Con la mozione del 25 ottobre scorso, la CRUI ha finalmente puntato l’attenzione sul problema degli organici dell’Università italiana.
Tra mediane, ricorsi e polemiche relative, il lento, progressivo svuotamento del corpo docente e ricercatore sta passando in secondo piano, come un dato inevitabile, se non auspicabile. Ma cosa è successo negli ultimi anni?
Rispetto al 31 dicembre 2008, quando i 62.768 docenti e ricercatori italiani toccarono il massimo della curva storica del professorato italiano (vedi qui), il loro numero si è ad oggi ridotto del 10,4%: una diminuzione che non ha probabilmente paragoni in tutta la PA italiane né negli altri sistemi universitari europei, e che in termini di risparmio sulla spesa corrente raggiunge probabilmente una percentuale doppia.
Guardiamo infatti ai dati di fonte OCSE relativi ai Paesi ai quali si dichiara di ispirarsi nel concepire le nostre riforme (vedi qui). Tra il 2007 e il 2010, a fronte di tassi percentuali di crescita del corpo docente (full time equivalent) di oltre il 18 in Germania, del 14,4 in Olanda, del 5,5 in Spagna e del 2,5 in Francia, in Italia la variazione è stata dell’1,6; tra il 2009 e il 2010 si è avuto addirittura un decremento: -3,8%. Nel complesso del sistema universitario Italiano, il saldo tra le uscite e le entrate di docenti è consistito in una riduzione di 4.200 unità. Persino in Spagna, dove la crisi morde più che da noi ma si continua ad investire in ricerca riconoscendone il valore ai fini della crescita, nel 2010 sono stati assunti oltre 2.000 docenti. Per tacere della Turchia dove nel corso del 2010 hanno preso servizio 4.900 docenti o della Polonia dove i nuovi assunti sono stati 1.385.
Se guardiamo al rapporto docenti-studenti, quale è la posizione dell’Italia rispetto ai Paesi OCSE? Nel 2010, contro una media OCSE di 15,5 studenti per docente, in Italia per ogni docente ci sono, in media, 18,7 studenti (vedi qui, tab. 2.2). Tra i Paesi OCSE e gli altri G20 fanno peggio di noi solo Indonesia, Sud Africa, Belgio, Slovenia e Repubblica Ceca, i quali Paesi, tuttavia, hanno in genere imboccato con decisione la strada dell’investimento nel personale: +6% il Belgio, +3% la Slovenia, + 1% la Repubblica Ceca. Un rapporto docenti/studenti così sfavorevole non può non incidere sul rendimento del nostro sistema universitario.
In controtendenza rispetto al mondo intero, da noi si ritiene ormai che l’Università non serva più allo sviluppo: la percentuale di diplomati che si iscrive all’Università è scesa di quasi il 10% negli ultimi dieci anni ed è tornata quella di 30 anni fa (vedi qui) e i docenti possono allora essere “rottamati”. E’ un cane che si morde la coda, oppure è un circolo vizioso dal quale difficilmente si uscirà senza un intervento deciso.
Saranno dunque sempre meno i giovani ad aspirare a una carriera universitaria. Le regole complesse e farraginose per i nuovi ricercatori di tipo B, il sostanziale blocco della carriera a livello di associato, l’inconsistenza della remunerazione rispetto ad un impegno didattico continuamente crescente, il blocco degli stipendi – attivo ormai da tre anni e previsto ancora per gli anni a venire -, la burocratizzazione dell’attività hanno ormai tolto gran parte dell’attrattiva del lavoro universitario.
Né ci si può attendere che le nuove abilitazioni mutino il quadro e aprano le porte degli atenei ai giovani di valore. L’abilitazione nazionale è stata di fatto pensata per i docenti già presenti negli atenei, e quindi si risolverà in uno spostamento interno di posizione tra strutturati. I segnali in questo senso sono molti, ma è significativo che il contestatissimo sistema delle mediane sia stato costruito utilizzando la banca dati CINECA, che rispecchia la produzione dei docenti strutturati. Né i criteri di formazione delle commissioni danno alcuna garanzia che si voglia aprire alle nuove forze. Con questo sistema, quanti saranno gli esterni che potranno realisticamente fare il “salto” ed entrare nei ruoli da professore associato?
Tra i nuovi abilitati, poi, solo gli associati avranno qualche probabilità di “essere chiamati” da una sede. Grazie ai circa 280 milioni di euro del fondo straordinario a loro dedicato, si calcola infatti che le Università potranno consentire l’upgrade di almeno 11.000 ricercatori, compresi i 650 idonei del concorso 2008 non ancora assunti.
La contrazione forsennata dell’FFO e delle percentuali di turnover, già risicate per la maggior parte delle sedi (10% del totale) e che sono state abbattute ulteriormente dalla spending review che pone un limite di sistema al 20%, assieme ai vincoli alla composizione del corpo docente, renderà praticamente impossibile per moltissime sedi chiamare per molti anni docenti di I fascia. Per alcune sedi – di norma quelle che negli anni precedenti erano già bloccate e che pertanto, alcune addirittura dal 2009, non hanno potuto far prendere servizio ai docenti idonei – il turnover sarà inferiore al 5%. L’ordinario, il cui costo “figurativo” (vedi qui) è più elevato (1 punto organico, nonostante se è già in servizio come associato possa addirittura essere praticamente a costo zero), ha bassissime chance di prendere servizio. I vincoli all’utilizzo delle risorse, infatti, più che settuplicano il costo figurativo per i docenti interni e più che raddoppiano quello degli esterni.
Altro che lotta ai baroni. Nei prossimi anni l’Università italiana – complice la nuova governance disegnata dalla L. 240/2010 – sarà controllata da un numero sempre più basso di ordinari.E questo mentre 450 idonei ordinari, vincitori della tornata concorsuale del 2008, rischiano di veder scadere la loro idoneità (vedi qui): una situazione mai successa nella storia dell’università italiana.
Ciò nonostante si illudono migliaia di professori associati che, una volta abilitati ad ordinari, potranno aspirare a vedere concretizzato questo risultato.
Ci sono però anche i “ricercatori fantasma”, cioè giovani (o ormai ex-giovani, considerati i tempi biblici della loro attesa) i cui concorsi sono stati banditi dalle università quando non erano soggette al blocco delle assunzioni e avevano accantonato le risorse per le nuove assunzioni. In alcune sedi questi ricercatori attendono di prendere servizio dal 2005. Sono poco più di 100 in tutta Italia, la maggior parte dei quali nel centro-sud. E pesano come un macigno sulla testa di coloro che – già interni – aspirano a vedere riconosciuto, al pari dei colleghi che già hanno preso servizio, alcuni da più di due anni, il giusto merito.
Mentre le elezioni si avvicinano il sistema politico sembra non accorgersi che, assieme all’Università, se ne sta andando una buona fetta di futuro di questo Paese.
Mozione approvata all’unanimità dall’Assemblea Generale della CRUI
Roma, 25 ottobre 2012
L’Assemblea della CRUI, riunitasi il giorno 25 ottobre 2012, denuncia con forza l’estrema gravità in cui versa il sistema universitario italiano, sistema che sta ormai precipitando in una crisi irreversibile tale da minare l’immagine internazionale del Paese e le sue prospettive di sviluppo.
Basti ricordare che:
• l’attuale fondo di finanziamento ordinario (FFO), dopo ripetuti tagli e, malgrado il notevole calo degli organici, non riesce a coprire neppure la somma delle spese fisse delle Università;
• il numero di docenti e di ricercatori si è ridotto negli ultimi quattro anni di oltre il 10%;
• la recente sentenza n. 223 della Corte Costituzionale relativa al TFS (aliquota del 2,5%) si rifletterà in misura pesante e a esercizio quasi concluso, sui bilanci degli Atenei; e lo stesso avverrà per i prossimi anni;
• il permanere del blocco del turn-over, fissato al 20% dalla legge di spending review, oltre a ridurre ulteriormente e in misura intollerabile il ricambio degli organici dei docenti, con gravissimo nocumento della programmazione didattica, è in stridente contrasto sia con l’avvio dei percorsi abilitativi ex lege 240/2010, sia con la procedura di accreditamento dei corsi di studio da parte dell’ANVUR;
• la suddetta limitazione del turn-over al 20%, unitamente ai vincoli nel suo utilizzo, impedisce qualunque ricambio generazionale. In particolare le Università si troveranno prive di docenti di prima fascia che, negli ultimi 4 anni, si sono ridotti di oltre il 20%.
La CRUI pertanto chiede:
• il ripiano del ‘taglio’ attualmente previsto per il 2013 per le Università Statali e non Statali pari a 400 milioni di euro;
• la copertura finanziaria degli effetti della sentenza n. 223 della Corte Costituzionale relativa al TFS che equivalgono a non meno di 100 milioni di euro annui ai quali si deve aggiungere il conguaglio maturato dai dipendenti per una somma una tantum di circa 80 milioni di euro;
• il ripristino della quota del 40% per quanto concerne il turn-over, così come richiesto dalla CRUI già nella mozione del 19 luglio u.s.;
• l’utilizzo del turn-over disponibile senza ulteriori vincoli con riferimento alle fasce della docenza onde consentire, senza alcun onere aggiuntivo per lo Stato, tanto l’ingresso dei giovani ricercatori quanto il necessario ricambio generazionale.
Accanto all’ottima analisi fatta sui grandi numeri, sulle statistiche comparate e sulle percentuali di massima, si dovrebbero raccogliere le storie di molti singoli pensionamenti, di cui alcuni forzati, e di come le amministrazioni universitarie hanno congedato una parte di quel 10%, continuando però a utilizzarlo per uno-due anni praticamente gratis.
Guardando poi la tabella http://statistica.miur.it/scripts/personalediruolo/vdocenti0.asp
si nota che la crescita più accentuata, che si conclude col 2008, coincide coll’adozione dei nuovi corsi di laurea 3+2. Sappiamo bene che i nuovi corsi di laurea, oggi tanto deprecati (ma io continuo ad essere del parere che sono state le applicazioni a creare i guasti e non le leggi in sé anche se imperfette), allora sono serviti per ampliare l’offerta formativa anche mediante o per l’assunzione di nuovi docenti, soprattutto ricercatori poi caricati da subito di compiti didattici autonomi che potevano avvicinarsi alle 120 ore (più tutto il resto). E’ interessante guardare le crescita degli ordinari e dei ricercatori. Mentre tra il 2000-2008 gli associati crescono di cca il 10%, ordinari e ricercatori crescono di circa un quinto. Il tutto da correggere e da ritoccare abbondantemente con gli ‘scorrimenti’ di carriera che io non sono nelle condizioni di fare. Oltre agli strutturati ci sono stati e ci sono legioni di docenti a contratto, assunti con dei contratti scandalosi al ribasso, che quantificavano soltanto il monte ore lezioni e non il resto, di docenti mutuati o altro da altre facoltà. Insomma, la quantità degli strutturati (cfr. requisiti minimi) non rende minimamente l’idea della docenza effettiva e variabile di ciascun anno accademico e il tutto dipende dalla quantità dei CdL che potevano reggersi in parte e per legge anche sui precari. Tutto questo ha generato squilibrio e spreco per quel che ho potuto capire. Questo molto rapidamente.
Gia’ l’ultimo centrosinistra e poi, alla grande, il centrodestra della gelmini hanno deciso di uccidere l’universita’, anche enfatizzando la portata di vere porcherie commesse da nostri pseudocolleghi. Basta vedere le pagine dei giornali della famiglia berlusconiana che incitavano all’odio nei confronti dei docenti universitari al tempo della gelmini. Non s’era mai visto, nella storia d’italia, che atti ufficiali del ministero (gelminiano) parlavano di “potere baronale” da limitare. Ora siamo al disastro. I figli dei poteri forti hanno le loro universita’ private, mentre gli altri frequentano, di malavoglia, le macerie delle nostre sempre piu povere universita’. Chi si candida al governo del paese, dovrebbe metere al primo posto la formazione di alto livello insieme al politica industriale. Ma, suvvia, chi lo fara’ mai?
Sono favorevole alla diminuzione del personale docente, purche` una parte dei soldi risparmiati vengano usati per rinforzare i servizi di supporto e ottimizzare il carico di lavoro. Meno scartoffie da riempire, piu` staff amministrativo, insomma. Anche i servizi agli studenti migliorerebbero.