L’emergenza da Covid19 che sta vivendo il nostro Paese, non ha solo mandato in crisi il sistema sanitario (in particolare di alcune Regioni, e fra queste la più ricca e meglio organizzata di esse, la Lombardia, perché in altre – Calabria in primis – non vi è stata alcuna soluzione di continuità fra “dissesto pre-pandemia” e “crisi da Coronavirus”), quello produttivo dell’intero Nord, i rapporti, peraltro già tesi, fra il nostro Paese e le Istituzioni Europee, ma anche quel che appariva già ampiamente traballante da alcuni anni, il sistema delle fonti del diritto. Illustri costituzionalisti, a partire dal massimo esperto vivente di fonti, Antonio Ruggeri, Maestro indiscusso, che al tema ha dedicato gran parte della sua sconfinata produzione scientifica, anche molto di recente hanno sottolineato e ribadito come questi straordinari eventi abbiano dato un colpo pressoché definitivo alla sistematica delle fonti nel nostro ordinamento giuridico.[1]
A tal riguardo e alla luce dei numerosi provvedimenti di vario rango emanati dallo Stato e dalle Regioni, ci si è molto correttamente domandato se la sospensione di diritti fondamentali o inviolabili riconosciuti e tutelati dalla Costituzione repubblicana possa essere correttamente prevista da norme di rango primario, ma adottate nell’esercizio della funzione legislativa, dal governo o, peggio, da norme secondarie (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, Ordinanze, ecc.) o, infine da norme primarie delle Regioni.
Non possiamo non notare che, ogniqualvolta nel nostro Paese ci si riferisce alla legislazione dell’emergenza (e in questo momento pensiamo alle disposizioni normative limitative delle libertà personali adottate per combattere il terrorismo negli anni di piombo) si vuole in realtà intendere, facendo leva su presunte necessità di efficacia ed efficienza dell’azione, all’idea di procedere alla “sospensione” (o anche solo “limitazione”) delle libertà personali, attraverso il più agile (ma quanto costituzionalmente legittimo?) strumento dell’atto avente forza di legge, o, peggio, dell’atto monocratico del capo dell’esecutivo, secondo un atteggiamento assai discutibile che fa leva sull’ovvio adagio secondo il quale il fine giustificherebbe il mezzo.
Una riflessione, ben più approfondita, si imporrebbe sul concetto della “democrazia ai tempi dell’emergenza” e sui limiti alla sospensione della Costituzione, ma essa travalicherebbe il senso di questo breve intervento volto a sottolineare, ancora una volta, la cedevolezza di alcuni istituti in ragione della presunta emergenza.[2] Ci riferiamo, in particolare, alle recenti disposizioni emanate con D.L. n. 22 dell’8 aprile 2020, che, fra l’altro, nel tentativo, a nostro giudizio molto maldestro, di “sostenere” il sistema universitario italiano in un momento particolarmente delicato (tutti gli Atenei sono praticamente chiusi, le lezioni del secondo semestre si tengono esclusivamente da remoto, ma anche gli esami, quelli orali e talvolta anche quelli scritti, si tengono online, non senza perplessità e incertezze perché l’infrastruttura tecnologica non consente di verificare la correttezza e trasparenza della prova il personale tecnico amministrativo lavora da casa, le biblioteche sono chiuse, ecc.), “sospende” l’autonomia universitaria costituzionalmente garantita, sancendo il rinvio al termine dell’emergenza sanitaria del rinnovo di tutte le cariche accademiche (monocratiche e collegiali) in itinere degli Atenei (confrontare, a questo proposito, l’art. 7 del Decreto Legge).[3] Il legislatore non si limita a prevedere, come pure poteva e doveva fare, che i singoli Atenei, a loro discrezione e con delibera degli organi preposti, potevano procedere al rinvio delle elezioni degli organi in scadenza nel periodo dell’emergenza, ma, cosa ben più grave, ne ordina direttamente la sospensione, privando le Università di ogni discrezionalità al riguardo, procedendo a estendere il regime di prorogatio degli attuali titolari delle cariche e provvedendo, altresì a individuare gli eventuali sostituti che, nella pienezza dei poteri, esercitano le relative attribuzioni. L’estensore della norma ha conoscenza molto profonda del sistema universitario (non fosse altro perché fa riferimento al decano dei docenti di prima fascia, figura del tutto sconosciuta ai non addetti ai lavori), ma nel tentativo, a giudizio di chi scrive molto mal riuscito, di non gravare i singoli Atenei anche della organizzazione “a distanza” delle procedure elettorali, ha finito per “abbattere” ogni residuo dubbio sulla cedevolezza dell’autonomia universitaria e sull’uso strumentale che di detta autonomia viene fatto nel dibattito politico, accademico e, da ultimo, ma non per ultimo, fra i giuspubblicisti.
La lezione che mi pare si possa correttamente trarre dalla disposizione pubblicata ieri nella Gazzetta Ufficiale, conferma, ancora una volta, quanto il Maestro Antonio Ruggeri da tempo va sostenendo in ordine alla confusione che regna sotto il cielo del diritto costituzionale in Italia (e in particolare nel sistema delle fonti).
[1] Cfr. A. Ruggeri, Il coronavirus, la sofferta tenuta dell’assetto istituzionale e la crisi palese, ormai endemica, del sistema delle fonti, in Consulta Online, 1, 2020; S. Prisco, F. Abbondante, I diritti al tempo del coronavirus. Un dialogo, in federalismi.it, 2020.
[2] Invero la Costituzione non ha inteso disciplinare – eccezion fatta per lo stato di guerra – alcuna situazione di emergenza anche al fine di evitare di prevedere una specifica disposizione volta a disciplinare la eventuale sospensione dei diritti fondamentali e, più in generale lo stato d’eccezione. Memore, evidentemente, di quanto statuito dalla Costituzione di Weimar (art. 48) e dell’abuso che di esso fece il regime nazista. La memoria storica non ha impedito, tuttavia, al governo ungherese di chiedere (ed ottenere) dal Parlamento l’approvazione di una legge che, nell’esercizio dei poteri straordinari di cui all’art. 53 della Legge Fondamentale di quel Paese, ha affidato all’Esecutivo la facoltà di sospendere la vigenza di alcune leggi in ragione dell’emergenza sanitaria. La lettera e lo spirito del provvedimento normativo approvato dal Parlamento ungherese (che di fatto si autosospende a favore del governo) confermano, ancora una volta, la vocazione autoritaria che pervade alcuni Paesi dell’Est, peraltro membri dell’Unione europea.
[3] Per una puntuale ricostruzione del tema dell’autonomia universitaria cfr. R. Calvano, La legge e l’Università pubblica. I principi costituzionali e il riassetto dell’Università italiana, Napoli, 2012.
Testo apparso anche su Diritti Fondamentali.
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