La settimana ROARS:

30 gennaio -5 febbraio 2017.

Una rapida sintesi dei contributi pubblicati nell’ultima settimana

Nature: la valutazione bibliometrica danneggia la scienza

«When researchers apply strategies that boost individual and institutional performance metrics, scientific research as a whole becomes less efficient and reliable»: in un articolo apparso su Nature, Philip Ball discute gli effetti distorsivi delle valutazioni bibliometriche (Nature: la valutazione bibliometrica rende la scienza “less efficient and reliable”). Eppure, in Italia persino l’accreditamento dei dottorati utilizza indicatori bibliometrici, derivati dai voti VQR tramite una normalizzazione che dovrebbe rendere comparabili i risultati delle diverse aree disciplinari. “Dovrebbe”, perché per le Scienze chimiche nemmeno un collegio di premi Nobel può raggiungere un valore di R+X superiore a 3,1, mentre un collegio di Scienze sociali e politiche può arrivare fino a 14,1 (Peppe, Gedeone, la classifica dei dottorati e l’evangelo anvuriano).

Un apparecchio di Risonanza Magnetica Nucleare è fermo per il guasto di un hard disk da 52 Euro? La burocrazia è talmente soffocante che, piuttosto che bloccare le attività di ricerca per un periodo imprecisato, i ricercatori della Sapienza hanno organizzato una colletta (I problemi veri della ricerca: acquistare un hard disk da 52 euro). E anche le cronache da Rigopiano raccontano la stessa storia: esistono due mondi della Pubblica Amministrazione. Uno che si muove “a mille”, che risolve problemi e che getta il cuore oltre ogni ostacolo; un altro che comunica per PEC e fax, che gli ostacoli li crea anche quando non esistono (Cronache da Rigopiano: la valanga e la burocrazia).

Secondo uno dei decreti attuativi della Buona Scuola, cultura umanistica, creatività e made in Italy (rigorosamente in inglese) sarebbero sinonimi: per conoscere il patrimonio culturale, la Ferrari e il parmigiano (tutto sullo stesso piano), bisogna essere creativi. Siamo sicuri che sia questa la “cultura umanistica” di cui abbiamo bisogno? (Quale cultura umanistica?)

Al di là di effetti positivi pomposamente proclamati la cruda logica che sottendeva la legge 240/2010 era “un po’ di precarietà fa bene al sistema!”. Dati alla mano, un documento dell’ARTeD (Associazione dei Ricercatori a Tempo Determinato) mostra che effetti positivi non ce ne sono stati e addita alcune misure urgenti per correggere le storture più gravi (Il Precariato nelle Università dopo la legge 240/2010).

 

 

 

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Ricordiamo ai lettori la call for papers di RT, a Journal on Research Policy and Evaluation.

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