La macchina della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) 2004-2010 progettata e costruita dall’ANVUR si è messa in moto. L’esercizio, che riguarderà gli enti di ricerca vigilati dal MIUR e le università, si concluderà, secondo la tabella di marcia, nel marzo 2013. Saranno coinvolti 14 Gruppi di Esperti della Valutazione (GEV) composti da 450 membri, centinaia di referee, e 65.000 ricercatori che forniranno informazioni sui loro “prodotti” (se ne prevedono 216.000). Come diceva De Gaulle, vaste programme, la cui realizzazione presenta tutta una serie di criticità.

Voglio prima di tutto affermare, parafrasando a contrariis Manzoni, che “questa valutazione s’ha da fare”: il fallimento dell’esercizio sarebbe un grave passo indietro per la comunità scientifica italiana e per il paese tutto, e sarebbe la pietra tombale dell’ANVUR. Dunque andiamo avanti. Ma per andare avanti va esaminata tutta una serie di questioni che, nel caso del CNR, e più in generale degli enti pubblici di ricerca, rende l’esercizio quanto mai problematico.

Partiamo dalla sua genesi. Il VQR è stato tarato sull’università e sulle sue strutture, cioè i dipartimenti. Ciò non sorprende se si considera che tutti i membri dell’ANVUR sono professori universitari. Era da aspettarsi che nelle procedure vi fossero sviste, errori e financo penalizzazioni dovuti alla mancanza di conoscenza della realtà degli enti pubblici di ricerca; d’altra parte è ben noto che il potere nel sistema scientifico pubblico nazionale è nelle mani dei soliti universitari, e che i ricercatori degli enti pubblici non contano neanche in casa propria. Né certamente ci si potrà attendere un valido ausilio dai coordinatori dei GEV, tutti professori universitari. L’altro punto dolente del sistema è legato all’impatto dei risultati della valutazione: nel caso dell’università il decreto legislativo che è alla base del VQR prevede che questi verranno impiegati dal MIUR per la ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario e dei Fondi Premiali, mentre nel caso degli enti pubblici di ricerca la decisione è rimessa all’autonomia dei consigli di amministrazione – e finora nessuno ha fissato i criteri e le modalità.

Veniamo ad alcune questioni specifiche, con particolare riferimento al CNR.

La regola secondo cui i docenti universitari debbono presentare tre “prodotti” ottenuti nel settennio di riferimento, mentre i ricercatori degli enti pubblici debbono presentarne sei, appare inaccettabile e discriminatoria per quest’ultimi. Se i docenti dedicano parte del proprio tempo alla didattica, i ricercatori degli enti pubblici svolgono tutta una serie di attività previste dalla loro missione istituzionale (didattica, trasferimento delle conoscenze, svolgimento di servizi tecnici, consulenze, organizzazione di grandi progetti, ecc.) per cui il numero dovrebbe essere uguale per tutti.

Le cinque categorie di “prodotti”, e cioè: a) articoli su riviste; b) libri, capitoli di libri ed atti di congressi; c) edizioni critiche, traduzioni e commenti scientifici; d) brevetti; e) composizioni, disegni, design, performance, mostre, manufatti, software, ecc., non riflettono sufficientemente l’output scientifico di complesse organizzazioni come il CNR a cui, nel corso degli anni più recenti, è stato in maniera sempre più pressante chiesto di produrre “ricchezza”, “rilevanza sociale” nella filiera ricerca-innovazione. Per esempio alcuni progetti svolti su commessa limitano o addirittura impediscono la divulgazione dei risultati. In altri casi le nuove conoscenze vengono comunicate attraverso canali quali la letteratura grigia.

L’inclusione dei tecnologi degli enti pubblici di ricerca presenterà non pochi problemi di definizione delle attività svolte e quindi di inserimento o meno dei singoli nomi nella lista dei “produttori “ di ricerca. La figura stessa del tecnologo, introdotta alcuni anni fa negli enti pubblici di ricerca, presuppone che l’output del lavoro sia diverso da quello del ricercatore e quindi non necessariamente l’attività svolta si riflette nelle cinque categorie (né è una soluzione ideale quella di richiedere ai tecnologi una “produzione” pari alla metà di quella dei ricercatori).

Il numero di sei può essere del tutto legittimo in alcuni settori scientifici mentre in altri, per esempio nelle scienze umane e sociali, può risultare troppo elevato. Va ricordato che, nel caso in cui un ricercatore esibisce meno di sei “prodotti”, l’istituzione valutata (ricordiamo che vengono valutate le istituzioni, non direttamente gli individui) riceve un punteggio negativo e quindi viene penalizzata.

Secondo le regole del VQR, sono i ricercatori che forniscono al CINECA, che opera per conto del MIUR, i dati sulla “produzione”. Il CNR ha soltanto la facoltà di scegliere tra i “prodotti” eccedenti i sei, non potendo dunque esercitare alcun indirizzo strategico. Cosa avverrà se alcuni ricercatori non effettueranno una comunicazione appropriata o se altri ricercatori prenderanno, come hanno annunciato, la strada del boicottaggio della valutazione dell’ANVUR?

Le regole prevedono che un singolo “prodotto”, per esempio un articolo su una rivista, possa essere sottoposto a valutazione soltanto una volta dalla stessa istituzione. Specialmente al CNR gli articoli hanno molto spesso più autori: le istituzioni dovranno dunque decidere a quale autore attribuire il “malloppo” lasciando gli altri a bocca asciutta: cosa sottoporranno quest’ultimi se non hanno altri “prodotti” da esibire?

Un altro problema estremamente complesso, che richiederà la messa a punto di regole molto dettagliate, è quello dei docenti e dei ricercatori associati, per periodi più o meno lunghi, agli enti di ricerca ed ai dipartimenti universitari: la decisione sull’attribuzione alle varie organizzazioni dell’output della ricerca influenzerà, in maniera talvolta decisiva, la valutazione.

L’adozione delle 14 aree tematiche disciplinari del CUN mal si addice a ricercatori che svolgono la propria attività scientifica che ha carattere tematico e multidisciplinare. Tanto per fare un esempio a fronte di Matematica, Fisica, fino a Scienze politiche e sociali, il CNR è strutturato per dipartimenti quali Terra e ambiente, Energia e trasporti, fino a Patrimonio culturale.

Mentre è chiaro che l’unità di analisi della valutazione nelle università è il dipartimento, è da stabilire se il CNR verrà valutato soltanto nella sua integrità di ente o se verranno anche valutati gli oltre 100 istituti di ricerca (che hanno una rilevante similarità con i dipartimenti universitari).

Il CNR ha attivato una commissione per affrontare questi ed altri problemi in uno spirito di fattiva collaborazione con il VQR. Ci si aspetta dunque da parte dei GEV un particolare sforzo per addivenire ad una valutazione equa che non penalizzi il CNR soltanto per ché il modello di riferimento è largamente inadeguato. Sarebbe opportuno che, allo stesso tempo, il CNR esplicitasse i criteri che intende impiegare per utilizzare i risultati della valutazione che, come ha affermato il presidente Profumo, deve essere intesa non come una forma di punizione, ma come un sostegno ed un incoraggiamento agli operatori della ricerca per fare di più e meglio.

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3 Commenti

  1. Sulle agenzie di valutazione della ricerca, sottorappresentazione delle discipline umanistiche e egemonia economico-tecnicistica nel contesto dell’attuale dibattito sull'”innovazione” oggi in Italia cfr. http://micheledantini.wordpress.com/2011/11/20/humanities-oggi-in-italia-che-fare-2/

    Riporto un passaggio in particolare: “tra i criteri annunciati della valutazione dei docenti spicca quello, condivisibile, della produttività e diffusione internazionale dei propri studi: ma invece di introdurre incentivi alla traduzione si è creduto di dover premiare ricerche pubblicate da subito in lingua inglese, incuranti della correlazione tra processi linguistici e cognitivi e malgrado da parte degli stessi studiosi della comunità angloamericana vi sia una pronunciata attenzione al rispetto delle diversità, pur nell’adozione progressiva di una lingua franca. Colpisce che competenze umanistiche, storiche e sociali risultino palesemente sottorappresentate nell’Anvur. «Una politica come questa, che deprime finanziariamente le facoltà umanistiche, mette in discussione lo sviluppo armonico dei saperi e consegna il paese a una nuova forma di barbarie e dipendenza coloniale»: il tema della sovranità linguistica, culturale e storiografica si intreccia, nelle parole di Umberto Eco, a elementari diritti di cittadinanza globale di cui risulteranno sprovviste le giovani generazioni del paese”.

    Cordiali saluti e rallegramenti per Roars, Michele Dantini (professore di storia dell’arte contemporanea presso l’università del Piemonte orientale)

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