Nella vicenda della VQR v’è un aspetto che non è stato ancora dovutamente sottolineato: ad un sentimento quasi unanime nella comunità accademica di rigetto di un sistema di valutazione che fa acqua da tutte le parti ha fatto riscontro una altrettanto unanime e decisa azione da parte dei rettori per convincere i propri docenti ad accettare tale sistema di valutazione e a conferire i loro prodotti. Forse è la prima volta che assistiamo a una così palese e chiara discrasia tra la comunità dei docenti e quella dei rettori, asserragliati nella CRUI. Non ci si lasci ingannare dalle percentuali finali di conferimento dei prodotti: gran parte dei docenti hanno accettato non perché convinti della validità della VQR, ma in quanto hanno temuto conseguenze o per sé o per i propri allievi, oppure perché non hanno avuto la tempra di resistere a pressioni più o meno velate, più o meno esplicite.
Non è il caso di esprimere giudizi morali su chi si è trovato “in stato di necessità”; su chi invece ha tradito il mandato conferitogli da chi li ha eletti è però necessario spendere qualche parola.
I rettori non sono funzionari governativi, come accade in altre nazioni; non ottengono il loro ruolo per concorso: sono eletti dalla comunità accademica e di questa sono (o dovrebbero essere) interpreti. Quando invece essi vanno apertamente contro di essa, quando ne violano i sentimenti più profondi, quando si schierano dalla parte di chi ne ostacola la lotta e la protesta profondamente sentita, allora viene da domandarsi: in nome e per conto di chi stanno agendo, a quale volontà, a quali interessi rispondono? Non si dica che lo fanno perché hanno il “senso delle istituzioni”, perché questo suonerebbe offensivo nei confronti della comunità accademica tutta, quasi essa fosse una banda di autolesionisti distruttori delle istituzioni cui appartiene.
Forse qui giunge a maturazione uno dei frutti più velenosi della riforma Gelmini: un unico mandato non rinnovabile per i rettori fa sì che essi, una volta eletti, si ritengano liberi dalla necessità di rispondere democraticamente alla base che li ha scelti; non hanno la necessità di riconfermare il consenso ricevuto, in modo da capitalizzarlo per un secondo mandato. In fondo si voleva ottenere proprio questo: rettori che, svincolati dalla loro base elettorale, fossero solo sensibili a chi sta “sopra” di loro: Ministero, ANVUR e in generale i “decisori politici”. È infatti da costoro che dipende il loro futuro e la possibilità di sfuggire all’anonimato in cui piomberebbero una volta scaduto il loro mandato. Troppo interessati a garantirsi il futuro, diventa invincibile la tentazione di compiacere i poteri dal quale esso può dipendere. E tra questi poteri non ci sta certo la comunità accademica.
Ecco allora che diventa possibile quello che si potrebbe definire il “tradimento dei rettori”, perpetrato verso la comunità accademica che li ha eletti e che non interpretano nella quasi unanime volontà di non accettare la VQR. I rettori – e qui la critica non investe i singoli, ma una categoria, perché proprio questo è un caso in cui è vero che “senatores boni viri, senatus mala bestia” – hanno scelto non i loro elettori ma il potere, il calcolo politico, il MIUR, l’ANVUR è così hanno violentato un comun sentire, capillarmente diffuso, a volte forzandolo con minacce implicite o esplicite; hanno pertanto infranto il rapporto di fiducia con i propri docenti: avessero deciso compattamente di stare al loro fianco, l’impatto della protesta sarebbe stato devastante e avrebbe portato chi di dovere a riflettere sulla correttezza della strada sinora percorsa. Hanno invece deciso di fare gli “amici del giaguaro”, di fare i “primi della classe”, magari per avvantaggiare il proprio ateneo a scapito degli altri; e hanno posto le condizioni di un ulteriore approfondimento dei processi di destrutturazione dell’Università. Hanno contribuito a dividere ulteriormente una università già divisa, rendendola lacerata, frammentata; hanno contribuito a porre un docente contro l’altro, all’interno dello stesso dipartimento, della stessa stanza; a mettere gli allievi contro i loro maestri, instillando la paura del futuro e suscitando la corsa a garantirsi egoisticamente e opportunisticamente la fetta maggiore dei futuri finanziamenti. Forse i rettori si illudono di rendere così il potere più clemente: sarebbe un calcolo politico analogo a quello che li ha portati ad accettare supinamente una riforma dell’università quale la Gelmini, nella speranza che poi il potere politico avrebbe aperto i cordoni della borsa. Un calcolo sbagliato, come sicuramente sarà quello che li ha portati a tradire la propria comunità accademica nel caso della VQR.
Una particolare menzione in questo “tradimento” meritano i rettori delle università meridionali: sanno bene cosa abbia significato per le loro università la passata VQR, conoscono la crisi profonda che i processi di ristrutturazione del sistema universitario stanno arrecando ai loro atenei. Si illudono forse di invertire la rotta, di far diventare le proprie università finalmente eccellenti, ribaltando i risultati della precedente VQR? Al tradimento in questo caso si associa anche una certa dose di – chiamiamola così – “ingenuità”: a furia di voler essere realisti più del re, finiranno per aggravare ulteriormente la crisi dei loro atenei, l’emarginazione dei loro docenti, i flussi migratori verso il nord e l’estero dei loro studenti.
Questi rettori – e quella loro associazione privata che è la Crui – non meritano più alcuna fiducia da parte dei docenti delle università e se avessero un minimo di dignità dovrebbero, a conclusione di questa triste vicenda, dimettersi in massa. Non lo faranno. Ma siamo certi che d’ora in poi essi non rappresentano se non se stessi e quella ristretta fascia di docenti che pensa di poter trarre dalla VQR un vantaggio personale, un riassetto dei poteri accademici a proprio favore, o più semplicemente potere e prebende. La disistima e la sfiducia nei loro confronti da parte dei docenti delle università, di quelli che tra mille difficoltà e ostacoli, continuano a far ricerca e didattica – VQR o non VQR –, è sicuramente cresciuta, è diventata profonda. Una frattura che per il futuro sarà foriera di ulteriori lacerazioni e che sarà difficile ricomporre.
Premetto che sono una ricercatrice ritenuta inidonea ad abilitarsi per la classe SPS07 dell’ultima tornata concorsuale. Lo premetto perché, in opposizione alla bocciatura, l ‘Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca mi sollecita in questi giorni ad offrire “in base a criteri legati al merito scientifico e all’esperienza di valutazione ( …) la disponibilità a valutare un insieme di prodotti”.
Orbene, essendo anche una di coloro che ha rifiutato di sottoporsi alla VQR, mi sono trovava nella condizione sui generis, ma sicuramente comune a molti colleghi, di essere una potenziale valutatrice che si rifiuta di offrirsi a quella stessa valutazione.
Resto tale, perché la scelta da parte dei rettori di conferire in mia vece i prodotti, non scalfisce le mia scelta di fondo della quale esporrò qui di seguito il ragionamento.
Ho scelto di valutare pur non avendo conferito i miei prodotti, convinta che entrare nel processo “top down” potesse sostenere una causa: la causa di chi, dal sud, sa bene che tanti prodotti di area umanistica sono pubblicati in collane e case editrici periferiche o, con un eufemismo, di nicchia, sconosciute ai più; che per un collega, come la scrivente, di serie B, pubblicare un articolo in una rivista di classe A è un traguardo asprissimo; che la nostra gara dal Mediterraneo – è una prova di “diversamente abili” fra tanti “apparentemente abili” che godono delle protesi, degli allenamenti e dello staff di super attrezzate palestre mentre da noi “piove dai tetti”. …e che una “diversamente abile” potesse tentare di mettere a frutto un maggior senso di “equità”.
Nicola Perrotti (” I frutti amari della riforma Gelmini. Più amministrazione meno scienza”. Articolo 33 Anno IV n.7-8 LUGLIO AGOSTO 2012 pag 26-27)
“Questi profondi cambiamenti della
vita universitaria sono stati realizzati
con la complicità di tutte le forze politiche,
evidentemente ansiose di metter
le mani nel prestigioso mondo
universitario e nel totale silenzio del
mondo accademico, interessato a
concentrare buona parte del controllo
nelle mani dei Rettori. Questi, a loro
volta, non paghi del ruolo di custodi
della libertà didattica e di ricerca, attribuito
loro dalla tradizione, hanno ceduto
alle lusinghe del mondo politico,
riducendosi a superiori gerarchici.”
Il discorso vale a fortiori per molti direttori di dipartimento, legati ai loro elettori non solo dal vincolo rappresentativo, ma anche e prima da vincoli di conoscenza, colleganza, amicizia…
E’ vero che la Gelmini ha abolito il secondo mandato rettorale (spalmando il primo), ma il problema valeva già prima per il secondo mandato: dopo i primi 4 anni il rettore rispondeva solo alla sua coscienza, si fa per dire.
Questo per i Rettori.
Ed i Senati accademici? Come si stanno comportando? Qualcuno ne ha un’idea al livello nazionale?
Il senato accademico di Unibo, eletto tra i fedeli di quello che speravano fosse diventato rettore (e poi non lo è diventato ….) è schierato anti vqr . Alcuni membri sono proprio gli ispiratori della Rif. Gelmini, altri sono anche in Anvur. In un primo tempo siamo stati minacciati , poi la delibera minacciosa è stata annullata. Alcuni giuristi danno ancora interpretazioni restrittive delle norme a favore dell’annunciato prelievo forzoso. Il rettore non vuole e forse non può mettersi contro il cda su questo tema. Ma in futuro lo scontro sarà inevitabile. Vedremo.
Ho letto con amarezza questo articolo e non posso che ritrovarmi in quello che viene scritto. Insegno a Sassari e aderisco alla protesta.
All’inizio eravamo in molti a firmare i documenti di Ferraro, anche direttori di dipartimento (e vicedirettori), qualche delegato rettorale (pure molto attivo, sino a un certo punto…). Poi si è delineata molto bene la linea rettorale nei confronti della protesta, e allora diversi di questi colleghi piano piano si sono chiamati fuori: chi dicendo che il proprio ruolo istituzionale gli impediva di aderire alla protesta, chi sostenendo con forza la tesi che il boicottaggio della VQR danneggiava l’Ateneo…
Dicevo della linea rettorale: fatta di mail ripetute e, da ultimo, culminata nell’annuncio del conferimento “forzoso”, in assenza di esplicite diffide: “Per questo è mia intenzione procedere all’inserimento dei prodotti di chi, per impedimenti tecnici, personali o di qualsiasi altra natura non lo abbia sin qui fatto”. Nella stessa mail, del 4 marzo, ci veniva comunicato che ancora ca. il 18% degli interessati non aveva chiuso le schede.
Da noi c’è stata un’unica riunione per discutere sui motivi della protesta convocata dai rappresentanti delle diverse fasce in Senato Accademico: ho capito che aria tirava quando, alla presenza del rettore, un senatore ha detto, testuale, che avevano “dovuto” convocare la riunione perché richiesti dai colleghi e dunque “costretti”. C’è da aggiungere qualcosa?
Infine: adesso ho capito a cosa serve la CRUI.
I Rettori hanno tradito perchè sono mediocri. E come tutti i mediocri hanno paura. Saranno magari stati bravissimi docenti e ricercatori, ma come leaders (compito per il quale hanno chiesto il nostro voto) si sono rivelati una nullità.
Addirittura non se ne è praticamente sentita la voce nel cruciale dibattito (ben oltre la VQR!) sulla destinazione dei fondi governativi alla ricerca innescato da G. Parisi, e continuato su “la Repubblica” da E. Cattaneo, G. Bignami e U. Veronesi. (Fatto salvo il lucido intervento di G. Trombetti, che però Rettore non lo è più da tempo. Lui è stato in effetti anche Presidente CRUI: ai tempi in cui la CRUI ancora non soffriva di afasia e tremori neurologici). La spietata conclusione che ne trarrebbe un qualsiasi osservatore esterno è che – poichè i vertici sono espressione della base e ne riflettono i comportamenti – l’ Università Italiana, intesa come pubblica Istituzione formata da tutti noi Docenti, ha oggi la stessa capacità di reazione di una Grande Balena Spiaggiata, e sia destinata come questa ad un lento disfacimento (ad opera non solo del sole e del mare ma anche di voraci organismi come l’IIT).
A meno che un miracoloso drappello di giovani capitani coraggiosi (come il benemerito collega Iannaccone di Pisa) non riesca a rimetterla in acqua: ma per il momento è solo un sogno ad occhi aperti…
[…] Nella vicenda della VQR vi è un aspetto che non è stato ancora dovutamente sottolineato: ad un sentimento quasi unanime nella comunità accademica di rigetto di un sistema di valutazione che fa acqua da tutte le parti ha fatto riscontro un’ altrettanto unanime e decisa azione da parte dei Rettori per convincere i propri docenti ad accettare tale sistema di valutazione e a conferire i loro prodotti.Leggi l’articolo.. […]
[…] Nella vicenda della VQR vi è un aspetto che non è stato ancora dovutamente sottolineato: ad un sentimento quasi unanime nella comunità accademica di rigetto di un sistema di valutazione che fa acqua da tutte le parti ha fatto riscontro un’ altrettanto unanime e decisa azione da parte dei Rettori per convincere i propri docenti ad accettare tale sistema di valutazione e a conferire i loro prodotti.Leggi l’articolo.. […]
Tocca dire una cosa triste.
Finché molti, dentro l’università, continueranno come stanno facendo a tirare acqua unicamente al proprio mulino (si legga “settore” al massimo), senza curarsi neanche del vicino di scrivania, i rettori saranno solo un aspetto del problema. O anche: una derivazione del problema. Si tratta infatti di quelli che l’hanno saputo fare meglio (tirare acqua al proprio mulino).
Sicuramente con effetti più gravi, perché con il massimo del potere.
Mah. A proposito di blocco VQR, il nostro giovane rettore, ci ha detto che siamo una minoranza. E pertanto lui deve curarsi della maggioranza. Il ragionamento fa molte grinze. Presuppone che esiste una maggioranza che non avendo boicottato la VQR è d’accordo con la stessa. Sa tanto di maggioranza silenziosa . Chiedero al rettoee se secondo lui Renzi eletto dal 20% rappresenta la maggioranza degli italiani.
Non mi meraviglio affatto di questi rettori e noi tutti che li abbiamo eletti siamo i primi responsabili. I rettori in Italia rappresentano all’interno di un ateneo i meno peggio. Quanti accordi sottobanco, complotti e alleanze si consumano nei corridoi degli atenei quando si vota? Alla fine vince sempre quello che deve mettere d’accordo tutti con una gara al ribasso e che alla fine puntualmente disattende gli stessi che lo avevano sostenuto. Impariamo a votare persone capaci degne di rappresentarci piuttosto che figure istituzionali accomodanti.
La campagna elettorale è una cosa, quando si arriva li un altra. Per me il rettore deve cessare di esistere, e deve essere nominato un presidente esterno, reclutato con annunci, E possibilmente che arrivi dall’Australia. L’università pubblica americana che conosco meglio, ottimamente gestita -indiana- attraverso il board of trustee ricerca il rettore tramite annunci e quello che hanno ora viene appunto dall’Australia. È u na figura medioevale che non ha più senso di esistere.
Da noi stanno organizzando la Primavera e chiedono disponibilità. Per conto mio ho risposto al Dip., con una sintassi non proprio perfetta, che “se non ci fosse stato il movimento blocca-vqr (con tutta la materia implicata che va BEN oltre la vqr e che credo si sappia di cosa si sta parlando), la Crui non avrebbe indetto nessuna Primavera. Ritengo sia molto ingeneroso e anche controproducente non riconoscere apertamente cosa c’è alla base di tale iniziativa della Crui.” E poi qualche aggiunta riguardo ad altri argomenti che si sono evidenziati ultimamente.
In dicembre il SA dell’Università di Milano che avevo contribuito a eleggere, si era spaccato sulla VQR. Tra senatori favorevoli al boicottaggio e senatori contrari? Macché, la divisione era avvenuta tra i sostenitori di una linea dura contro gli inadempienti al caricamento dei prodotti da valutazione ANVUR e un’ala un po’ più tollerante, ma comunque parecchio lontana da una condivisione della protesta.
Arriviamo al rettore. Non solo l’avevo votato, ma entusiasta del suo programma credendo che la sua elezione avrebbe costituito una netta soluzione di continuità rispetto all’amministrazione precedente, ero stato tra i primissimi firmatari proponenti la sua candidatura. Il 25 giugno in occasione della protesta nazionale davanti ai rettorati promossa da Ferraro, aveva manifestato interessamento e persino condivisione circa la legittimità delle nostre istanze. Ma in seguito, avvicinandosi la data di chiusura delle procedure, quando per conto dei colleghi intenzionati al boicottaggio avevo richiesto un incontro con lui (o con un suo delegato), neppure s’era degnato di rispondere, sia pure negativamente. Il 21 dicembre però, in una lettera indirizzata a tutti i docenti dell’ateneo aveva dichiarato “piena disponibilità al dialogo con i docenti intenzionati ad aderire alla citata protesta”. E per fortuna era disponibile al dialogo, visto che dal 26 giugno 2015 a oggi 10 marzo 2016 tale “dialogo” ha corrisposto a zero. Invece, negli atti, totale chiusura nei confronti della protesta, accompagnata da una velata minaccia contro gli inadempienti, dal momento che – sempre secondo il suo regalo natalizio del 21 dicembre – essi, “se e nella misura in cui [la protesta] verrà effettivamente realizzata, dovranno essere oggetto di una ulteriore seria riflessione”. Ombra minacciosa reiterata a una seduta del Senato del 16 febbraio, se dalla relazione rettorale sulla VQR è emerso che contro il 4% dei docenti che non hanno caricato i prodotti, si è ventilata “la possibilità di provvedimenti futuri da valutare in una fase successiva”.
Tali i rappresentanti delle istituzioni che, eletti da noi, dovrebbero rappresentarci in ateneo nonché fare sentire le nostre istanze a MIUR e governo.
Saliamo di un gradino gerarchico.
CRUI. Sede romana prestigiosa se non addirittura lussuosa (Palazzo Rondanini, pzza Rondanini 48: http://agendadelrettore.unipv.it/?p=1610), mantenuta immagino con i contributi degli atenei aderenti, pranzi sociali dello stesso livello, io chiaramente non ci ho mai messo piede nemmeno come valletta-portaborse, non ne sarei degna, ma qualcuno me ne ha raccontato.
Sulla storia del palazzo v. http://www.fondazionecrui.it/Documents/Palazzo%20Rondanini/palazzo_rondanini.pdf.
Sala delle riunioni: https://plus.google.com/112668954357656935929/posts/NKnqWgF7PSU
Ora leggo che dal 2003 ha una sede a Bruxelles (?!): http://www2.crui.it/CRUI/inaugurazione_sedecrui_bruxelles.htm: “Gli uffici della CRUI a Bruxelles non hanno il solo valore simbolico di avvicinare l’Università Italiana ai partner e ai legislatori europei essi rappresentano una grande occasione per l’Italia di costruire opportunità all’estero per studenti e ricercatori e, allo stesso tempo, attivare uno scambio con gli altri Paesi basato su reciprocità e competizione collaborativa”.
La CRUI ha sviluppato anche una Fondazione CRUI (“dall’Università al Paese”), colla stessa sede.
Non avrei niente contro questo assetto, se le condizioni in cui lavoro (e mi considero anche una privilegiata e una fortunata) fossero proporzionali. Deve essere vero che il potere logora chi non ce l’ha, anche se io avrei qualche riserva sulla sua assolutizzazione, ma invece deve essere vero proprio il contrario, anche nei regimi democratici: il potere dà alla testa di chi ce l’ha (sia il potere che la testa). Sarà fisiologico, inevitabile, non lo so. Alla CRUI pochi osano essere una minoranza. Infatti si sente ogni tanto dire: io ci ho provato, ma poi mi sono trovato in minoranza. Se, mettiamo caso, ognuno di loro l’avesse detta una volta durante il mandato, si potrebbe scoprire che quanto meno ci sono una dinamica e una dialettica movimentate, che poi per ragioni diplomatiche e di opportunità si calmano in documenti espressione della maggioranza o della totalità. La Primavera è la sintesi del tutto. Quando sento di questi equilibrismi politici mi viene sempre in mente un aneddoto pseudostorico ungherese, sul re saggio e la giovane contadina scaltra: come salutare e non salutare, come andare per la strada senza camminarci, come portare un regalo senza portarlo. Ma succede nel XV secolo, re saggio e contadina intelligente si sposano e vivono felici e contenti.
Nel XXI secolo CRUI e rettori vivono felici e contenti.
PS. Per quei pochi che conoscano l’ungherese: http://mek.oszk.hu/06500/06599/06599.htm
Certo. La Crui deve avere un bel bilancio, come associazione dei rettori, ovviamente i soldini verranno dai bilanci dell’ università. Questo è quello che è accaduto negli ultimi anni, si è tolto al povero per dare al ricco. Si sono create strutture, L’ Anvur è l’ultima, per piazzare gente a lauti sptipendi. Almeno il garbo e la decenza richiederebbero un po’ di understatement, i nostri rettori dichiarano 15.000 euro all’anno di indennità mentre qualcuno di qualche ateneo non virtuoso ne dichiara 100.000. C’è qualcosa che non va.
Si sa che Roma si vive bene..la qualità della vita è alta….per qualcuno.
Mi permette un piccolo sfogo, scusandomi in anticipo se non faccio ragionamenti che portino un contributo concreto e importante alla discussione. In questo sito, più che altro, mi informo e imparo.
Più ci penso, però, più la questione del tradimento dei rettori non mi convince sino in fondo. Certo, sarebbe stato bello percepire i rettori come organici rispetto alle loro università e non al ministero: però, sin dall’inizio di questa vicenda, non mi aspettavo dai rettori nulla di diverso rispetto a ciò che poi hanno fatto, nonostante qualche coraggiosa presa di posizione di qualche isolato Senato Accademico.
Il “tradimento”, secondo me, è quello di molta classe docente universitaria: da tempo, infatti, mancano, condivise, una visione prospettica e un’attenzione ai nostri diritti e ai diritti dei più deboli (i giovani, colleghi e studenti), al ruolo fondamentale che un’istituzione come l’Università dovrebbe svolgere per la crescita di un Paese. Da qui nascono i problemi: e, forse, certi modi del reclutamento da noi praticati non sono estranei rispetto a simili atteggiamenti “individualistici” (ma mi rendo conto che altri aggettivi sarebbero più confacenti).
In questi ultimi giorni ho assistito a spettacoli indegni, che riempiono di tristezza. Non tutti quelli che protestano o protestavano hanno la stessa tempra, la stessa sicurezza, la stessa serenità: è normale. Ho visto che spesso, quando si è provato a stringere il cerchio, quelli più insicuri e vulnerabili sono stati avvicinati uno per uno da “amici” (del giaguaro?) che hanno gettato frasi casuali, del tipo: “ma ci hai pensato bene?”; “stai attento, sei nell’occhio del ciclone…”; “ci saranno sicuramente ritorsioni, te lo dico solo per avvisarti, sono già pronte le liste di proscrizione…”.
La cosa fastidiosa, per me, non è naturalmente costituita dai colleghi che la pensavano e la pensano in maniera diversa dalla mia (pur dichiarandosi d’accordo sugli obiettivi della rivendicazione, ma lasciando a un comodo e indefinito “ci vorrebbe ben altro” l’individuazione dei modi), ma da quelli che hanno esercitato subdole pressioni psicologiche su altri colleghi che protestavano con grande tormento e con grandi ansie. Alcuni amici e amiche mi hanno annunciato in lacrime che mollavano la protesta perché non ce la facevano a resistere. Hanno tutto il mio rispetto.
Proporrò pubbliche letture di “Marcia su Roma e dintorni”.
[…] Il documento, nato come corrispondenza di un funzionario con un’associazione privata di funzionari governativi de facto, è un atto di uso della ragione soltanto privato. Chi desidera discuterlo pubblicamente dovrà […]