Italy’s new coalition government has named robotics researcher Maria Carrozza as its minister for education, research and the universities. Prime minister Enrico Letta chose 47-year-old Carrozza, former rector and head of biorobotics at the Sant’Anna School of Advanced Studies in Pisa, to fill the position, in a government that has emerged two months after elections produced deadlock between Italy’s political parties.
On her appointment on 27 April, Carrozza pledged to back basic research and stress the importance of peer review. “I aim to make the path of selection, funding and evaluation of research projects more streamlined and efficient, worthy of a European country, and to recruit and treat researchers in line with the European Charter for Researchers,” she told Research Europe.
However Carrozza—who resigned from Sant’Anna on her election as a representative of the centre-left Democratic Party in February—faces an uphill battle to shore up Italy’s university system in the face of declining education and research budgets.
“I am extremely sceptical about the political situation overall, because this coalition government did not have the consensus from the electorate, and this makes the whole scenario very uncertain,” says Francesco Sylos Labini, a physicist at the Enrico Fermi Center in Rome. Sylos Labini is co-founder of a grassroots group Roars, which has sought to mobilise Italy’s academics against research cuts.
Italian researchers say the situation in the country’s university system is becoming alarming. There is a large drop in student numbers, and many students from poor backgrounds have no means of support, despite their right to attend. There are also no funds to fill vacant positions as older academics retire, as envisaged under reforms implemented by the centre-right government of Silvio Berlusconi in 2010. The subsequent technocratic government of Mario Monti cut budgets for both teaching and research. “Let’s not forget that Carrozza supported that,” says Labini.
Indeed, even supporters fear that Carrozza is inheriting an empty-pocketed ministry. The amount of public money invested in the Italian research and university system has faced cuts since the 2010 reforms and during the austerity imposed by Monti.
Combined government funding for 12 major Italian research bodies will fall to €1.6 billion this year, from €1.75bn in 2010. One instrument for funding basic research, called Research Projects of National Interest (PRIN), plunged in value from €106 million to €38m last year.
“Money drops, and bureaucracy rises,” says Silvia Onesti, head of the Structural Biology Laboratory at the Elettra synchrotron facility in Trieste. “The only way to do research in Italy is to rely on private foundations and European grants.”
“Italian basic research is in jeopardy,” says Sylos Labini. Aside from lack of funds, critics say the Italian research system remains characterised by a lack of clear responsibility for how funds are spent. “Before injecting more money, they need to re-think the organisation, the assignment mechanisms, and the transparency of the system—and take merit into account,” says Tullio Pozzan, head of the department of medicine at the National Research Council, Italy’s largest research agency.
Questions have also been asked about the effectiveness of the national research evaluation agency (ANVUR), which released its first round of results last year. “After the evaluation there were no consequences. What is the point of ANVUR, if nothing changes after an excellent or an awful evaluation?” says Pozzan.
Researchers are hoping that Carrozza’s own research background will help the government to aggressively tackle some of these long-standing issues. Andrea Lenzi, president of the National University Council (CUN), which represents the universities, says: “Carrozza knows the national research and university system well—she has shared the difficulties of raising money, sponsoring students and organising courses.”
Nell’articolo si legge: “Before injecting more money, they need to re-think the organisation, the assignment mechanisms, and the transparency of the system—and take merit into account,” says Tullio Pozzan, head of the department of medicine at the National Research Council, Italy’s largest research agency.
Tale dichiarazione mi ricorda quelle della Moratti e della Gelmini. Se da un punto di vista generale concordo pienamente che sia necessario procedere con la valutazione, trovo inaccettabile che, dopo anni di tagli che stanno portando al collasso le strutture di ricerca del paese, qualcuno ancora insista che, prima di dare più soldi, bisogna “fare pulizia in casa”. Ma quali più soldi, se siamo alla canna del gas?
Trovo sconveniente e riprovevole che sia il direttore di un Dipartimento del CNR a fare tale dichiarazione (che non mi risulta sia stata smentita): lui è uno di quelli che si trovano ad essere i destinatari dei famosi fondi aggiuntivi. Non mi sembra dunque che porti acqua al mulino del CNR – ma non sorprende, è un professore universitario “prestato” pro-tempore all’alta carica.
Mah. Secondo me il solo fatto che Tullio Pozzan, membro straniero della National Academy of Science degli Stati Uniti, sia direttore di un Dipartimento del CNR porta acqua al mulino del CNR.
L’h-index su ROARS non si puo’ nominare, e’ peccato. Ma giusto per curiosita’ andate a vedere l’h-index di Pozzan e il numero di citazioni.
Superiore allo indice h di Luigi Frati?
E’ butto fare contronti (soprattutto peche’ LF e’ chiaramente sotto attacco). A spanne da ISI WoK, TP e’ superiore a LF di un fattore 2 sull’h-index e di un fattore 3 sulle citazioni, con circa meta’ lavori. E solo TP e’ membro della National Academy of Science degli Stati Uniti (e dell’Accademia dei Lincei).
Non vorrei parlare di persone ma dell’uso ed abuso dell’indice H. Quindi mi pento di aver tirato in ballo LF e TP, sui quali ritiro ogni giudizio, e non farò altri nomi. Il caso che descriverò è tuttavia reale e concreto. Diversi anni fa il governo nominò presidente di un grande ente di ricerca un professore. Alcuni colleghi (di altra disciplina) protestarono pubblicamente contro questa nomina perché sulla base di indicatori bibliometrici il valore scientifico di questo professore risultava molto basso. In termini di citazioni infatti era quasi inesistente. Sono passati molti anni ed ora quel professore figura tra i “top Italian scientists” con un H-index di tutto rispetto. E’ possibile fare il presidente di un grande ente di ricerca, e poi il rettore di una grande università e poi il presidente di un altro grande ente di ricerca e nel frattempo svolgere ricerca originale ed innovativa? Io penso di no. Però è possibile scalare le classifiche bibliometriche, basta “coordinare” le altrui ricerche, e per “coordinare” molte ricerche basta avere molto potere. Ripeto il mio intervento è contro l’H-index non contro le persone.
Io sono infatti a favore dell’H-index individuale, cioe’ l’h-index tenendo conto SOLO dei lavori a singolo autore. Il mio (indivuduale) e’ 12.
Infatti bisognerebbe vedere la correlazione tra numero di articoli e citazioni e carica istituzionale ricoperta. Ingenuamente si potrebbe pensare che la correlazione sia negativa: se si fa il presidente/direttore/rettore non si ha tempo per fare ricerca. E invece viene fuori in molti casi che la correlazione è positiva. Ad esempio ci sono casi in cui il numero di articoli pubblicati/citazioni avute incrementa in maniera significativa dopo che si è assunto un incarico che, a priori, dovrebbe essere molto impegativo dal punto di vista amministrativo/gestionale. Ad esempio c’è qualcuno che pubblica anche 60 articoli all’anno (= uno alla settimana). Ma quando si è bravi basta poco: o no?
Beh, conosco almeno 2 fisici teorici russi (uno e’ in Israele e l’altro in Australia) che fanno 40 o 50 lavori all’anno, collaborando con moltissime persone. E per ognuno dei lavori il loro contributo e’ determinante.
Non siamo tutti uguali. E c’e’ gente piu’ brava. Bisogna ammetterlo e basta.
Leonard Euler ha scritto molte centinaia di lavori originali da solo (e, soprattutto quanto non era piu’ giovane, aveva diversi collaboratori che lavoravano per lui).
Comunque, ripeto, io sono per l’h-index individuale.
Invece, facciamo un confronto, se scrivi Frati su TIS vengono fuori Laura Fratiglioni h-index 62 (Sweden epidemiology – medicine) e Luigi Frati h-index 52 (Italy clinical – medicine Roma Verified Google Scholar MyCitations). Io non conosco la dr.ssa Fratoglioni, ma mi sembra che anche lei “coordini” l’ARC in svezia …. mi sa che è difficile trovare qualcuno con un h-index superiore a 30-35 che non coordini o che non sia in un grande gruppo, come spesso accade ai fisici …. Ma se sei in un piccolo gruppo che veramente coordini, hai quasi sempre l’ultimo nome nelle tue pubblicazioni ed hai un h-index maggiore di 30 forse qualcosina in più l’h-index ci dice. O no?
Certi risultati (soprattutto in ambito sperimentale, ma non solo) e’ difficile ottenerli da soli.
Inoltre, in ambito universitario e’ anche importante “avviare alla ricerca” e quindi collaborare con persone piu’ giovani.
Infine, se un gruppo di ricerca vuole essere competitivo internazionalmente deve sceglie collaboratori bravi e motivati. Il bravo coordinatore riesce a trovare ottimi collaboratori ed anche i soldi per pagarli al meglio.
L’ H-index e’ un indice che puo’ essere distorto facilmente attraverso comportamenti che vanno contro il codice etico delle universita’ di mezzo mondo. Se esiste un rapporto diretto tra ruolo di potere e firma apposta su lavori cui non si e’ contribuito cio’ e’ evidentemente sintomo di un ambiente malato e corrotto e non sono i correttivi a questi indici la soluzione del problema.
In realta’ e’ sbagliato ritenere che indici di questo tipo possano essere usati come strumento principale per decidere reclutamenti di docenti/ricercatori, per valutare strutture di ricerca, per assegnare fondi.
Infatti in tutti i sistemi di ricerca avanzati si usa il “peer review” possibilmente allargando di molto al di fuori dell’ambito nazionale l’insieme dei valutari. L’uso degli indicatori bibliometrici puo’ essere limitato a variabili di controllo “a posteriori”, ovvero qualora la valutazione “peer review” presenti degli scostamenti molto significativi rispetto alla bibliometria, puo’ essere decisa l’acquisizione di ulteriori pareri.
Cio’ che in Italia sta indebolendo la battaglia contro questo uso scellerato della bibliometria e’ la presenza tra gli oppositori anche di personaggi che non vogliono la valutazione quale che essa sia.
Non bisogna dimenticare che se siamo a questo punto e’ perche’ avevamo un sistema malato di autoreferenzialita’, gestita da piccoli gruppi spesso screditati sul piano internazionale, per cui alla fine questo ha legittimato la classe politica, sobillata da alcuni economisti in totale malafede, ad imporre una medicina peggiore del male.
Dipende da che universita’ si vuole. Si vuole una universita’ i cui docenti si chiamano:
i) Marco Arcimboldi Immanicati;
ii) Marco Sfigatich.
L’opzione i) e’ la solita. Io, per ovvi motivi, passerei alla ii).
La bibliometria pero’ garantisce ben poco, non vorrei ripetere argomenti sviluppati su ROARS molto meglio di quanto non possa fare io, ma i buchi neri che hanno intrappolato i colleghi dell’ ANVUR non si possono ridurre a errori individuali,ma e’ proprio il fideismo negli indici che ha creato i piccoli mostriciattoli che sono stati spesso evidenziati su queste pagine.
La realta’ del nostro sistema accademico e’ di essere, provinciale, autoreferenziale e, in taluni settori legati alle professioni, anche molto corrotto (cosi’ come purtroppo lo e’ il nostro paese).
Forse se accettassimo una maggiore partecipazione alle nostre fasi decisionali, di persone provenienti da altri sistemi accademici importanti, potremmo rompere diversi livelli di autoreferenzialita’ e ne guadagneremmo in dinamismo e qualita’.
Non e’ fideismo negli indici, ma mia sensazione personale che a volte i rivoluzionari siano in realta’ dei reazionari, e viceversa.
Questa dei rivoluzionari / reazionari e’ una sacrosanta verita’ e molto comune all’ universita’ italiana da quando io avevo i calzoni corti all’ universita’ (cioe’ tanto tempo fa). E’ chiaro che i sistemi camminano sulle regole ma anche sulle persone e come ho scritto non pochi (qualcuno anche su queste pagine) non sono critici di un metodo particolare ma non vogliono semplicemente essere valutati. Per cui senza pretendere rivoluzioni ma guardando al resto del mondo, forse non e’ troppo chiedere che l’ Italia diventi anche sull’ universita’ “un paese normale”.
PS. Mentre scrivevo mi sono ricordato che quello che ha usato questa espressione e’ uno dei maggiori responsabili dello sfascio attuale della politica italiana……
Vorrei fare un commento sul seguente ragionamento:
“Beh, conosco almeno 2 fisici teorici russi (uno e’ in Israele e l’altro in Australia) che fanno 40 o 50 lavori all’anno, collaborando con moltissime persone. E per ognuno dei lavori il loro contributo e’ determinante. Non siamo tutti uguali. E c’e’ gente piu’ brava. Bisogna ammetterlo e basta. Leonard Euler ha scritto molte centinaia di lavori originali da solo (e, soprattutto quanto non era piu’ giovane, aveva diversi collaboratori che lavoravano per lui).”
Mi sembra che questa polemica si possa un po’ chiarire con il seguente ragionamento astratto.
Se X e’ un genio nessuno si stupisce se scrive tantissimo, da solo o in compagnia, anche se non ricopre incarichi di potere (come nel caso di Eulero). Ma ci sono esempi di personalita’ geniali che hanno scritto relativamente poco perche’ morte prematuramente in un duello, o per tubercolosi, o per ragioni puramente psicologiche.
Viceversa, se Y ricopre incarichi di potere di natura anche burocratica e organizzativa, incarichi che, in linea di principio, richiedono molto tempo e molta energia,
e se, al contempo, scrive tantissimo, e piu` in compagnia che da solo, non e’ necessariamente vero che sia un genio.
Aggiungo a margine che Grothendieck ha scritto che il valore dei nostri contributi viene stabilito dal tempo. Grothendieck ha rifiutato premi importanti con motivazioni che andrebbero lette con attenzione, e che sono curiosamente simili a quelle addotte da Perel’man.
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