Da cittadini, prima che da docenti, ci ha particolarmente colpito la modalità epistolare con la quale il Ministro dell’Istruzione e del Merito, on. Giuseppe Valditara, ha cercato, sin dai primi mesi del suo incarico, di rivolgersi direttamente alle studentesse, agli studenti e alle loro famiglie, quasi volesse inaugurare una nuova stagione culturale con uno stile comunicativo immediato e colloquiale in grado di azzerare la distanza tra le posizioni apicali e la periferia. In realtà, si tratta di una modalità che con un colpo di spugna cerca di azzerare tutto ciò che è nel mezzo, vale a dire quella prossimità necessaria e costitutiva di una istituzione pluralistica, laica e democratica, quale è la scuola, mandando in confusione gli insegnanti, gli operatori e persino i Dirigenti Scolastici che lavorano giorno dopo giorno a contatto con le giovani generazioni.

Proprio per questo, non ci stupisce constatare che il Ministro non sia intervenuto per denunciare il pestaggio in stile squadrista, avvenuto di fronte alla scuola Michelangiolo di Firenze e subito da due studenti, picchiati da militanti del gruppo di destra Azione studentesca.

Ad intervenire sono stati, invece, tanti docenti e D.S., che si sono mostrati solidali con gli studenti aggrediti, rimarcando che la scuola pubblica italiana è antifascista.

A ribadire questo concetto, in particolare, è stata la D.S. del Liceo scientifico Leonardo da Vinci, la quale, citando addirittura Gramsci, ha invitato le studentesse e gli studenti della scuola che dirige a condannare ogni forma di violenza e prepotenza. Insomma, proprio una bella lettera! Una di quelle capaci, magari, di educare ai valori dell’antifascismo e di ispirare comportamenti resistenti, non resilienti, propri di chi, invece, rimane indifferente di fronte ai soprusi o alle intimidazioni.

La risposta del Ministro, guarda caso, è arrivata solo dopo che la lettera della Dirigente Scolastica Annalisa Savino, divenuta virale, ha animato la discussione politica, oltre quella virtuale del Web.

Quasi volesse avocare a sé l’esclusività della modalità di comunicazione epistolare, il Ministro Valditara ha rubricato la lettera della D.S. del da Vinci come “inappropriata”, mentre “ridicolo” gli è parso pensare ad un rischio fascismo in Italia.

È inutile girarci intorno, lo smarrimento, al confine tra l’alienazione e l’atteggiamento psicotico, di chi lavora nella scuola, di chi sta nel mezzo, deriva da una serie di contraddizioni che gli insegnanti vivono quotidianamente, presi tra indicazioni profondamente contrastanti. Essi si trovano ad obbedire, da un lato, alla formazione pedagogica ricevuta, orientata a generare, sulla base dei valori di una società che tutti/e vorremmo più civile e lontana da ogni forma di violenza, il benessere e l’inclusione delle studentesse e degli studenti mediante piani di studio individualizzati e personalizzati, ma, dall’altro, essi devono sottostare a procedure standardizzate, anonime e anomiche.

La vocazione pedagogica dell’insegnamento si smarrisce e il ruolo di educatore sembra dover essere delegato a chi è posto al vertice del sistema. Le/i docenti, invece, vengono lasciati alle prese con adempimenti meccanici imposti da un sistema, come l’INVALSI ad esempio, volto sempre più alla misurazione della performance e teso alla mera valutazione comparativa, alla esibizione proterva di dati. Poco importa se, poi, questi dati verranno conservati da enti privati, interessati a trafficare con ciò che di più prezioso c’è nella nostra società e che non a caso essi chiamano capitale umano da sviluppare, mentre noi ci ostiniamo a definire nuove generazioni in crescita.

E, allora, dobbiamo constatare di trovarci già dentro ciò che abbiamo definito la prospettiva della Psicoistruzione[1], ossia un regime scolastico ansiogeno, iperstressante, in primo luogo, per le nostre studentesse e per i nostri studenti, impegnate/i, ancora e ancora, nel dimostrare di poter meritare la conquista del proprio posto nel mondo adulto. E lo fa, in particolare, adeguandosi alle richieste di un sistema che, in verità, appare più pronto a colpevolizzare l’errore, la mancanza taylor-fordista di efficienza e di efficacia in termini di demerito, ma, nei fatti, come dimostra ogni ricerca di settore in tal senso, non è mai pronto a premiare il merito, in termini di effettiva ascesa sociale.

Ora, a fronte di questo continuo clima di pressione, che viene esercitato sulle ragazze e sui ragazzi al punto da mandare in tilt le loro strutture cognitive e la loro tenuta emotiva; a fronte di una richiesta sempre più ineludibile di assistenza psicologica all’interno delle scuole per episodi di crisi di panico, disturbi del comportamento e fenomeni affini derivanti dall’eccessiva enfasi posta sulla prestazione, che deve tendere necessariamente al successo, vogliamo provare a rendere conto dell’altro volto della Psicoistruzione. Vogliamo, cioè, provare a soffermarci su quel clima psicotico, schizofrenico e iperstressante che grava pesantemente anche sulle/sugli insegnanti e che, a nostro avviso, deriva in gran parte da uno smarrimento generale davanti alle indicazioni che dovrebbero orientare la loro professione nonché, come afferma l’indagine Eurydice Insegnanti in Europa: carriera, sviluppo professionale e benessere, dall’eccesso di lavoro amministrativo che imbriglia il potere trasformativo e liberante dell’azione pedagogica.

E, in effetti, nel momento in cui scriviamo queste considerazioni, noi contiamo in soli tre mesi di governo già tre comunicazioni epistolari davvero molto discutibili, per non dire perniciose sotto il profilo pedagogico, rivolte dal ministro alle studentesse, agli studenti e ai loro genitori. Le tre epistole sono state scritte in occasione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, del Giorno della Libertà e in relazione all’orientamento scolastico, ma vi è stata anche una circolare dal sapore agrodolce rivolta ai Dirigenti scolastici sull’uso dei dispositivi elettronici nelle classi.

Andando in ordine di tempo, la lettera più recente è quella del 19 dicembre 2022, indirizzata ai genitori sul tema dell’orientamento scolastico al mondo del lavoro, in cui il ministro snocciola una serie di dati per dire sostanzialmente che c’è bisogno di manodopera in Italia e mandare i figli all’università è un’impresa costosa per le famiglie che non sono adeguatamente avviate alle professioni ereditarie, per cui «quando scegliete la scuola», dice Valditara ai genitori, «pensate bene al lavoro che dovranno fare da grandi». Conseguentemente, a tal scopo il governo intende introdurre, oltre alle 90 ore per i PCTO, che gli stessi studenti e le stesse studentesse, accanto a molti Dirigenti, chiedono a gran voce di eliminare, ulteriori 30 ore curricolari, da sottrarre alle varie discipline, come già avvenuto con l’introduzione dell’educazione civica, mediante le quali i docenti tutor, quelli più pagati, quindi più bravi e meritevoli, dovrebbero avviare gli studenti e le studentesse al mondo del lavoro. A ben vedere, era già chiaro nelle indicazioni dell’ex ministro Patrizio Bianchi, il cui impianto sul futuro delle istituzioni scolastiche non sembra essere affatto cambiato, che l’avvento del docente esperto sarebbe stato orientato a creare una linea di demarcazione netta tra chi avrebbe solo insegnato, con la formazione accademica classica, e chi, invece, a fronte di un addestramento specifico erogato dalla famosa e fumosa Scuola di Alta Formazione, avrebbe fatto altro e guadagnato di più.

Insomma, la qualifica di docente esperto, che adesso viene risemantizzata con docente tutor, senza, tuttavia, essere ancora accompagnata da precise indicazioni d’indirizzo, a parte ripetute interviste e informali prese di posizione del ministro attuale intorno ad una tavola imbandita in stile ottocentesco, dovrebbero discriminare nel merito chi semplicemente insegna le discipline che ha studiato nel percorso accademico – il minus non ulteriormente remunerato – da chi, a latere, accompagna le studentesse e gli studenti nel cercare lavoro, nell’orientare e riorientare – il plus remunerato –, anche se, di fatto, essi dovranno abbandonare l’insegnamento disciplinare.

Questo cervellotico e psicotico sistema duale, che distingue tra docenti che insegnano e docenti che orientano e indirizzano verso il mondo del lavoro, già ora mostra i suoi tratti alienanti negli anfratti burocratici di una serie di incarichi facoltativi, tra cui il tutor PCTO e le cosiddette “figure di sistema” – tra le quali spicca per mole di lavoro elargita ed effimera retribuzione ricevuta quella del coordinatore di classe – che disperdono senza grandi risultati formativi e molto stress le energie dei e delle docenti. Del resto, questo doppio canale, che sarebbe il fiore all’occhiello del sistema meritocratico all’interno della scuola pubblica, sarebbe solo psicotico e alienante per molti, se non sottendesse anche una precisa scelta politica sul futuro dell’istruzione, dal momento che il senso di voler dotare gli istituti di personale aggiornato e formato, non nelle discipline insegnate, ma in questioni collaterali all’insegnamento, non è che un modo, come prevede la Legge n. 79 del 29 giugno 2022, di formare, a nostro avviso, figure di sistema destinate al middle management della scuola, che dovranno assistere il Dirigente nella transizione verso l’autonomia differenziata.

Ecco, uno degli effetti immediati del regime della Psicoistruzione è quello di generare confusione al fine di poter introdurre surrettiziamente indicazioni operative e precise dall’alto sul da farsi e non sul potenziale generativo della cultura e della libertà d’insegnamento, sulle connessioni inedite che vengono dalle suggestioni della cultura umanistica e scientifica, delle scienze naturali e dello spirito, dallo studio, in ultima analisi, che da sempre i docenti hanno stimolato e incoraggiato con lezioni più o meno coinvolgenti. E la cosa che più preoccupa è che tutto ciò avviene a detrimento del pensiero critico, prima sbeffeggiato come troppo filosofico, astratto, inutile, resistente, addirittura utopico per le sue connotazioni politiche, quindi votato all’atrofizzazione, mancando ormai la sua pratica discussione nella sfera politica, ma dopo recuperato con un’abile risemantizzazione anglofona come Critical thinking, inteso, però, insieme alla flessibilità cognitiva, perlopiù come una soft skill utile per affrontare le sfide resilienti nel mondo del lavoro.

Non si tratta, tuttavia, di una mera contesa che si gioca solo sul piano teorico, con scaramucce accademiche o dottrinali, giacché tale confusione alienante che la Psicoistruzione intende alimentare riguardo all’operato quotidiano dei e delle docenti investe l’ambito delle politiche statali in riferimento al tema generale dell’educazione, dell’istruzione e del lavoro, viaggiando di pari passo alla Psicopolitica[2]. Come ha notato Lyotard, era stato Marx, del resto, ad affermare nei Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica che «il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata. Marx concede tuttavia che non è solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, che le conoscenze divengono forze produttive, cioè come macchine, le quali sono capacità scientifica oggettivata»[3]. E così, nei meccanismi della Psicoistruzione, questo ci dicono anche le ultime direttive in tema di orientamento per tutte le scuole, i tempi lenti della crescita e della formazione vengono fagocitati dall’ansia di poter spendere quel poco di conoscenze che si sono memorizzate e che vengono camuffate surrettiziamente da competenze. Del resto, non è una novità che il sapere stesso possa essere mercificato e offrirsi al migliore offerente, ma il dato sbalorditivo è che questi meccanismi vengano trapiantati dal mondo ipercompetitivo del lavoro a quello della scuola pubblica e che ciò avvenga praticamente senza alcun dibattito pubblico, senza scandalo, nel quasi totale silenzio delle rivendicazioni sindacali, come se, in effetti, la scuola si fosse ormai tacitamente rassegnata ad assumere un mero ruolo di agenzia di collocamento lavorativo, in cui si consuma l’apprendistato e in cui si certifica il possesso di competenze a breve termine.

A conferma della confusione imperante con cui le comunicazioni ministeriali giungono più o meno improvvisamente a turbare i/le docenti, sempre il 19 dicembre – giorno di lavoro proficuo – il Ministro Valditara indirizza ai Dirigenti una circolare in cui afferma che l’uso degli smartphone e dei dispositivi elettronici a scuola deve essere vietato per giocare, chattare e navigare sui social, anche se può essere usato per fini didattici come strumenti compensativi, nel «quadro del Piano Nazionale Scuola Digitale e degli obiettivi della c.d. “cittadinanza digitale” di cui all’art. 5 L. 25 agosto 2019, n. 92». Per non lasciare senza fondamento il divieto, che peraltro, era ed è contemplato nella quasi totalità degli istituti, il Ministro Valditara allega uno stupefacente Documento approvato dalla 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) nella seduta del 9 giugno 2021[4], con relatore Andrea Cangini «sull’impatto del digitale sugli studenti con particolare riferimento ai processi di apprendimento».

La vicenda sarebbe abbastanza interessante, se non fosse anche tragica, dal momento che il documento, scritto in un linguaggio né scientifico né pedagogico né filosofico, ma decisamente espressionistico, con una sintassi disgiunta ed estremamente evocativa asserisce, ad esempio che: «[I danni fisici, psichici e perdita di facoltà mentali essenziali] Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani. Niente di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche». Come dicevamo, il Documento sarebbe stato interessante, se si fosse limitato a deprecare l’uso dei dispositivi elettronici e degli smartphone per le finalità ludiche e sostitutive della socialità reale, ma il punto è che nelle conclusioni si afferma che bisogna «interpretare con equilibrio e spirito critico la tendenza epocale a sopravvalutare i benefici del digitale applicato all’insegnamento» e a «incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria». E tutto ciò si affermava (si badi bene alle date delle sedute in nota 4) mentre la pandemia ci costringeva a mandare per circa due anni tutta la scuola sul web senza alcun tipo di controllo e feedback educativo sulle studentesse e sugli studenti.

Sarebbe anche interessante il Documento se poi, in realtà, non fosse poco più che un abstract, giunto a noi pubblicamente solo nel dicembre 2022, di un testo uscito nel marzo dello stesso anno a cura dello stesso relatore della commissione, Andrea Cangini, dal titolo CocaWeb. Una generazione da salvare[5]. E sarebbero anche interessanti il Documento e il testo di Cangini, se nel frattempo non avessimo svenduto la scuola con tanta enfasi alla digitalizzazione imperante mediante l’uso di tablet, tramite l’istituzione a tappeto di Scuole Apple e attraverso una quantità enorme di fondi provenienti dal PNRR, cioè del Next Generation EU per finanziare progetti green (37%) e digitali (20%) con risorse stanziate pari a 191,5 miliardi di euro, di cui 40,32 miliardi per digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura e solo 19,81 miliardi per Inclusione e coesione e 15,63 miliardi per la Salute, mentre una nuova ondata di Covid è in arrivo.

E tutto ciò sarebbe assolutamente interessante se, ancora, non avessimo scoperto da poco che l’eurodeputata Eva Kaili è stata direttrice del Comitato per il futuro della scienza e della tecnologia (Stoa) dal 2017 al 2022, preposta alla realizzazione di progetti di valutazione tecnologica per i quali, da quanto emerge dalle indagini, avrebbe subito pressioni da parte di lobby legate al capitalismo digitale che, attraverso il professore molisano Salvino Salvaggio, Executive Director of the VP Research, Development & Innovation (RDI) Office in Qatar Foundation (QF), arrivano fino alla Ong Elontech, fondata da Mantalena Kaili, sorella dell’eurodeputata Eva.

Ma cos’altro ci vuole per comprendere che, ormai, anche il vecchio monito «ce lo chiede l’Europa» è già svelato come un mantra troppo territorializzato per essere fattuale? Occorrerebbe prendere atto definitivamente che il capitalismo diffuso, mentre sorveglia per indirizzare comportamenti prevedibili, mentre continua ad orientare al consumo, attraverso l’indottrinamento culturale all’innovazione tecnico-tecnologica che avviene all’interno degli apparati istituzionali, si dilegua negli anfratti delle concentrazioni economiche deterritorializzate di ordine globale. E, tuttavia, nonostante le molteplici contraddizioni del sistema possano essere periodicamente svelate, il capitalismo neoliberista continua la sua azione indisturbata, ideologicamente sfacciata ed economicamente disinvolta, incurante delle regole nazionali e internazionali e dei destini di uomini e donne che inconsapevolmente si incamminano verso la prossima crisi, eterodiretta, alla quale le strutture statali e sovrastatali risponderanno avviando stati emergenziali finalizzati alla sua rigenerazione.

Ma, tornando a percorre a ritroso gli invii telematici del Ministro Valditara, che, dicevamo, sta facendo della corrispondenza epistolare un vero e proprio strumento comunicativo, quelli inoltrati nel mese di novembre 2022 avanzano, a nostro modo di vedere, un’importanza strategicamente culturale e fortemente ideologica, mentre si correlano alla pratica educativa e didattica nel regime della Psicoistruzione. Il 4 e il 9 novembre, infatti, il ministro ha indirizzato alle care ragazze e ai cari ragazzi due missive, una in riferimento alla Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate[6], l’altra in occasione del Giorno della Libertà[7].

Le lettere hanno consentito al Ministro di entrare a gamba tesa sull’interpretazione di periodi storici complessi – quelli collegati alla fine della Prima guerra mondiale e del Comunismo – che a scuola vengono già affrontati in modo organico e che non avrebbero, quindi, bisogno di essere decontestualizzati, pena la loro semplificazione, se inseriti all’interno di una, potremmo dire, didattica d’occasione. Una didattica spinta dall’esterno ad agganciarsi, cioè, a quelle date, fissate su un troppo spesso ritoccato calendario civile, che una volta poste in risalto mettono arbitrariamente un punto su un periodo storico, individuando vinti e vincitori, buoni e cattivi, mentre orientano alla costruzione di una memoria pubblica condivisa. Ma proprio questo, parafrasando Gramsci, è il torto delle date.

Al di là di parziali e semplicistiche interpretazioni che le lettere offrono in una mezza paginetta di concetti complessi, quali sono quelli di Patria, Nazione, comunità, pace e libertà e di periodi storici ricchi di contraddizioni, quali sono quelli del Risorgimento e del Comunismo, c’è un passaggio della lettera del 9 novembre che a nostro avviso merita attenzione, laddove nella parte conclusiva il Ministro Valditara scrive: «Il crollo del Muro di Berlino […] non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia. Un ordine politico e sociale imperfetto, pieno com’è di contraddizioni, bisognoso ogni giorno di essere reinventato e ricostruito. E tuttavia, l’unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile».

Il messaggio svela, in modo tutt’altro che ingenuo, uno dei modi attraverso cui l’ideologia neoliberista vorrebbe imporsi, autolegittimandosi e autodefinendosi come unico ordine in grado di garantire libertà e giustizia e, in tal modo, giustificando l’azione disinvolta dei meccanismi capitalistici del XXI secolo, soprattutto rispetto al quadro dei valori liberali che essa afferma di voler tutelare. In realtà, a noi è abbastanza chiaro come sia proprio il capitalismo, che si insinua nella scuola nella sua quadruplice veste militare, tecnologica, farmacologica ed energetica, a predisporre le menti ad accettare come valori positivi la libertà, quella individualmente intesa di offrire se stessi e le proprie competenze al libero mercato, e la resilienza, quale risorsa inesauribile del singolo di far fronte alle mutevoli richieste del mercato e agli inevitabili insuccessi cui dovrà andare incontro da solo perché privato ormai di ogni tutela socio-economica. È questa maschera liberaldemocratica dell’oligarchia, parafrasando Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky[8], ad aver smarrito le vie d’accesso ad una concreta solidarietà, presupposto teorico minimo affinché ogni relazione, a partire da quelle che vediamo crescere tra i banchi di scuola, possa, al contrario, essere riassegnata all’ambito della comprensione reciproca, nella condivisione delle difficoltà e non del conflitto egoistico.

Del resto, per quanto si possa propinare demagogicamente la favola del capitalismo dal volto buono, che premiando l’intraprendenza individuale garantisce l’ascesa sociale dei meritevoli, sono sotto gli occhi di tutte e tutti gli effetti devastanti di un sistema che ha un impatto devastante sull’ambiente, sulle relazioni sociali e, ovviamente, anche su quelle internazionali. Un sistema che in virtù della quadruplice radice del principio della ragione capitalistica, insinuandosi nella società civile e nella scuola attraverso lobby che investono nei settori militare, farmacologico, digitale ed energetico, si rigenera proprio amplificando le diseguaglianze economiche, sociali e culturali e si afferma alimentando sacche di esclusione sempre maggiori a livello globale.

Uno dei risultati che si vorrebbe raggiungere attraverso questa martellante azione di autopropaganda, che ha i suoi alfieri all’interno degli apparati istituzionali privati e pubblici, e che è funzionale a non interrompere il lavoro dei grandi manovratori perché possano agire indisturbati nel perseguimento dei loro obiettivi nelle perpetue decretazioni d’urgenza generate da crisi ricorrenti ed emergenze varie, è l’annullamento di ogni visione alternativa, l’appiattimento individuale e sociale su una realtà che non preveda alternative possibili o, laddove le preveda, orienti uomini e donne, comunque, a pensarle come esiti indesiderabili, nefasti, terribili.

E così, in maniera sorniona e bonariamente epistolare, con la narrazione contenuta nella lettera del 9 novembre, fondata sull’assunto della inevitabilità delle strutture e delle decisioni politiche esistenti, ritorna in auge, contro l’assunto della nostra Costituzione, l’affermazione liberaldemocratica di una uguaglianza meramente formale, mentre quella sostanziale viene sacrificata alla volontà di un sistema economico rapace. Conseguentemente, in modo esplicito, quindi, si invitano le giovani generazioni a non sprecar tempo per cercare qualcosa di diverso e utopistico, forme di vita più autentiche e sostenibili, perché è questo attuale e reale ad essere proposto e imposto come l’unico sistema razionale, capace di realizzare un’armonia dei fini, teleologicamente orientati verso il progresso tecnologico e digitale, verso il meglio, insomma.

Alla fine, mentre si invitano implicitamente i singoli a disinteressarsi di ciò che potrà accadere, li si spinge contemporaneamente a concentrarsi su ciò che solo per loro dovrebbe contare, il qui e l’ora, ciò che è attuale, l’immediato la cui strada è già tracciata e che anche a scuola assume per studentesse e studenti le vesti dell’imminente spettro ansiogeno della disoccupazione da scacciare attraverso la ricerca di un lavoro da affrontare adesso sin dai banchi di scuola media inferiore, anzi dalla primaria, allontanando come accessori quei saperi non funzionali a questo obiettivo.

E per le/i docenti questa pressione incontrollata del presente assume le sembianze dell’ennesima direttiva, circolare, lettera, sulla quale adattare in modo compulsivo una didattica resa già asfittica dalla frenesia con cui si prova a completare programmazioni in tempi sempre più ristretti dai mille progetti che consentono di ampliare l’appeal dell’offerta formativa e adeguarla a richieste che provengono dall’esterno della scuola.

In fondo, quello che riteniamo, e che speriamo di esser riusciti a mostrare ripercorrendo la bipolarità della comunicazione istituzionale ministeriale in tema di istruzione (e merito), è che la narrazione proposta dall’alto, attraverso l’invio di input anche contraddittori, obbedisce in modo deciso a dei processi neoliberisti propri di un capitalismo che non abbandona mai l’obiettivo di trasformare in merce tutto quello che tocca, comprese le nostre studentesse e i nostri studenti.

Si tratta di processi che, in modo altrettanto perentorio, hanno trovato, proprio nell’attuale periodo di crisi, conclamato dal perpetuarsi di stati di emergenza, mezzi, modi e tempi per insinuarsi anche all’interno delle pratiche educative e culturali della scuola pubblica, ed hanno trasformato in Psicoistruzione l’Istruzione pubblica quella che, invece, avrebbe ancora voglia di assumersi il compito di indirizzare la crescita di studenti e studentesse verso il pluralismo, l’inclusione, la cura per chi è in difficoltà, compito affidato a sempre meno docenti disposti/e a restare saldi ai valori della nostra Costituzione.

 

 

[1] M. Lucivero, A. Petracca, Il bluff del merito e della flessibilità nella società prestazionale. I rischi della Psicoistruzione, «ROARS», 22 dicembre 2022.

[2] B.-C. Han, Psicopolitica, Nottetempo, Milano 2016

[3] J-F. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 2008, p. 13

[4] Documento a conclusione dell’indagine conoscitiva proposta dalla Commissione stessa nella seduta del 9 aprile 2019, svolta nelle sedute del 9 maggio 2019, 11 giugno 2019, 2 e 24 ottobre 2019, 27 novembre 2019, 14 gennaio 2020, 22 settembre 2020, 21 ottobre 2020, 2 dicembre 2020, 7 aprile 2021 e conclusasi nella seduta del 9 giugno 2021.

[5] A. Cangini, CocaWeb. Una generazione da salvare, Minerva, Argelato (BO) 2022.

[6] Evento che ha visto, tra l’altro, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri in prima fila nel richiedere, tramite la presentazione di un disegno di legge, che la giornata del 4 novembre torni ad essere una festività nazionale, com’era stata fino al 1977.

[7] Già istituito in Italia nel 2005 dal governo Berlusconi «quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo» (Art. 1, comma 1, Legge 15 aprile 2005, n. 61), ma in realtà finito nel dimenticatoio delle date da celebrare, almeno fino all’avvento del nuovo governo di destra.

[8] Cfr. L. Canfora, G. Zagrebelsky, La maschera democratica dell’oligarchia, Laterza, Roma-Bari 2014.

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