazioni dello sciopero riguardano gli scatti stipendiali dei professori e dei ricercatori universitari e dei ricercatori degli Enti di Ricerca italiani: in sintesi viene chiesto il sostanziale sblocco di classi e scatti stipendiali e il riconoscimento dei mancati scatti (dal 2011 al 2015). Riteniamo le rivendicazioni di questo sciopero più che legittime, considerata l’inconsistenza degli interventi statali, sollecitati da vari incontri e missive inviate al Ministero come sottolineato dalla piattaforma dei docenti. Tuttavia, crediamo che l’astensione dagli esami di profitto sia uno strumento di protesta estremamente sbagliato: è inutile produrre un danno diretto agli studenti, che non sono utenti di un servizio, ma parte integrante della comunità accademica e principale componente, non solamente da un punto di vista prettamente numerico. Questa modalità di protesta rischia di produrre una spaccatura nell’università, invece di creare la coesione necessaria a rilanciare le rivendicazioni contro i principi delle riforme che hanno ridotto l’università allo stato disastroso di oggi. Noi studenti siamo stati i primi, in un primo momento isolati rispetto al resto della comunità accademica, dai tempi delle proteste contro la Legge 133/2008 (cosiddetta “Legge Tremonti”), a sottolineare come vi fosse uno scientifico disegno di distruzione dell’università pubblica. Dicevamo che il taglio ai finanziamenti avrebbe portato all’abbattimento dei diritti di tutta la comunità accademica: il diritto allo studio degli studenti, i diritti dei lavoratori per tecnici amministrativi, ricercatori e professori, con il dilagare di precarietà e sfruttamento. Dicevamo che quei provvedimenti avrebbero comportato un duro attacco anche a chi già era incardinato nel sistema della docenza. La Legge 240/2010 (cosiddetta “Legge Gelmini”) ha semplicemente scoperchiato tutte le criticità già contenute nei tagli di Tremonti, provocando tagli al personale amministrativo e introducendo parallelamente una iper-burocratizzazione di tutti i processi. Sono stati imposti procedimenti di accreditamento e reclutamento stringenti che, in un sistema definanziato, hanno limitato il potenziale delle comunità accademiche e spinto a introdurre un sempre maggior numero di numeri chiusi. Ed è stato dato un colpo alla base del sistema, tagliando sul diritto allo studio e portando le università a dover basare una fetta essenziale del proprio bilancio sulle tasse degli studenti, che hanno progressivamente perso la propria natura di semplice “contribuzione”. Invece di puntare a “essere competitivi” da un punto di vista di sistema con gli altri sistemi europei, si è puntato a distruggere ogni possibile cooperazione all’interno del sistema universitario italiano, sollecitando una competizione inutile e folle tra atenei e, all’interno di essi, tra dipartimenti e tra settori. Il tema degli scatti stipendiali era tra i punti critici che avevamo sottolineato già nel 2008 e abbiamo continuato a sottolinearlo anche quando la “Buona Università” è stata inserita dal Governo Renzi all’interno della Legge di stabilità del 2016, senza rinnovare il blocco degli scatti, ma affidando ai bilanci degli atenei, negli anni martoriati dai tagli, a provvedere al risanamento di questa situazione. In uno scenario di questo tipo crediamo che solamente l’unità della comunità accademica, che ha sempre avversato i principi di quei provvedimenti, possa ottenere risultati utili all’università pubblica in Italia. Perché porre in essere una lotta in cui vi è una rivendicazione giusta, da parte dei docenti, con una modalità sbagliata, che rischierebbe di danneggiare gli studenti, che in Europa pagano le terze tasse più alte e sono gli unici a rischiare di essere idonei non beneficiari? Siamo ben consapevoli che il pieno rispetto dei diritti dei docenti sia elemento necessario anche per la qualità della didattica, ancor prima che della ricerca. Per questo riteniamo un errore frammentare il fronte: le battaglie per il diritto allo studio devono andare di pari passo con quelle dello sblocco reale degli scatti stipendiali, con quello del superamento del precariato in università, con la necessità di un reclutamento dei docenti e dei tecnici amministrativi. L’impianto normativo che ha colpito duramente il sistema universitario italiano era scientifico e programmato. La volontà esplicita è stata quella di disgregare la comunità accademica. La risposta a quei principi non può che essere l’unità. Per questo chiediamo che vengano riviste le modalità di questa protesta dei docenti. Le lotte giuste vanno fatte insieme: gli studenti non possono doppiamente vittime della protesta e di questo sistema universitario.

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Di seguito riportiamo anche il comunicato di LINK:

E’ notizia di questi giorni la proclamazione dello sciopero degli esami di profitto da parte di professori e ricercatori, che attraverso una lettera hanno raccolto in poco tempo più di 5000 firme di aderenti da tutte le Università d’Italia, per la richiesta degli scatti stipendiali bloccati nel quinquennio 2011-2015.
Lo sciopero è previsto per la sessione d’esame autunnale, comprendendo il periodo tra il 28 agosto e il 31 ottobre. Inoltre, nel testo della lettera, si assicura che nel caso il calendario d’esami preveda un solo appello, sarà prevista la possibilità di sostenere l’esame entro 14 giorni dall’astensione.

La decisione della proclamazione dello sciopero, come conseguenza di una battaglia che da tempo interroga la componente docente e non solo, è stata seguita da una scia di polemiche in aule, biblioteche e bacheche facebook, soprattutto riguardanti la forma della protesta ed i disagi che produrrebbe sugli studenti. Non neghiamo che l’astensione dal tenere gli esami produce contrapposizioni con gli studenti, che si sentono lesi dalla forma di sciopero scelta dalla componente docente, componente che in questi anni è stata poche volte accanto alle nostre battaglie per i diritti degli studenti e delle studentesse. Altrettanto chiaramente, però, è necessario fin da subito stabilire che per formulare un punto di vista lucido e chiaro dobbiamo uscire dalla lotta intestina, dalle ritorsioni, dalla visione compartimentale, che alimenta la frammentazione e l’isolamento costante tra le componenti dell’università. Occorre provare a re-indirizzare verso il nemico comune la rabbia di chi vive giornalmente, in forma diversa, le miserie dell’università italiana.
Chiariamo fin da subito che porteremo negli organi accademici e non solo la necessità di fissare gli appelli straordinari derogando a regolamenti e statuti. Occorre ricostruire l’unità d’intenti che anni di definanziamento e dequalificazione hanno tanto abilmente decostruito.
Le scelte politiche, da vent’anni a questa parte, hanno trasformato radicalmente i nostri atenei. Oggi ci scontriamo con una riduzione di un quinto dell’intero settore, tra calo delle immatricolazioni, taglio di docenti e personale e cancellazione di corsi, tutto secondo criteri arbitrari, legittimati dalla retorica meritocratica. La necessità di adeguamento ai criteri valutativi imposti dall’alto e la compulsiva subordinazione alle logiche di un mercato strutturalmente in crisi, hanno prodotto un graduale svuotamento dei nostri corsi e svilimento della didattica. Un esito prevedibile, che ha esteso numeri chiusi e portato all’annullamento della produzione e trasmissione di sapere critico. Oggi l’università si affronta in fretta, di malavoglia e con l’ansia dell’accumulo dei cfu, con l’ansia della fine. Eppure l’Università che ci viene consegnata è il risultato di politiche precise, che oggi stiamo subendo.

Scriviamo consapevoli di essere tra quelli che vivono l’ansia da prestazione per l’ultimo esame da dare nella sessione estiva, pensando già a quello da recuperare nella sessione autunnale, perché altrimenti rischiamo di perdere la borsa di studio o di deludere le aspettative dei genitori che con sacrifici sostengono i nostri studi. Siamo tra quelli che vivono la riduzione di appelli nei nostri corsi, con un conseguente contingentamento dei tempi di studio, nonostante il rigoroso pagamento di altissime tasse universitarie. Siamo tra quelli che hanno vissuto l’accesso all’università in apnea, perché un test d’accesso avrebbe deciso sul futuro percorso di studi e di vita. Siamo tra quelli che apprendono ogni giorno, nelle aule, un sapere acritico, asservito alla logica di occupabilità sul mercato del lavoro, per poi confrontarsi con i “prestigiosi” lavori precari offerti con contratti a chiamata o attraverso i nuovissimi voucher. Siamo tra quelli che per “fare esperienza” si confrontano con la realtà del tirocinio o dello stage che si concretizza spesso in vere e proprie forme di sfruttamento con orari asfissianti. Siamo tra quelli che non hanno mai sostenuto un esame con il proprio professore, ma sempre con un assegnista o un dottorando, esausto dal carico di lavoro. Siamo tra quelli che rinunciano alla possibilità di fare il dottorato e ricerca, perché sarebbe come giocare alla lotteria per poi vivere in una situazione di costante precarietà.
Siamo tra quelli che dentro l’Università dell’eccellenza hanno subito l’instillazione del senso di colpa, ma siamo anche quelli che hanno sempre rifiutato l’autocommiserazione o la paura del senso di isolamento, che si sono sempre battuti per trasformare questo modello di università asfissiante ed escludente, provando a creare meccanismi inclusivi e solidaristici.

Oggi siamo consapevoli di quel che costa perdere un appello di esame, ma siamo anche consapevoli che un costo tanto alto sta in capo a chi ha distrutto l’università pubblica negli ultimi vent’anni. Oggi vogliamo confrontarci con i docenti e i ricercatori per alzare la testa insieme.
Siamo pronti a mobilitarci per liberarci dalle ingiustizie, ripartendo dal ruolo centrale della conoscenza, della ricerca e della cultura per la costruzione di un futuro migliore per tutti e tutte.
Per non renderci complici di un disfacimento progressivo, riteniamo irrinunciabile il nostro ruolo. Abbiamo la necessità di riaprire un dibattito ampio e generale che coinvolga tutte le componenti dell’università, a partire dalla convocazione di assemblee per ogni appello perduto.
Non abbiamo alternative, non abbiamo vie di fuga: ci troverete alle vostre porte, a bussare ancora più forte.

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Infine, ecco la reazione della Confederazione degli studenti:

In questi giorni è circolata una lettera di protesta di 5300 docenti universitari tra ordinari, associati e ricercatori con la quale proclamano uno sciopero con astensione dall’espletamento del primo appello d’esame prevista per la sessione autunnale.
Comprendiamo il motivo della protesta, ma siamo indignati dal metodo scelto da tali professori e dalle tempistiche utilizzate.
Tale sciopero letteralmente distrugge la programmazione degli esami annuale di uno studente, causando un blocco della sua carriera e quindi un danno sia nelle tempistiche di laurea che economico. I crediti maturati entro ottobre sono fondamentali per le richieste di borse di studio, per e la mobilità internazionale e la sessione di settembre è per molti l’ultimo step prima della laurea ad ottobre. Invece di cercare unità della comunità studentesca nel protestare contro il Ministero questa protesta è quanto mai divisoria, e se venisse portata a termine sarebbe l’ennesima ferita aperta tra studenti è corpo docenti. Appelli extra e posticipo delle date non risolvono il problema e rimangono inaccettabili poiché le tempistiche della sessione settembre ottobre rendono impossibile fissare tutti i nuovi appelli in tempi utili. Per questo come #Confederazionedeglistudenti abbiamo una semplice richiesta: ripensateci! Chiediamo inoltre ai Rettori, ai direttori di dipartimento, ai presidenti di CdL, nonché al garante degli scioperi, di attuare tutte le pressioni necessarie affinché vengano rispettati i calendari di esame e le sessioni prestabilite nonché i regolamenti didattici che chiaramente definiscono il numero di appelli annui (oltre che le loro tempistiche), poiché solo il rispetto di tali regolamenti davvero tutela la dignità degli studenti, che altrimenti verrebbe per l’ennesima volta calpestata.
Chiudiamo con una provocazione: se proprio si vuole portare avanti la protesta che lo sciopero sia uno sciopero della didattica, della formazione e della valutazione che veda i docenti garantire al primo appello della sessione autunnale il voto politico agli studenti, mandando così un segnale forte circa il loro fondamentale ruolo.
#dallastessaparte

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16 Commenti

  1. Ottimi segnali.
    Per mesi e mesi siamo stati in agitazione contro le pratiche antiscientifiche dell’ANVUR e contro la VQR.
    Su questo abbiamo scritto, ci siamo riuniti in assemblee, molti di noi hanno alla fine sabotato il processo non rendendo disponibili le proprie pubblicazioni per la VQR, con conseguenze anche personali.
    Ma nessuno in Italia sembra averlo saputo. Neppure le associazioni studentesche che ora si pronunciano in merito allo sciopero.
    La “Confederazione degli studenti” invocando persino la restrizione del nostro diritto a scioperare, come se nell’Italia contemporanea ci fosse bisogno di simili appelli rivolti al potere.
    Tutto questo vuol dire comunque che finalmente la situazione dei docenti italiani, e quindi anche dell’Università, arriva alle orecchie delle famiglie e del corpo sociale, uscendo dai confini dell’accademia.
    Una ragione in più, tra le tante, per confermare lo sciopero, e farlo con la profonda convinzione di stare agendo in difesa di tutta l’Università, compresi i nostri studenti.

  2. Finalmente il disagio degli universitari esce da un circuito interno in cui, salvo piccoli spiragli, è restato confinato per troppo tempo. Sono tra gli oltre 5000 firmatari e quindi, se necessario, in autunno sciopererò. Ma l’osservazione migliore sentita finora sul tema, una buona volta uscito allo scoperto, proviene dall’UDU. Gli studenti non sono gli utenti di un servizio – come li rappresentano e li vogliono ridurre MIUR, ANVUR e pensiero mainstream – ma parte integrante, fondamentale, della comunità accademica. Non si può non tenere conto di questa verità.
    Mi sono astenuto dal presentare i miei “prodotti” per la VQR, unico nel mio dipartimento, dopo avere subito l’ammonizione che così facendo, avrei contribuito a sottrarre fondi per assegni di ricerca e la ricerca stessa dipartimentale. Francamente, allora non me ne era importato niente. Per il giorno dello sciopero mi sto orientando – una volta spiegato agli studenti il mio proposito – a svolgere ugualmente gli esami, ma evitandone la verbalizzazione fino a un altro appello straordinario di lì a un paio di settimane dopo, in cui mi limiterò a una semplice registrazione dei voti agli studenti che si presenteranno all’appello, già assegnati informalmente. Conseguenze: sciopero svolto, ma riduzione al minimo dei disagi per gli studenti.

    • Permettimi di contestare questo tuo orientamento. Così facendo, vanifichi il senso stesso dello sciopero, oltre a fornire un’interpretazione personale e arbitrariamente limitativa delle modalità del suo svolgimento, che parlano espressamente di astensione dagli esami di profitto, e non solo di astensione dalle relative verbalizzazioni.
      Indubbiamente gli studenti sono parte importante della comunità accademica, tuttavia è innegabile che nel momento dell’esame emerga palesemente anche l’aspetto della fruizione di un servizio da parte loro.
      E’ altresì parimenti innegabile che la produzione di un disagio (per quanto minimo) nello svolgimento di un servizio sia naturalmente correlata all’indizione di uno sciopero.
      E’ forse il caso di ricordare che alla predetta astensione dagli esami si giunge dopo anni di mancato ascolto da parte delle istituzioni. Non si tratta, dunque, di un capriccio, ma di una scelta motivata, e portata avanti da un Movimento che ha dovuto inserire nella sua denominazione la parola “Dignità”, perché ormai è di questo aspetto che si discute.
      Spiace sempre creare un disagio, ma dispiace altrettanto vedersi calpestare nella maniera ampiamente descritta da Carlo Ferraro nelle sue gravi conseguenze sul medio-lungo periodo.
      In casi del genere, a mio avviso, è senz’altro controproducente dare un colpo al cerchio e uno alla botte: o si aderisce pienamente alle (peraltro veramente blande) modalità di sciopero, oppure tanto vale lasciar perdere e rimanere inerti in attesa degli eventi. O dei non-eventi.

  3. Anch’io cercherò di limitare al massimo il disagio per gli studenti e non è difficile farlo
    E’ invece molto importante che, rispetto a una situazione oggettiva di ridimensionamento dell’istituzione universitaria, si possa vedere un movimento che nasce davvero da chi ci lavora e ancora ci crede, senza secondi fini e senza spinte estranee.

  4. Che autogol colossale e irrimediabile è stato il mancato boicottaggio della VQR!

    Non so cosa percepiscano studenti e docenti dei disagi altrui. Mi pare che gli studenti non comprendano, in media, che la battaglia per gli scatti – per la quale oramai, falliti il dialogo e la ragionevolezza, è rimasta soltanto l’arma dello sciopero – va ben oltre questa frontiera retributiva; infatti la parola “dignità” non è usata a caso e allude anche a tutta la sfera dei meccanismi messi in opera dall’Anvur su delega del governo, che come si è visto è possibile decostruire (con gande fatica, ROARS lo testimonia) ma non demolire o rimandare all’inferno (intellettuale e concettuale) dal quale provengono. Quanto allo sciopero, causa sempre disagio, per definizione. Per diminuirlo, penso che il voto politico potrebbe essere applicato. Mi pare però che nemmeno i docenti comprendano, in media, in quale gabbia disumana di conteggio dei cfu (con quanto implicato sul piano della didattica e della burocrazia, e lessicalizzata come “programmazione”) sono stati infilati gli studenti, dal MIUR ecc. con la fattiva collaborazione della media del corpo docente.

    Cosa fa nel frattempo la CRUI? La sua ultima fatica è questa, parrebbe: Manuale sulla Didattica Universitaria. Istituzione, attivazione e accreditamento dei Corsi di Studio. Novità introdotte da AVA 2.0 e dal DM 987/2016, Vincenzo Zara, Emanuela Stefani, maggio 2017. Questo manuale costituisce una guida pratica per il lettore che intende disporre, attraverso un unico strumento, di una fonte esaustiva che illustra e dipana, in modo integrato e puntuale, la pluralità di disposizioni che la normativa in tema di didattica universitaria ha visto stratificarsi negli anni. La trattazione dà spazio a tutti i principali focus tematici della materia – con riferimenti alla governance, alla SUA-CdS, al quadro degli indicatori, ai processi di attivazione e accreditamento, alla valutazione della qualità, ai Corsi di Studio ad orientamento professionale e a quelli internazionali – con un approccio che, da un lato, fa chiarezza sulla cornice normativa di riferimento e, dall’altro, offre interpretazioni, chiarimenti e indicazioni operative per gli addetti ai lavori degli Atenei italiani.
    Pubblicato in CRUI NEWS.

    • Il voto politico porta la memoria ad anni infausti, nei quali si gettavano le basi della tecnocrazia che oggi ci sta distruggendo. Esso è la negazione totale di ogni principio di meritocrazia e valutazione (intesi nel senso buono e fisiologico, e quindi non secondo la retorica ministerial-anvuristica), e contribuisce a diffondere un’idea sbagliata di eguaglianza e di diritto allo studio.
      Lo sciopero ha ad oggetto l’astensione dagli esami di profitto: ed astensione dagli esami di profitto sia, senza variazioni sul tema come concessione del voto politico o differimento della sola verbalizzazione d’esame.

  5. Permettete: scioperare si può, anzi si deve. Tuttavia la situazione è così drammatica: nelle biblioteche comunali che talora vengono aperte un giorno a settimana, nelle biblioteche universitarie e nazionali, negli archivi centrali e periferici, nelle scuole di ogni ordine e grado, nei musei, nei siti archeologici per non parlare degli ospedali che sarebbe necessario uno sciopero generale di tutte le categorie per la Scuola, per l’Università, per la Ricerca, per la Cultura. Ora mi chiedo, ma è davvero impossibile chiedere ai metalmeccanici, agli edili etc un sostegno spiegando che si tratta di sostenere il futuro dell’Italia e anche dei nostri figli (i miei stanno all’estero prospettive qui nulle, in Europa contratti regolari). Piero Morpurgo
    P.S. Giovanni Pascoli a suo tempo auspicava che un ministro affidasse ai professori di bruciare tutto e di rifare tutto! http://www.gildaprofessionedocente.it/news/dettaglio.php?id=334

  6. oggi leggo questo:
    http://www.scuola24.ilsole24ore.com/art/universita-e-ricerca/2017-07-18/sciopero-docenti-universitari-dottorandi-uno-scatto-dignita-tutti-190207.php?uuid=AErDcNzB

    i dottorandi hanno tutte le ragioni, ma per molti di loro (per i motivi più diversi) il rapporto con l’università dura appunto solo il tempo del dottorato, perciò la loro ‘voce in capitolo’ come categoria non può essere udita dai caporioni del MIUR

  7. Il benaltrismo in questi cassi dilaga. Tutta la mia solidarietà ai precari e agli studenti, ma se si continua a dire che i problemi sono altri e che si sarebbe altro da fare non si va da nessuna parte. Otteniamo un prio risultato sugli scatti e poi impegniamoci su altri fronti.
    Io mi impegno ad impegnarmi. Bisticccio voluto,

  8. La reazione degli studenti era attesa e voluta, e’ grazie a loro che l’azione di protesta si amplifica ed aumenta la probabilita’ di successo.
    Bene dunque che siano preoccupati per gli esami, la carriera, la borsa di studio, e che facciano sentire sonoramente la loro voce. Vuol dire che lo sciopero ha impatto, funziona!
    Io inviterei tutti gli aderenti allo scipero di stimolare queste reazioni scomposte, non di cercare di affievolirle facendo lo sciopero “per finta”.
    Se vogliamo vincere, e questa e’ la prima di tante battaglie, bisogna che ora solleviamo un polverone impressionante.
    Qualche studente avra’ dei problemi? Certo che si’, compresi i miei due figli, entrambi prossimi alla laurea, e che probabilmente slittera’ per entrambi.
    Solo uno sciopero che causa disagi profondi e che impatta su tutte le famiglie ha speranza di sortire il successo a cui tutti auspichiamo…
    Non rifacciamo l’errore della VQR, cioe’ una forma di protesta che viene a stento compresa solo dagli addetti ai lavori.
    QUI SERVE SCATENARE UN PUTIFERIO! IL PRIMO DI TANTI ALTRI CHE VERRANNO, PER IL DIRITTO ALLA STUDIO, IL PRECARIATO ED IL SOTTOFINANZIAMENTO ALLA RICERCA…

    • Concordo con Angelo Farina. E proprio per questo motivo rimango veramente perplesso, come ho avuto modo di scrivere, quando leggo di colleghi che, interpretando in maniera arbitraria e restrittiva le modalità di attuazione dello sciopero, intendono rinviare solo la verbalizzazione degli esami (e non anche gli esami stessi), o fanno proposte ancora più bislacche (per non dire altro) proponendo il voto politico.
      Anche a costo di apparire ripetitivo, ricordo che lo sciopero consiste nell’astensione dagli esami di profitto. Tutto il resto è un bluff, innanzitutto con se stessi. Non dimentichiamoci che si tratta di una modalità talmente blanda da risultare quasi innocua: evitiamo pertanto di scadere nel ridicolo annacquandola ulteriormente in maniera arbitraria.

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