Trionfa il «merito». Internazionalizzazione, «mediane» e requisiti aggiuntivi sono la via maestra per giudicare la ricerca. Per la «tornata 2102», tuttavia, i giudizi pubblicati dalla Commissione per l’abilitazione scientifica nazionale danno le vertigini. Con la Consulta che ci rassicura sulla legittimità giuridica delle Camere – di quella politica e morale poco o nulla ormai sopravvive – non ci si bada purtroppo – in campo ci sono Renzi e le leggi elettorali, ma la vita continua e studiosi d’ogni disciplina, da anatomia a scienza delle costruzioni e ingegneria sanitaria, disegnano il futuro. Non si tratta di scienze umane, che comunque non è dir poco, ma di salute, sviluppo e sicurezza.

Per Storia Contemporanea, il «prodotto doc» della «misurazione quantitativa» è il successo scontato del candidato che, a tredici anni dalla laurea, ha già nove libri «curati» e otto ne ha scritti di suoi, assieme a due voci enciclopediche e trenta tra contributi in volume e articoli in rivista. Rigo più, rigo meno, 200 pagine all’anno. Dotato di resistenza alla fatica, lo studioso ha all’attivo undici convegni organizzati, la partecipazione a ventinove tra simposi e festival nazionali, dodici seminari e workshop internazionali e, «dulcis in fundo», un ruolo di revisore per la valutazione di «prodotti di ricerca» su riviste italiane ed estere, quattro progetti – uno di rilevanza nazionale, tre internazionali – e un posto in otto comitati scientifici. Fatica premiata dall’Istituto Salvemini, che una domanda, però, la pone: dove ha trovato il tempo per la ricerca? La risposta non tocca alla Commissione, presa e persa tra curricoli, fasce, progetti e docenze estere.

Al di là delle esasperazioni quantitative, nei fatti, la sbornia di dati «oggettivi» rafforza le scelte discrezionali. L’internazionalizzazione, per dirne una, che, dopo tanto suonar di grancasse, costa l’abilitazione a più di un ottimo candidato, a conti fatti, è un parametro vago, legato a logiche interne all’accademia e difficile da rendere oggettivo. Come spiegare, infatti, la scelta della commissione, che per un candidato si contenta di un «un mese d’insegnamento alla PUC di Porto Alegre in qualità di visiting professor» – un mese, tutto compreso, sabato, domeniche e probabili festività – per un altro ignora la docenza etiope, benché superi largamente i requisiti quantitativi minimi e presenta prodotti articolati, convincenti e ricchi di sbocchi metodologici?

Poiché è difficile capire come nascono seri giudizi di merito su centinaia di libri e migliaia di articoli, mai letti – a cinque docenti non sarebbe bastata una vita – chi cerca tra le «sentenze» criteri sicuri, si perde. Gli articoli di prima fascia, ad esempio, sono un ancoraggio fermo ma, come per l’internazionalizzazione, criteri univoci non ne trovi. Se quattro articoli di prima fascia, infatti, sono il «bollino di qualità» che consente di abilitare un candidato privo dei requisiti minimi, come si spiega la bocciatura di chi i requisiti li ha, assieme a sette articoli in riviste di classe A, alcuni in inglese e francese, e «prodotti scientifici» adeguati per metodo e contributi offerti alla conoscenza storiografica, però resta al palo?

Mentre l’accento ripetutamente posto su dati qualitativi – solidità, impianto, complessità della documentazione, finezza di una presentazione – diventa indizio di sconfinamenti in un giudizio di valore che non nasce dall’attenta lettura dei lavori misurati, scopri un candidato di cui si dice un gran bene: la produzione è sicura, convincente, documentata e aggiornata. Metti a tacere il bisogno di capire se i cinque commissari hanno letto le sue trentatré pubblicazioni – perché quelle, poi, e non altre? – e ti contenti di aver trovato un riferimento. Per la commissione, infatti, la buona produzione del candidato non basta, perché ruota su un unico tema: Pci, Komintern, e repressione degli italiani antifascisti nei gulag. C’è tutto, qualità, quantità, docenze estere con relativi studi editi in terra straniera, progetti di rilievo nazionale, membership della redazione di rivista, ma l’abilitazione scientifica alla prima fascia non arriva, perché, a sentire la Commissione, il respiro degli interessi è corto. La ristrettezza dell’ambito di ricerca è, quindi, il punto fermo che lascia il candidato nella seconda fascia da cui proviene, in compagnia di studiosi la cui produzione scientifica si incentra ancora esclusivamente su monotemi: Francesco Crispi e l’età crispina, o il «patriota traditore» e la vita che mena chi scrive a Milano nella prima metà dell’Ottocento. Ti convinci che localismo e respiro corto, intesi come limite negativo, fanno argine alla discrezionalità della Commissione, quando scopri, sconsolato, l’abilitazione toccata a candidati che non escono dall’ambito regionale o addirittura lo riducono, fermandosi a studiare Vescovo, Azione cattolica, clero e parrocchie di Vicenza, per spingersi tutt’al più alle episcopato triveneto e a un sintetico profilo del padovano Giulio Alessio.

Quando trovi Spartaco Capogreco e Mimmo Franzinelli relegati in seconda fascia, uno per misteriose questioni didattiche e l’altro perché lento a correggere imprecisate forzature interpretative, non solo rimpiangi la libera docenza, ma le cooptazioni che, se non altro, impegnavano direttamente la dignità dei «maestri». La bandiera bianca, però, la alzi solo di fronte alla sorte di un «eretico», un neoplatonico «demodé» incurante del tribunale tomista e delle sue verità di fede. Un eretico che, annota scandalizzata la Commissione, insiste sulla subordinazione dei prefetti al potere politico – scempiaggini da Salvemini – e addossa agli italiani la colpa della mancata defascistizzazione. Dovrebbe saperlo, lo stupidello, che furono gli Anglo-americani a imporre a Togliatti il presidente del Tribunale della razza, cui affidare la legge sull’amnistia, e a Giovanni Leone la strenua difesa dei fascisti, poi riciclati dalla DC. In quanto all’assoluzione dei responsabili dell’omicidio Rosselli, ad Azzariti posto alla guida della Corte Costituzionale e agli autori del manifesto della razza mai rimossi dalle cattedre universitarie, tutto nacque, si sa, da pressioni estere. Una mano straniera, del resto, eclissò l’armadio della vergogna. Il neoplatonico ora lo sa: costretto dal bisturi a constatare che il sistema nervoso fa capo al cervello, il figlio del pensiero unico non fece una piega: ci crederei, commentò, se Aristotele non avesse detto che tutto parte dal cuore.

Se è andata così per tutte le discipline, sorge legittimo un sospetto: tra qualche anno, affidarsi a un medico sarà come giocare alla roulette russa.

Print Friendly, PDF & Email

46 Commenti

  1. 30 anni fa, quando ho iniziato a pubblicare, i computer non c’erano ancora e nessuno avrebbe mai pensato che l'”Impact Factor” avrebbe rappresentato, il nostro “maestro”, ovvero colui che avrebbe giudicato i nostri lavori, le nostre pubblicazioni, la nostra didattica.

    Ho ancora 15 anni alla pensione, ho vinto un concorso da Ordinario bandito nel 2008 (non sono stato chiamato per il blocco delle assunzioni), ma non ho superato l’ASN.

    Solo per curiosità sono andato a vedere i componenti la Commissione. Ho scoperto che 2 dei miei Commissari, quando io ero già Associato stavano finendo l’Università e, forse, hanno utilizzato le mie pubblicazioni (quasi 300) per fare la loro tesi. Non contento sono andato a vedere gli abilitati ad Ordinario al mio stesso raggruppamento ed ho scoperto che tra gli abilitati ci sono 2 miei studenti (hanno frequentato il mio corso all’Università).

    Devo dire, con grande soddisfazione che, forse, non sono stato un gran ricercatore, ma sicuramente sono stato un ottimo docente!

  2. Ma quindi il problema sono le persone (i commissari, o almeno, alcuni commissari), non la procedura…
    Cosa facciamo [prima della ASN era sicuramente peggio], la prossima volta li sostituiamo con un computer?
    Per favore, proponiamo anche, non distruggiamo sempre e soltanto…

  3. È’ molto difficile misurare il merito,
    Ma quello dellASN e’ un sistema nato male e finito peggio.
    1. l’Inizio: Come si fa a dire che per essere un bravo professore e poter far parte delle commissioni di valutazione oltre ad avere pubblicazioni, gli altri unici requisiti sono H index e citazioni Schopus? Si abbia almeno la bonta’ di dividere per il numero degli autori …… ma… Non contano i brevetti, collaborazioni con imprese, in generale con il sistema produttivo del Paese e le ricadute sul sistema che produce la ricchezza?!! Viva il pop da biblioteca avulso dal mondo che sta in un chiuso circuito di scienziati talvolta Pazzi. … È mantenuti dai contribuenti…

    2. In mezzo: evidente che che già la selezione delle commissioni con tali criteri non poteva produrre buoni risultati , una buona parte dei commissari e’ risultata del tipo: ” vivo in un altro mondo …” Me me frego del sistema produttivo anzi per carità’ meglio non essere contaminati, viva la pura, astratta ricerca anche senza senso …sono auto celebrativo e appartengo magari ai TIS ( Top Italian Scientist) io sono la ricerca gli altri non sono nessuno. ..

    3. Risultato finale: con tanta boria ecco il risultato sotto gli occhi di tutti… In oltre il 50% dei caso non è’ stato premiato il merito: Come un tumore l’ANVUR a diffuso metastasi in tutto il sistema scientifico nazionale l”Universita’ Italiana e’ Morta!

    4. Cosa fare: Il danno e’ fatto e nessuno ha voluto ascoltare le tante voci che si sono sollevate a denunciare le storture che potevano essere evitate. Azzerare l’Anvur: estirpare, rifondare e riformare il sistema di valutazione con criteri condivisi da tutta la comunità’ scientifica non con l’Imperio e la prosopopea di chi è’ convito di avere il VERBO, come L’ANVUR e le sue ramificazioni e sue metastasi.
    http://www.unimerito.it

    • Mi scusi, Cotana Franco, con tutto il rispetto, lei è un docente o comunque un laureato?(ma basterebbe aver fatto bene le elementari).
      Non si accorge che non è in grado di scrivere in lingua italiana, con le giuste h e accenti, maiuscole, punteggiatura?
      Non voglio fare la “grammar nazi”, lei sicuramente è ben connesso con il sistema produttivo del nostro paese, ma non sa neppure che Scopus si scrive senza l’h e che il nome si mette prima del cognome.
      In effetti, povera Università italiana.

    • A me pare che buona parte delle critiche contro l’ASN e l’ANVUR in generale si possano ridurre a critiche contro la revisione dei pari, incapaci di esprimere giudizi oggettivi, incapaci di scegliere il merito, incapaci di proporre liste di riviste veramente scientifiche (per citare uno dei grandi cavalli di battaglia di ROARS). Quindi?

  4. Un articolo con un pò di tutto, ma con un punto fondamentale: bando all’analisi quantitativa. Su tutto giganteggia l’implicito “avremmo dovuto lasciare le cose come erano”. Qualsiasi sitema ha bisogno di rodaggio e affinamento; visto che con questo si è partiti tardi, ne parliamo e scriviamo nel 2014.
    Ricordiamolo un’altra volta: con i riferimenti a pubblicazioni ISI nel settore scientifico si è voluto utilizzare un riferimento internazionale, usato da tutti. Un riferimento indipendente. Un riferimento che, da popolo ingegnoso, faremo in modo modo di neutralizzare almeno parzialmente, ma che adesso stabilisce chi ha pubblicato risultati di ricerca con validità riconosciuta internazionalmente e chi no. Piaccia o meno. Certo, a parte la concoscenza del criterio internazionale per stabilire la reputazione di un ricercatore, c’è chi ha cercato di farsi strada, in assenza di benevolenze o colpi di fortuna, pubblicando. La tesi sostenuta in una miriade di interventi è che questi debbano, di fatto, essere penalizzati a favore di una discrezionalità assoluta da contrapporre ad una valutazione quantitativa migliorabile. Addirittura, si sostiene che chi pubblica non ha tempo di fare ricerca. Ma uno che fa ricerca senza pubblicare, beninteso, posto che la sviluppi e concluda, cosa che accerteremo con un intuito qualitativo di commissioni composte da non-valutati, in reltà svolge un hobby a spese della comunità. Quand’ero giovane, per sostenere i pistonati, sentivo spesso dire: “è bravissimo, ha tutte le pubblicazioni nel cassetto”. Nel 2014 insistiamo con questo approccio?

    • Si ma basta con questa storia del marchio ISI. C’è chi pubblica a 3000 nomi e chi a 2. Non si possono confrontare. Senza criteri che entrano nel merito vero dei contributi individuali è solo “doping”.

    • «Chi ha davvero qualcosa da dire, tace». (dal Tao Te Ching)

      I professionisti della pubblicazione — i pubblicatori indefessi — sono il segno più chiaro della miseria della nostra odierna università.

      Ch ci assicura che un “risultato” citato e apprezzato “universalmente” sia anche vero e genuino?
      Nella storia della scienza (fisica, biologia, e anche matematica), si possono addurre mille esempi che sconfessano totalmente l’ideologia, anzi l’idolatria, bibliometrica.

      Ma i fanatici del Mainstream hanno ormai preso definitivamente il potere. L’ANVUR e l’ASN sono solo questo: dei violenti normalizzatori delle intelligenze realmente creative.

    • @Thor: ISI come riferimento indipendente, più difficilmente manipolabile di risorse locali. Altri criteri? Benissimo, purché verificabili, riproducibili, accettati.

      @Paolo Braghi: oltre il concetto astratto, visto che si tratta di posizioni reali (in prospettiva: l’abilitazione non assegna nulla) come selezioniamo le menti creative? Per autodichiarazione?

    • La riproducibilità sembra fermarsi agli indicatori ANVUR. Vietato andare oltre per considerare una reale normalizzazione relativa agli autori. Eppure l’articolo è uno, non uno per autore. Anche la singola citazione è una e non una per autore. Come si fa a non avere paura di una deriva bibliometrica se non si pongono dei limiti in un qualche modo legati ad un concetto di saturazione?

    • Tutto quanto può migliorare il sistema per renderlo più efficace deve essere valutato e introdotto.
      Il punto è che non si pretenda di annullare valutazioni quantitative su criteri oggettivi per fare una piroetta all’indietro, sostuendo valutazioni verificabili e ripetibili, su criteri oggettivi, con prosa basata sulla massima discrezionalità.

    • Temo le sfugga “il dettaglio” che l’ASN non assegna cattedre.
      Invece, la metodologia precedente, anche senza far riferimento agli estremi di citati da Perotti, quella si che ha goduto di una discrzionalità notevolissima.

    • Esatto!!! Ma per leggerlo, bisogna che il candidato l’abbia scritto…
      Comunque vorrei fosse esplicito: il meccanismo della peer-review si ritiene sia peggio della rivistina pubblicata in prorpio?

  5. Sono un candidato inidoneo all’ordinariato per il gruppo 10 A 1 (Archeologia)

    Riporto qui la lettera inviata da me al Ministro per chiedere l’annullamento di decisioni che a giudizio di molti sono scandalose

    Da parte di Antonio Maria Corso
    Massalias 12
    GR 106 80, Atene, Grecia

    Al Ministero dell’Universita’ e della Ricerca Scientifica

    Io sottoscritto Corso Antonio, candidato all’abilitazione per la prima fascia per Archeologia (10 A 1)

    CHIEDO

    a codesto ministero di annullare i risultati del predetto concorso per il raggruppamento sopra menzionato in quanto per quanto mi riguarda pesantemente viziati da valutazioni errate e mendaci riportate nei giudizi.

    Prima di tutto i commissari parlano di 19 lavori a stampa mentre ne ho
    presentati 87, di cui 18 ovviamente in copia elettronica. Poi
    dicono che alcuni non sono pertinenti senza giustificare tale
    affermazione.

    Liquidano il catalogo della mostra su Prassitele al Museo
    Nazionale di
    Atene da me preparata con i miei colleghi greci
    come semplici ‘schede’.

    Non valutano la grande portata innovativa di molti miei
    studi, che emerge dalla circostanza che sono citato dagli
    altri studiosi circa 600 volte l’anno.

    Non valutano anche i molti interessi dimostrati dai miei studi che vanno dalla Grecia classica al tardoantico.

    Mentono quando affermano che avrei solo una pubblicazione in
    riviste di prima serie. Ho scritto nel JHS, nel BSA, nel
    BICS, in Hyperboreus, in Acta Archaeologica, nei Proceedings
    of the Danish Institute at Athens, etc., tutte riviste di
    altissima qualita’.

    In particolare non menzionano alcunche’ delle mie esperienze
    gestionali (non solo la mostra Ateniese su Prassitele ma
    anche per esempio il fatto abbia saputo gestire fin quasi
    alla fine un progetto lungo, ampio e difficile come la
    ricostruzione dell’arte di Prassitele con un budget molto
    ridotto
    ma fatto bastare con un’amministrazione
    parsimoniosa).

    Debbo menzionare anche la circostanza che ho scritto ben 4 libri e decine di articoli in Inglese, molte mie pubblicazioni sono in neogreco e alcune perfino in russo. Cio’ non e’ da tutti!!!

    Faccio altresi’ presente che detti commissari hanno dato un’idoneita’ a Gioacchino Francesco La Torre, genero di Ernesto De Miro, che e’ stato a lungo ordinario di archeologia classica a Messina. Un’altra idoneita’ e’ andata ad Antonella Pautasso, nuora di Giovanni Rizza, per decenni ordinario nella stessa disciplina a Catania. Un’altra idoneita’ e’ andata a Elvia Giudice, figlia del professore ordinario in archeologia classica di Catania Filippo Giudice.
    Un’altra idoneita’ e’ stata data a Isabella Baldini, moglie del professore ordinario di archeologia classica alla Sapienza Enzo Lippolis.
    Codesto ministero non puo’ accettare un familismo cosi’ impudente.
    Cordialita’

    Antonio
    M. Corso

    • Solidarietà, ma qui il punto è che la valutazione di cui parla e contesta facendo riferimenti specifici ignora quelli che sono i criteri oggettivi che cita. Per questo lei è in grado di contestare la valutazione. Pensa che gli stessi commissari, in un regime discrezionale, avrebbero invece riconosciuto i meriti che cita? No, semplicemente lei avrebbe avuto meno frecce al suo arco per contestare il giudizio.

    • Per curiosità (mi chiedevo come fosse possibile un esito così “vecchio stampo”), sono andato a leggermi la sua domanda (che è disponibile online da molto tempo), e forse per qualche errore materiale di compilazione, ci sono solo 19 pubblicazioni ed un paio di titoli. http://abilitazione.miur.it/public/viewCvcandidato.php?id_dom=3012
      I commissari sono tenuti a esaminare solo quanto presentato nella domanda. Concordo comunque con Donatelli che almeno ora si possono contestare i giudizi (avendo anche a disposizione i curriculum altrui per un confronto).

    • Tutta la mia solidarietà ad Antonio maria Corso.
      @Vincenzo:
      in realtà la compilazione della domanda ASN 2012 restituisce due documenti diversi: la domanda completa (“che verrà esaminata dalla commissione”, così è scritto sul sito CINECA) ed il Curriculum Vitae (“che verrà pubblicato sul sito del MIUR”). La discordanza tra i titoli presenti nel CV visibile a tutti e quelli che i candidati hanno visto ignorati dalla commissione è tutta qui.

    • @Odin: che io sappia la differenza sta negli allegati. Il mio CV pubblico contiene tutta la lista dei paper e tutti i titoli che ho dichiarato nelle varie sezioni, trattandosi di informazioni pubbliche. Nel discorso generale questo è un dettaglio, ovviamente.

  6. @marcello donatelli
    Spesso si crede di possedere le chiavi della concretezza, e invece si è più astratti che mai.
    In ogni caso, il genio umano ha prodotto opere altissime senza alcun bisogno di ANVUR, ASN, VQR, AVA e via dicendo. Il fatto che vi siano dei disonesti nella scienza (dei modesti e degli incapaci, che cercano in tutti i modi di prevalere con mezzi mafiosi) non obbliga a predisporre controlli violenti sulla creatività; si rischia infatti — mi spiace ripetere una banalità e un’ovvietà — di adoperare farmaci molto più dannosi della malattia.
    Matematici di valore e fisici di prim’ordine, per citare solo una parte degli attori dell’Universitas, da tempo ormai (e con argomenti scientifici e NON di “politica universitaria”), ci mettono in guardia contro le “pratiche di selezione” basate sulla bibliometria. Vi è una letteratura sterminata.
    Ma chi allora resta attaccato a questa barbarie? I piccini che credono di essere grandi solo perché, magari, hanno pubblicato qualche articolo su una rivista di classe A o A+ o A++, … An+, …
    Sulla questione dell’auto-dichiarazione, poi, non rispondo, perché è davvero troppo stupida (attenzione: stupida la questione e non chi la pone!)

    • Vi è anche una evidenza sterminata sul fatto che non operare valutazioni permette abusi. Inutile citare eccellenze assolute che rappresentano una minoranza. L’equazione implicita che non avere un valore bibliometrico equivale ad essere creativo è una sciocchezza che sbaraglia la mia provocazione sull’autocertificazione; il mio cane non pubblica ISI.
      Il punto, ridiciamolo per chi fa finta di non capire, non è che una specifica valutazione sia santa o intoccabile; il punto è che ci deve essere un criterio per valutare. E può essere un criterio composto fa fattori diversi, non esclusivamente bibliometrici, ma trasparenti e verificabili.
      Avere una componente bibliometrica indipendente fornisce elementi oggettivi. Del resto, se vogliamo tenerla in termini di “creatività”, per essere tale deve aver creato un prodotto che permetta di riconoscerla. I tempi cambiano e i criteri evolvono: prima di differenziarci dai criteri riconosciuti internazionalmente, è opportuno proporre alternative. ma il vero punto è ritenere di avere un sacro diritto di essere al di sopra delle valutazioni.
      E’ sgradevole il tono con cui cerca di sminuire chi svolge lavoro serio e documentato; ed è solo il tono ad essere sgradevole, le argomentazioni non ci sono.

  7. @marcello donatelli
    Non si può arrivare ad avere mediane da superare equivalenti a un articolo ISI alla settimana. Se continuiamo con questa pratica ANVUR ci arriveremo. Infatti oggigiorno la maggior parte dei fondi di ricerca si spende per pagare mano d’opera. Avremo un sacco di figure di ogni tipo con CV bibliometricamente stratosferici che riempiranno le liste di candidati alle abilitazioni di ogni tipo ma con speranza prossima a zero di ottenere un posto reale (sia perchè ci sono poche opportunità e sia perchè anche loro saranno troppi comunque). Coloro che invece scrivono e pubblicano lavori in tempi umani verranno presto additati come improduttivi perchè sotto mediane. Dove è il senso di tutto ciò?

  8. Abilitazioni universitarie e commissari a tempo molto (troppo!) parziale

    Le norme per l’abilitazione scientifica nazionale per l’insegnamento universitario prevedevano chiaramente giudizi “analitici” per tutti i candidati e giudizi “rigorosamente motivati” per quelli che la commissione avesse voluto non abilitare nonostante che superassero le mediane previste.
    Invece la commissione di Sociologia economica, del lavoro, dell’ambiente e del territorio (14/D1) ha formulato per quasi tutti i candidati giudizi non “analitici”, ma sommari, iper-sintetici, di sole due o tre righe, senza le “rigorose motivazioni” richieste dalla normativa.
    Si può calcolare che se, dal 13 febbraio 2013 (insediamento della commissione) al 16 ottobre 2013 (stesura degli ultimi giudizi collettivi), i commissari avessero dedicato all’impegno per cui si erano volontariamente proposti 8 ore al giorno, in tutti i giorni della settimana, sabati e festivi compresi, tutti i mesi agosto compreso, avrebbero avuto a disposizione pochissimi minuti per leggere e valutare le pubblicazioni, fra cui vi erano anche libri assai complessi, di varie centinaia di pagine, in lingue straniere: infatti, i 69 candidati alla prima fascia presentavano sino a 18 pubblicazioni ciascuno e i 221 candidati alla seconda fascia sino a 12 pubblicazioni ciascuno.
    Con tutto ciò è inoppugnabilmente documentato che certi commissari abbiano anche fatto ben altro. Il commissario Carlo Trigilia, ad esempio, ha addirittura trovato il tempo di fare il neo-ministro del governo Letta, a partire dal 27 febbraio 2013, con numerose e impegnative “deleghe”.

    Ecco le “deleghe” attribuite al commissario Carlo Trigilia, con decreto del Presidente del Consiglio Letta, pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” e visibile nel sito del Governo:

    Art. 1.
    A decorrere dal 29 aprile 2013, il Ministro senza portafoglio per la coesione territoriale, prof. Carlo Trigilia (di seguito denominato “Ministro”), è delegato a esercitare le funzioni di coordinamento, di indirizzo, di promozione di iniziative, anche normative, di vigilanza e verifica, nonché ogni altra funzione attribuita dalle vigenti disposizioni al Presidente del Consiglio dei Ministri, relativamente alla materia delle politiche per la coesione territoriale.
    1. In particolare, salve le competenze attribuite dalla legge ai singoli Ministri, il Ministro è delegato:
    a esercitare le funzioni di cui all’articolo 7, commi 26. 27 e 28 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito. con modificazioni, dalla legge di conversione 30 luglio 20 10, n. 122;
    a promuovere e coordinare le politiche e gli interventi finalizzati allo sviluppo economico dei territori, ivi comprese le aree interne, avuto anche riguardo all’utilizzo dei fondi strutturali europei ed alla strategia di attuazione della programmazione comunitaria 2014-2020. favorendo ed indirizzando i processi di concertazione e di interscambio, nell’ambito dei diversi livelli istituzionali, tra soggetti e tra competenze operanti nell’economia dei territori, nonché assicurando sinergia e coerenza delle relative politiche. A tal fine, adotta le iniziative necessarie per garantire un costante e sistematico monitoraggio della dinamica delle economie territoriali al fine di promuovere, ove necessario, interventi o azioni volte ad accelerare processi economici di sviluppo;
    a promuovere e integrare le iniziative finalizzate allo sviluppo della città dell’Aquila e all’accelerazione dei processi di ricostruzione dei territori abruzzesi colpiti dal sisma del 6 aprile 2009;
    a promuovere e coordinare gli interventi in materia di politiche urbane – da perseguire a livello nazionale ed europeo – nella prospettiva della crescita, dell’inclusione sociale e della coesione territoriale;
    ad assicurare il coordinamento istituzionale, tecnico-operativo e l’integrazione fra gli interventi previsti per l’attuazione dei Programmi operativi interregionali “Attrattori culturali, naturali e turismo” e “Energie rinnovabili e risparmio energetico”.
    3. Per l’esercizio delle funzioni di cui alle lettere a), b) ed e) il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero dello sviluppo economico, ad eccezione della Direzione generale per I’incentivazione delle attività imprenditoriali, dipende funzionalmente dal Ministro per la coesione territoriale, il quale se ne avvale unitamente all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa e, limitatamente alle funzioni delegate dal presente decreto, al Nucleo tecnico di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del medesimo Ministero. A tal fine il Ministro per la coesione territoriale coordina, indirizza e utilizza I’attività del citato Dipartimento, le relative strutture e il personale assegnato.
    4. Per l’esercizio delle funzioni di cui alla lettera b). c, d) ed e) il Ministro si avvale del Dipartimento per lo sviluppo delle economie territoriali e delle aree urbane.
    A decorrere dal 29 aprile 2013 il Ministro senza portafoglio prof. Carlo Trigilia è altresì delegato ad esercitare le funzioni di supervisione e coordinamento delle attività della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di investimenti pubblici e affari economici di competenza del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), ivi incluse quelle di analisi macroeconomica con riferimento anche alla finanza pubblica, di monitoraggio e valutazione degli andamenti economici, nonché delle attività istruttorie, di supporto, propedeutiche e consequenziali alle deliberazioni del CIPE, incluse quelle in materia di opere infrastrutturali.
    Per l’adempimento delle funzioni delegate di cui al presente articolo il Ministro Carlo Trigilia si avvale del Dipartimento per la programmazione ed il coordinamento della politica economica. Si avvale altresì delle strutture tecniche operanti presso il medesimo Dipartimento ad eccezione della Segreteria tecnica per la programmazione economica.
    Art. 3
    Per l’adempimento delle funzioni delegate di cui all’articolo 1, comma 2, lettera d), il Ministro è delegato a presiedere, d’intesa con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il Comitato interministeriale per le politiche urbane.
    Art. 4
    Nelle materie oggetto del presente decreto il Ministro assiste il Presidente del Consiglio dei Ministri ai fini dell’esercizio del potere di nomina al,la presidenza di enti, istituti o aziende di carattere nazionale, di competenza dell’amministrazione statale ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
    Il Ministro rappresenta ed attua gli indirizzi del Governo italiano in tutti gli organismi internazionali e europei aventi competenza in materia di coesione territoriale e nelle altre materie comunque riconducibili all’oggetto del presente decreto, anche ai fini della formazione e dell’attuazione della normativa europea.
    Art. 5
    Nelle materie oggetto del presente decreto il Ministro è altresì delegato:
    a provvedere ad intese e concerti di competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, necessari per te iniziativa, anche normative, di altre amministrazioni;
    a curare il coordinamento tra le amministrazioni competenti per I’attuazione dei progetti nazionali e locali, nonché tra gli organismi nazionali operanti nelle materie oggetto della delega;
    a nominare esperti, consulenti, a costituire organi di studio, commissioni e gruppi di lavoro, nonché a designare rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in organismi e analoghi operanti presso altre amministrazioni o istituzioni.

    Savo errore, non risulta che Carlo Trigilia sia una versione sicula di Superman o abbia il dono dell’ubiquità, come Padre Pio. In ogni caso i candidati (dopo molti anni di studio e di lavoro in università e di qualificata attività di ricerca) avevano diritto a ben altro rispetto. Non è quello del commissario-ministro Trigilia il modo di dare un contributo alla “coesione territoriale”.
    Ma perché gli altri commissari (a partire dal presidente Antonio Mutti) non hanno reagito? Avevano altro da fare anche loro?
    Il loro operato mi ricorda l’incipit di “Lettera a una professoressa” della Scuola di Barbiana: bocciano e vanno al mare!

    Lascia un commento

    Se sei già registrato al sito (come Socio AIS o uten

  9. @marcello donatelli
    Non si senta offeso. Semplicemente: abbiamo una concezione della scienza completamente diversa. Il fatto (singolare) è che la Sua è vincente, la mia perdente. Certo, si tratterà di una vittoria apparente e triste, e infine distruttiva, ma tant’è. Infatti, chi ragiona come Lei, non sopporta di essere contrastato, e si riempie la bocca di “oggettività”, “internazionalità”, “prestigio”, “eccellenza”, e così via. Ma, letteralmente, non da quello che dice (nel senso che adopera concetti di cui non conosce la provenienza).
    Solo un punto. Lei dice: «L’equazione implicita che non avere un valore bibliometrico equivale ad essere creativo è una sciocchezza che sbaraglia la mia provocazione sull’autocertificazione; il mio cane non pubblica ISI». Si tratta di un argomento palesemente sofistico: se rilegge ciò che ho scritto, con un po’ di onestà, e fa quattro conti logici, si accorgerà della portata del problema che ho sollevato, anzi: che ho ricordato, perché esso è oggetto di riflessione, già da tempo, proprio in quei paesi che, per primi, si sono lanciati su questa strada.
    L’idolatria bibliometrica costituisce una grave minaccia contro l’unica “cosa” che conta e che “dà lavoro” alla massa di studiosi e di scienziati bibliometricamente con le carte in regola (i portatori del Mainstream): parlo del genio davvero creativo, quello che vede problemi mai notati prima e che cambia interamente il gioco e le sue regole. (E lasci tranquillo il Suo cane.)

  10. @Paolo Braghi
    Tutt’altro. Mentre io le cito metodologie che devono essere valutate e migliorate, lei nega e irride. La scienza non è supponenza, caro Braghi; io sostengo che si debbano produrre evidenze, lei si attribuisce comprensione assoluta il cui corollario e’ appunto sentirsi al di sopra di qualsiasi valutazione. Il regno dell’autocertificazione in cui la violenza dei toni cerca di sopperire la manca di argomenti.
    Come pensa che chi ha alle spalle lavoro documentabile possa sentirmi offeso da queste sue “argomentazioni”? Semmai sono un’ulteriore supporto alla necessita’ di avere elementi verificabili per valutare capacita’ e carriere. In definitiva, lei sta supportando ASN…

    • Caro Donatelli, ANVUR ha imposto delle metodologie che definire migliorabili è il minimo. ANVUR però non ci sente e mi immagino che la cosa si deteriorerà in senso bibliometrico (cordate in particolare). Potrei non avere nulla in contrario di sentirmi dire che ci vogliono N crediti di qualche cosa per accedere alla valutazione, ma non voglio nemmeno stare a sentire che chi ha 4 o 10 volte N sia di diritto per forza valutato in senso positivo. Ci devono essere freni alla produzione di crediti bibliometrici.

    • Questa discussione può continuare all’infinito. Lei proprio non vuole intendere. La Sua idea di scienza non ha niente di nuovo: in ogni epoca, vi sono (stati) i difensori dell’ortodossia. Lei, semplicemente, appartiene a questa schiera. Tutto qui. Non c’è niente di male. Si tratta di uomini onesti e laboriosi, che vanno rispettati, naturalmente, anche perché, in vari casi, forniscono un reale aiuto al vivere civile.
      Non si può pretendere, però, che tutti aderiscano a tale visione. È profondamente anti-scientifico e anche un po’ vile accusare i “dissidenti” di “supponenza” e di volere il regno dell'”autocertificazione”.
      La valutazione è una cosa troppo seria per essere affidata a delle c.d. “metodologie”, che, Lei scrive, «devono essere valutate e migliorate». Si cade così nell’invisibile gorgo: “valutare i metodi di valutazione”. Ahi, ahi. E come si fa? Con quali criteri? Con quali mezzi? Con quale forma di sapere? Nessuno lo sa, in realtà, perché bisognerà poi anche, a un certo punto, valutare i metodi di valutazione dei metodi di valutazione, e così via. Per non parlare del problema del valutare i valutatori (soprattutto quelli di professione). (Qui accade qualcosa di molto simile all’indeterminatezza in fisica.)
      Il vecchio Dio (molto poco divino, in realtà), in nome del quale un tempo valutavamo il sapere, è morto, ed è stato sostituito da uno nuovo, che ha oggi vari nomi, uno dei quali è certamente “Bibliometria”. Continui a coltivare la Sua fede, e a diffonderla, ma lasci che gli eretici possano esistere e dire ciò che hanno da dire, senza sognare punizioni esemplari (mediante torture ANVUR o ASN). Semplicemente, smetta di ascoltarli.

    • @Thor: indici integrati (non solo bibliometrici), proposte concrete. Il punto rimane: valutazioni trasparenti o discrezionali? Capisco bene come il discrezionale abbia beneficiato alcuni, ma ne ha penalizzati tanti altri. Con una differenza fondamentale: la società non si può permettere i pistonati.

      @Braghi: insomma, continua ad autoaffibbiarsi la patente di genialità, fosse questa una bocciofila di pensionati potrebbe far sorridere.
      E continua ad affibbiare etichette di mediocrità! Incredibile.
      Provi a rileggere quanto scrive: trasuda una sconfinata protervia, ma non basta a coprire la mancanza di argomenti.
      E di nuovo, notevole il suo supporto all’ASN!

    • Naturalmente il mio precedente intervento si riferisce all’ultimo post di
      @marcello donatelli.

    • Fra i vari commenti abbiamo visto un caso di un lavoro su un esperimento di fisica con 3000 autori. Guarda caso questo lavoro si ritrova con circa 3000 citazioni. Possiamo anche fare un altro esempio di fantasia. Tre laboratori in tre posti diversi che fanno una discreta produzione scientifica. Diciamo 50 lavori l’anno ciascuno e quindi la disponibilità di 2000 citazioni l’anno ciascuno. Se si mettono d’accordo, lavorando nello stesso campo, si possono aggiustare il rispettivo impatto sulla scena internazionale. Nulla di illecito, ma senz’altro un po’ di doping. E non parliamo poi dei bravi tecnici che, stando ad uno strumento utile a molti, si ritrovano nella lista di un numero grande di pubblicazioni ma con un contributo sempre dello stesso tipo (diciamo di supporto). Per tamponare solo un poco questo rischio di sopravvalutare le persone (piuttosto che valutare), secondo me non c’è altro da fare che dividere brutalmente per il numero di autori il peso di ciascun lavoro. L’alternativa è decidere a chi darlo (chi lo usa lo brucia e non lo rende più disponibile agli altri).

    • Thor: anche sulla bibliometria esiste ricerca, e la questione degli autori viene affrontata, solo che non è così semplice. Per esempio, in ambito biomedico primo ed ultimo autore hanno più importanza degli altri, per cui è stato proposto qualche meccanismo che assegna a primo ed ultimo un certo peso, ed in mezzo a scalare. Questo per dire che non esiste un modello semplice ed univoco. D’altro canto, se i settori fossero sufficientemente omogenei, le prassi sarebbero abbastanza simili, per cui i 3000 (o 300, o 1) autori sarebbero la norma più o meno per tutti gli appartenenti ad un determinato settore. Ma è difficile identificare bene dei settori omogenei.
      Esiste anche ricerca sulla peer review: non ne esce poi così bene, tanti bias. Quindi padella, brace, oppure?
      Perché “In ogni caso, il genio umano ha prodotto opere altissime senza alcun bisogno di ANVUR, ASN, VQR, AVA e via dicendo. “, ma le ha prodotte anche senza posti in università, senza finanziamenti pubblici, e sono spesso state riconosciute dopo o molto dopo, con i pari dell’epoca che magari mandavano al rogo i geni.

    • @marcello donatelli
      Lei ora ha perso le staffe, perché si sente offeso. In realtà, ha frainteso tutto, perché, invece di guardare al punto essenziale (l’intrinseca infondabilità delle odierne metodologie valutative basate sulla bibliometria), si preoccupa se il sottoscritto si senta o meno un genio.
      Perdoni l’arroganza, ma faccia un esperimento mentale: provi a trovare una giustificazione logico-scientifica della prassi della bibliometria. Se ci riesce, sono pronto a ritrattare tutto e a recarmi al Suo cospetto con il capo coperto di cenere per unirmi al coro dei Fedeli.
      (Non si risenta per qualche stupida battuta; la questione è in realtà molto seria.)
      Il post di Thor è fondamentale.

  11. Sono un calciatore eccellente e vorrei giocare nel Bayern Monaco.
    Guardiola mi ha chiesto: ma cosa sai fare? Ho risposto: sono molto fantasioso.
    Mi ha risposto: le faremo sapere.
    Spero tanto che mi chiami :-)
    Invece quel cretino del mio collega si è presentato da Conte dicendo che ha fatto 100 gol negli ultimi 5 anni e che autore di oltre 1000 assit … e pensa un po’ lo hanno ingacciato alla Juve. Certo che nella vita ci vuole … (scegliete voi) :-)

    • @paolo
      Il paragone tra scienza e calcio è molto interessante. Purtroppo, però, solo apparentemente coglie nel segno.
      Se nella ricerca scientifica si facessero goal e assist, non staremmo qui a discutere: saremmo tutti d’accordo: chi dà più risultati, vince — e questo con buona pace di coloro che (pensi ai tifosi del Real Madrid e in parte anche a quelli del Barça, ma certamente non a quelli dell’Inter) pretendono anche, e forse soprattutto, il bel gioco (tanti goal senza gioco che calcio è?).
      Nella ricerca scientifica ne va soprattutto del SENSO di quello che si produce, si propone, si costruisce e si offre: un risultato evidente e “oggettivo”, efficace e “geniale” (super-quotato e super-citato) può rivelarsi, ad un certo momento, inutile e nocivo, fuorviante ed effimero, e quindi in fondo falso, come tutti sappiamo.
      Ora, la mia posizione è molto semplice. La BIbliometria è un vizio: ci disabitua alla considerazione scientifica del senso e ci spinge inesorabilmente sulla via dell’ignoranza della verità (come problema), a favore della produttività sfrenata e della competitività infondata e sterile. Un esempio di questo potrebbe essere ciò che sta accadendo nei campi della fisica teorica o dell’economia matematica, dove ormai tutto procede mediante modelli e ipotesi, con sempre maggiori arzigogoli e tortuosità concettuali, all’insegna del dichiarato distacco dall’esperienza elementare dell’uomo. Un distacco che ha anche un po’ il tono e il sapore dello spregio.
      So che queste rapide note non la convinceranno. Spero solo — e lo dico senza alcuna pretesa — che la stimolino a pensare.

    • @braghi
      Grazie per la gentile risposta. In effetti mi ha fatto riflettere e sono giunto alla conclusione che è difficile separare la filosofia della scienza dalla valutazione della scienza. Due pratiche umane che sembrano essere lontane miglia.
      La scienza è realtà che riempie la vita di alcuni di noi, ma riguarda tutti.
      La scienza è guidata da regole ispirate da scopi e valori. Possiamo essere d’accordo che la conoscenza fornita dalla scienza è, indipendentemente dalle sue applicazioni, un valore in sé, perché la conoscenza è un valore.
      Ma tale valore può entrare in conflitto con altri valori. Per esempio la conoscenza in se potrebbe entrare in conflitto con valori non conoscitivi o sociali. Certamente cercare di capire il ruolo che la scienza dovrebbe svolgere nella nostra vita è uno dei compiti più importanti della filosofia della scienza. Ma qui si tratta di valutare la scienza e non è facile. Diventa ancora più difficile se le regole di valutazione non sono chiare. Per tornare al parallelismo con il calcio. Come potrebbe un arbitro assegnare un rigore se la regola non dicesse chiaramente che qualsiasi fallo volontario commesso in area di rigore comparta l’assegnazione di un calcio di rigore e che lo stesso fallo commesso fuori dall’area di rigore comporta l’assegnazione di una punizione di prima?
      Indubbiamente una regola chiara del tipo, SOLO chi ha pubblicato negli ultimi cinque anni 25 lavori con IF, dei quali almeno il 50% come primo o ultimo autore può essere preso in condsiderazione per l’abilitazione a PO nel settore 05XX, avrebbe sicuramente creato meno polimiche (nel settore 14YY avrebbero potuto stabilire: SOLO chi ha pubblicato 5 monografie negli ultimi 5 anni può essere preso in condsiderazione per l’abilitazione a PO). Ho detto “preso in considerazione”, poi, ovviamente, ci vuole un CV che preveda tutto il resto.
      La circolare Profumo ha solo creato casino! Ha detto agli arbitri: anche se il fallo è commesso nella lunetta può essere rigore. Tutti noi sappiamo che la lunetta non fa parte dell’area di rigore.
      E non c’è da meravigliarsi se “candidadti che avevano abbondantemente superato le mediane sono stato dichiarati non-idonei per il “contorno”,(il CV, ndr). Per alcuni casi che mi sono preso la briga di leggere, a volte apparentemente con una qualche ragione, altre volte in modo forse un pò strumentale. ” (vedi sotto Donatelli).
      E come non condividere quello che dice nightwish73 “non sempre gli arbitri sono all’altezza… e possono sbagliare, in buona fede ed in cattiva fede. Anche perché all’arbitro è stata data molta discrezionalità, in questo caso. Sicuramente il commissario è in una posizione delicata, e per certi versi anche pericolosa…”. INDUBBIAMENTE, meno discrezionalità e regole più stringenti avrebbero creato meno polemica, ma molto meno!
      In questo modo si va verso la direzione giusta? … ai posteri l’ardua sentenza!

  12. Quest’ultima discussione sulla natura della ricerca è interessante, e mette in luce in parte i problemi dell’ASN. Da un lato criteri chiamiamoli “oggettivi”, come le mediane, dall’altro “soggettivi”, legati cioè alla possibilità della commissione di valutare la qualità, o se preferiamo il “genio creativo” indipendentemente dalla quantità. Al di là del nepotismo, che in Italia ci sarà sempre e comunque, questo dualismo non poteva non sfociare in una grande discrezionalità ed eterogeneità, soprattutto, ma non solo, nei settori non-bibliometrici. L’ASN sarebbe comunque andata come è andata.
    Senza difendere nessuno, non avrei voluto essere un commissario. Veloce ma approfondito, oggettivo ma soggettivo.
    Personalmente, il criterio delle mediane non mi dispiace. La vera natura della commissione stava, secondo me, nel valutare il “contesto” degl’indici bibliometrici: pertinenza al settore, posizione degli autori negli articoli presentati, contributo originale se presente. Non è difficile secondo me scovare i “professionisti della bibliometria”… Un primo/ultimo autore su Nature con altre decine di autori come può essere normalizzato per il numero di autori, ad esempio?

    • In alcuni settori candidadti che avevano abbondantemente superato le mediane sono stato dichiarati non-idonei per il “contorno”,. Per alcuni casi che mi sono preso la briga di leggere, a volte apparentemente con una qualche ragione, altre volte in modo forse un pò strumentale. Sicuramente, in genere le professionalità cross-domain hanno avuto problemi anche se con ampio supporto bibliometrico. Questo mi sembra un problema oggettivo. Esistono anche i professionisti della bibliometria, ma osserviamo che non sono la norma, non fosse altro per il valore delle mediane, in qualche settore disciplinare molto… ragionevoli.

    • Per rimanere in tema calcistico, non sempre gli arbitri sono all’altezza… e possono sbagliare, in buona fede ed in cattiva fede. Anche perché all’arbitro è stata data molta discrezionalità, in questo caso. Sicuramente il commissario è in una posizione delicata, e per certi versi anche pericolosa…
      Giudicare da fuori non è facile, perché dai CV pubblicati manca proprio la parte più importante: i lavori presentati. E in molti casi ci sono stati pure errori dei candidati…

  13. @paolo
    Grazie a Lei della lucida replica. Mi pare allora che guardiamo nella stessa direzione. Forse bisognerebbe innanzitutto stabilire una condivisa “etica della valutazione” (qualcosa come uno “honor code” e una “tavola dei valori”), e questo prima e a monte di ogni possibile tecnica valutativa (bibliometria, peer review, ecc.). Ma si tratta di un compito corale (filosofico e scientifico) che avrebbe bisogno di attori ben diversi da quelli che oggi popolano e guidano i nostri atenei.

  14. Questo articolo e’ colmo di doglianze, la cui fondatezza non riesco a valutare. Ma non si preoccupi l’autore (Aragno) qualora dovesse andare dal medico, perche’ non mi risulta che sia andata proprio cosi’ dappertutto…

    • In effetti in ambito biomedico la bibliometria è uno strumento usato da ben prima dell’ANVUR (e studiata, criticata, ecc, come lo è anche la peer review, ma non vista come strumento del diavolo).

    • Sarebbe, invece, davvero interessante (lo dico non per spirito polemico, ma per solo interesse scientifico) che l’amico anonimo eec ci segnalo tutte le “doglianze”.
      Se errori e falsità sono stato scritti, è giusto che chi “sa la verità” la renda nota a tutti.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.