Il 17 luglio 2013 Alida Clemente, ricercatrice presso UniCusano, ha pubblicato su Roars un articolo intitolato “Cervelli in standby”. La mutazione genetica del ricercatore nell’era delle telematiche. A seguito di questo articolo, UniCusano ha sottoposto l’autrice a procedimento disciplinare per aver leso l’immagine dell’ateneo. Il procedimento, a proposito del quale Roars ha pubblicato questo e questo intervento, si è concluso con la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per 30 giorni. Alida Clemente ha fatto ricorso al TAR Lazio e ha vinto la sua battaglia legale. Il provvedimento disciplinare è stato annullato.

Segue la sentenza, depositata il 24 giugno 2014.

N. 06682/2014 REG.PROV.COLL.

N. 12286/2013 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12286 del 2013, proposto da:
Clemente Alida, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Sandulli e Stefano Battini, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Fulcieri Paulucci de’ Calboli n. 9, come da procura a margine del ricorso;

contro

Unicusano Università degli Studi Niccolò Cusano Telematica Roma in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Federico Tedeschini e Tommaso Pallavicini, con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi in Roma, largo Messico, 7, come da procura a margine della memoria di costituzione in giudizio;

per l’annullamento

della delibera del Consiglio d’Amministrazione datata 5/11/2013 con la quale e’ stata inflitta alla ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni trenta dal 16.12.13 al 14.01.14 con conseguente riduzione della tredicesima mensilità e del periodo feriale di congedo ordinario per l’anno 2014.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Unicusano Università degli Studi Niccolò Cusano Telematica Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2014 il consigliere Achille Sinatra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

I. – Con ricorso notificato l’11 dicembre 2013 e depositato il giorno successivo, la dottoressa Alida Clemente, ricercatore confermato dipendente dell’Università telematica “Niccolo Cusano” di Roma, ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare, il provvedimento disciplinare a lei inflitto dal Consiglio di Amministrazione di quell’Ateneo, consistente nella sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni trenta.

La sanzione in questione è stata irrogata a causa di talune affermazioni contenute nell’articolo a firma della ricorrente (oltre che di un collega di altro Ateneo) intitolato “Cervelli in stand by. La mutazione genetica del ricercatore nell’era delle telematiche” pubblicato il 17 luglio 2013 sulla rivista “ROARS”, periodico on line di larga diffusione nel mondo accademico.

II. – La dottoressa Clemente espone che il contenuto del’articolo in questione verteva sulla condizione del ricercatore nelle università telematiche, le quali, a differenza di quelle statali, sono di proprietà privata, e dunque sono destinate a realizzare un profitto attraverso la didattica on line; pertanto l’imprenditore è portato a richiedere ai docenti (spesso ricercatori, più raramente –per ragioni legate ai costi delle retribuzioni- professori), un impegno notevole nella didattica, mentre non è in alcun modo favorita l’attività di ricerca. Questo comporterebbe, secondo l’articolo, una “mutazione genetica” del ricercatore, che così diviene principalmente un didatta, pur essendo valutato in sede nazionale per la sua attività di ricerca. Così –secondo quanto scritto nella pubblicazione oggetto di sanzione- l’università telematica, da “agile coniglietto” scaturito dalla riforma normativa del 2005, “sembra piuttosto diventato un pachiderma”; il ricercatore, che non avrebbe obblighi di didattica, sarebbe diventato “un operaio alla catena di montaggio che sforna esami e laureee” per ragioni di produttività; i Rettori ed i Presidi rivestirebbero “cariche poco più che simboliche e comunque sempre vincolate alle necessità del “datore di lavoro” che è “l’imprenditore” che ha investito nell’ateneo”.

III. – La ricorrente, quanto al procedimento disciplinare seguito nella circostanza, evidenzia che il Rettore dell’Università telematica “Niccolo Cusano” ha ricevuto la notizia della pubblicazione dell’articolo il 19 luglio 2013 da una nota del Consiglio di Amministrazione, ed ha avviato il procedimento stesso il 10 settembre 2013, mentre l’incolpata aveva ricevuto la notizia dell’avvio già il 5 agosto precedente; che il Collegio di disciplina ha avviato i propri lavori con la seduta del 24 settembre 2013, mentre nella seduta del 30 settembre 2013 ha individuato alcuni passi dello scritto dell’incolpata ritenuti particolarmente lesivi dell’immagine dell’Ateneo, sulla base di una nota di chiarimenti del Rettore, che costituirebbe una nuova contestazione degli addebiti; che, dopo avere udito la dipendente, il Consiglio di disciplina ha concluso i propri lavori nella riunione del 22 ottobre 2013.

IV. – Nel corso di tale riunione i componenti di quell’organo hanno formulato un parere diretto al Consiglio di Amministrazione; in tale parere la maggioranza dei membri si è espressa nel senso per cui, qualora non si fosse voluto considerare lo stato di disagio in cui versava l’incolpata, convinta di non avere leso l’immagine dell’Ateneo e provata dalla stessa indizione del procedimento disciplinare, si sarebbe potuta irrogare “eventualmente” la sanzione della censura; mentre un membro del Collegio si è espresso in favore di una sanzione più grave, sebbene non espressamente indicata.

V. – Il Consiglio di Amministrazione, come detto, il 31 ottobre 2013 ha irrogato all’incolpata la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni trenta.

Avverso tale determinazione la dottoressa Clemente propone i seguenti motivi di censura;

1) Violazione dell’art. 10 L. 240\2010, degli articoli 87 e 89 RD n. 1592 del 1933, dell’art. 12 L. 311 del 1958, dell’art. 97 Cost., dell’art. 3 L. 241\1990, eccesso di potere per irragionevolezza e difetto di motivazione: il provvedimento disciplinare sarebbe innanzitutto viziato a causa di talune violazioni dell’art. 10 della L. 240\2010, che regola il procedimento disciplinare relativo ai docenti universitari, sotto i distinti profili legati alla presunta tardività dell’avvio ad opera del Rettore (oltre trenta giorni dalla conoscenza dei fatti); della mancata indicazione dei fatti contestati e della loro non indicata qualificazione giuridica; della mancanza di terzietà da parte del Collegio di disciplina, organo giudicante (il quale avrebbe permesso indebite integrazioni dell’atto di contestazione degli addebiti da parte del Rettore e avrebbe, nei fatti, assunto funzioni requirenti); della violazione del divieto, da parte del Consiglio di Amministrazione, di applicare una sanzione più grave di quella indicata dal Consiglio di disciplina nel suo parere, definito vincolante.

2) Violazione degli articoli 87 e 89 del RD n. 1592 del 1933 e degli articoli 9, 21 e 33 Cost., degli articoli 11 e 13 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 10 della Carta per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art. 1 L. 240\2010 e dell’art. 7 DPR n. 382\1980, eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifesta: la sanzione inflitta non sarebbe riconducibile ad alcuno dei comportamenti tassativamente contemplati nell’art. 89 RD n. 1592\1933; in ogni caso, la condotta dell’incolpata non violerebbe alcuno dei doveri ivi contemplati e costituirebbe lecita espressione della libertà di manifestazione del pensiero dell’autrice, garantita dalla Costituzione e dalla normativa sovranazionale in materia, in quanto connotata da continenza nel linguaggio, da pertinenza al pubblico interesse sotteso alla manifestazione e da veridicità dei fatti riferiti, considerando altresì che in nessuna parte del suo scritto la dottoressa Clemente fa riferimento diretto all’Università telematica “Niccolò Cusano” di Roma.

VI. – Si è costituito in giudizio l’Ateneo intimato, che, con due memorie (una delle quali depositata in vista dell’udienza di merito), ha eccepito l’infondatezza del ricorso, sostenendo che l’art. 10 della L. 240\2010 non si applicherebbe alle Università non statali, specie in relazione alla non vincolatività del parere del Collegio di disciplina, e che, inoltre, la sanzione irrogata sarebbe del tutto proporzionata alla gravità dei fatti contestati.

Con decreto presidenziale n. 4913\2013 e con ordinanza n. 1431\203 è stata accolta l’istanza cautelare proposta dalla ricorrente.

Quest’ultima ha prodotto una memoria conclusionale.

Alla pubblica udienza del 7 maggio 2014 il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

1. – Il ricorso è fondato, e va accolto.

1.1 – Il Collegio ritiene, innanzitutto, che l’eccezione formulata dall’Università telematica “Niccolo Cusano” di Roma, secondo la quale detta norma non si applicherebbe alle università non statali, sia infondata, e vada respinta.

Al riguardo è sufficiente osservare che l’art. 26 della L. 289\2002 ha consentito l’istituzione delle c.d. università telematiche, prevedendo che con apposito decreto del MIUR “sono determinati i criteri e le procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici”, ma nulla ha previsto in ordine alla sottrazione delle medesime dall’ordinaria disciplina già dettata per le università statali o non statali di tipo tradizionale, limitandosi a prevedere che tali istituzioni, per essere accreditate (e dunque per rilasciare titoli di studio con valore legale) debbano disporre di adeguate risorse organizzative e gestionali, puntualmente elencate.

Neppure il decreto ministeriale attuativo della detta previsione di legge (DM del 17 aprile 2003) opera riferimenti all’eventuale esclusione delle telematiche dalla normativa vigente per tutte le altre università.

Nè, in contrario, può essere invocato l’art. 12 della L. 240\2010.

Tale norma prevede, al primo comma, che “Al fine di incentivare la correlazione tra la distribuzione delle risorse statali e il conseguimento di risultati di particolare rilievo nel campo della didattica e della ricerca, una quota non superiore al 20 per cento dell’ammontare complessivo dei contributi di cui alla legge 29 luglio 1991, n. 243, relativi alle università non statali legalmente riconosciute, con progressivi incrementi negli anni successivi, è ripartita sulla base di criteri, determinati con decreto del Ministro, sentita l’ANVUR, tenuto conto degli indicatori definiti ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1.

Al terzo comma, invece, si legge che tale ripartizione non riguarda le università telematiche, ad eccezione di quelle che sono già inserite tra le università non statali legalmente riconosciute, subordinatamente al mantenimento dei requisiti previsti dai provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 5, comma 3, lettere a) e b). “

La norma in parola, quindi, si limita a dettare una disciplina peculiare per le università telematiche al fine di differenziarne la disciplina non già rispetto alle università statali, bensì da tutte le altre università private legalmente riconosciute; e ciò limitatamente alla di ripartizione dei contributi di cui all’art. 2 della L. 243\1991 da parte dello Stato.

La previsione di una deroga, in tale limitato ambito, per le università telematiche non legalmente riconosciute, non può fare ritenere che anche i profili ordinamentali oggi in discussione possano ritenersi differenti; essa, al contrario, induce a ritenere che, d’ordinario, la disciplina della L. 240\2010 sia invece valida per ogni Ateneo, tradizionale o telematico.

In definitiva, non pare al Collegio sussistere ragione alcuna perché alle università telematiche non debbano applicarsi le norme della L. 240\2010, il cui articolo 1 prevede che tutte le istituzioni universitarie sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti e sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; operano, combinando in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica; ed operano, altresì, ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità.

1.2 – A tali principi si ispira, in effetti, anche lo Statuto dell’Università resistente, che, all’art. 1 comma IV afferma di appartenere alla categoria delle istituzioni universitarie di cui all’art. 1 comma II del T.U. di cui al RD 31 agosto 1933 n. 1592 (e dunque al novero di “università e negli istituti superiori liberi”, secondo la dizione dell’epoca).

Non si vede, pertanto, a quale titolo la sola potestà disciplinare dell’Università telematica “Niccolò Cusano” verso i docenti possa sfuggire all’ambito applicativo di detto Testo Unico.

Non vale a sostenere il contrario neppure l’art. 1 comma V dello Statuto, in cui l’Ateneo afferma di godere di autonomia didattica, organizzativa, finanziaria e disciplinare in conformità alle leggi e ai regolamenti generali e speciali sull’ordinamento universitario.

In primo luogo, autonomia e responsabilità, come detto, connotano, ai sensi dell’art. 1 L. 240\2010, lo status di tutti gli Atenei, pubblici e privati.

E quanto, in particolare, alla proclamata autonomia in campo disciplinare, si deve innanzitutto osservare che non è stato dedotto, nè risulta dagli atti del giudizio, che l’Ateneo intimato abbia adottato una propria disciplina regolamentare in tema di procedimento e di sanzioni disciplinari.

In ogni caso, ove tale disciplina regolamentare sussistesse, non v’è dubbio che essa –già per espressa previsione statutaria- non potrebbe che uniformarsi ai principi valevoli per tutte le altre Università (private o statali).

1.3 Tanto premesso, ritiene il Collegio che siano fondate le censure con le quali la dottoressa Clemente, nel secondo motivo di ricorso, lamenta la violazione del principio di tipicità dei comportamenti disciplinarmente rilevanti per i docenti universitari.

L’art. 10 comma II della L. 240\2010 richiama espressamente le sanzioni previste dall’articolo 87 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, in quanto afferma che l’avvio del procedimento disciplinare spetta al Rettore che, per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione piu’ grave della censura tra quelle previste dalla citata norma del 1933, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, trasmette gli atti al collegio di disciplina, formulando motivata proposta.

I fatti per cui è possibile operare detta contestazione, secondo il citato art. 89, sono i seguenti:

a ) grave insubordinazione;

b ) abituale mancanza ai doveri di ufficio;

c ) abituale irregolarità di condotta;

d ) atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore.

Alla tipicità dei comportamenti da sanzionare corrisponde la nominatività delle sanzioni applicabili, che per l’art. 87 del regio decreto citato sono le seguenti, a seconda della gravità del comportamento:

1° la censura;

2° la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino ad un anno;

3° la revocazione;

4° la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni;

5° la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni.

Come già affermato da questa Sezione (sentenza n. 4847 del 20 giugno 2006), la tipicità delle fattispecie sanzionatorie richiamate dalla norma richiede la specifica ricomprensione del provvedimento disciplinare nell’ambito di una delle tipologie indicate, con la conseguente necessità che la sanzione disciplinare risulti emanata in relazione ad un fatto tipico espressamente individuato dal legislatore e ricompreso nell’ambito del disposto normativo.

Nel caso in esame risulta evidente l’impossibilità di ascrivere a grave insubordinazione, ad abituale mancanza ai doveri di ufficio e ad abituale irregolarità di condotta la pubblicazione di un articolo ritenuto lesivo del prestigio dell’Ateneo di appartenenza: le ultime due ipotesi, infatti, attengono a comportamenti reiterati e che non si esauriscono con un unico atto, mentre la prima, e più grave in assoluto delle ipotesi normativamente contemplate (la grave insubordinazione), male si accorda con l’entità della sanzione irrogata, che è solo la seconda in ordine crescente di afflittività tra quelle previste dall’art. 87, che prevede, quale punizione più grave, la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni.

Né il contenuto dell’articolo risulta in qualche modo lesivo dell’onore e della dignità della ricercatrice -ipotesi sub d) dell’art. 89-, riguardando, invece, in via generale e senza menzionare specificamente alcun Ateneo, il mondo delle università telematiche e la condizione di tutti i docenti che vi operano.

Inoltre, il contributo in questione è stato pubblicato su di una rivista il cui prestigio risulta incontestato, e di cui è nota la larga diffusione nel mondo accademico.

1.4. – In conclusione, la sanzione irrogata alla ricorrente non può essere ricondotta ad alcuno dei comportamenti tassativamente previsti, a fini disciplinari, dall’art. 89 citato, sicchè il provvedimento sanzionatorio impugnato è illegittimo, e va annullato con assorbimento di ogni altra censura -di natura meno satisfattiva per la ricorrente-.

2. – La peculiarità della fattispecie induce alla compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) accoglie il ricorso in epigrafe, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Vincenzo Blanda, Consigliere

Achille Sinatra, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

L’ESTENSOREIL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/06/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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8 Commenti

    • A volte la sensazione di “avere del potere” porta a fare cose molto sbagliate, le cui conseguenze possono essere terribili sulle persone coinvolte (tutte).

      Mi ricordo ancora quando il presidente ed il consiglio di amministrazione di un consorzio mi mandarono una “letterina” di simpatiche considerazioni sulla mia permanenza in comando presso tale consorzio.

    • Avevo notato anche io ciò. Mi sembra riprorevole, limitatamente a questo aspetto, la decisione del collegio giudicante del TAR. Se il ricorrente ha, come è stato riconosciuto avere, ragione, ovvero se egli ha subito una ingiustizia che va sanata, per quale ragione le spese legali del ricorso devono essere compensate? Io, da non esperto in fatto di procedimenti legali, non lo capisco.

  1. Mi aggiungo anche io alle felicitazioni per l’annullamento del riprovevole provvedimento disciplinare contro Alida Clemente.
    Rimane però un problema non di poco conto sottolineato dagli ultimi 2 interventi (liannelli e hoffman).
    Perché chi ha ragione deve comunque pagare le spese legali? Perché chi viene chiamato in causa senza fondamento, si difende, e poi gli viene riconosciuta ragione, deve comunque sobbarcarsi spese legali?
    Ora, non voglio impantanarmi in digressioni tecnico-giuridiche, ma piuttosto sottolineare il “dato” politico al quale andrebbe data una risposta.
    In realtà, l’auspicio che fa nel primo commento Fausto Proietti, vale a dire la sentenza di annullamento del TAR come precedente atto a dissuadere da provvedimenti assurdi di questo tipo, lo vedo improbabile a realizzarsi se il disincentivo più forte rimane su chi vuole esprimersi liberamente, anche a costo di difendere poi le proprie ragioni in sede legale.
    Se non diamo una risposta “auto-organizzata” a questa palese iniquità, il coraggio di fare pubblicamente lucide analisi critiche sull’università del nostro paese, come è stata quella di Arienzo-Clemente, rimarrà un “fatto raro” , affidato ad un estremo senso civico di abnegazione di chi di volta in volta “se la sente”.
    Propongo pertanto, senza nessun timore di apparire un po’ “vetero” (anzi, tutt’altro…) di lanciare una sottoscrizione a sostegno delle spese legali che dovranno essere sostenute.

  2. Unicusano colpisce ancora. In un concorso per ricercatore in Scienza politica (SPS/04), i membri della commissione sono due storici, un filosofo e, presidente, un ingegnere! (http://www.unisu.tv/concorsi/ricercatore_pol.htm)
    Cioè, per valutare “lo studio dell’evoluzione dei partiti politici italiani, del ruolo del capitale sociale nelle organizzazioni politiche e degli ambiti mediali della comunicazione politica” si prende uno che studia i motori a combustione interna.
    Il manifesto ne parla qui: http://ilmanifesto.info/il-ricercatore-in-scienze-politiche-lo-sceglie-lingegnere/
    E qui l’articolo del Corriere: http://www.corriere.it/scuola/universita/15_aprile_02/unicusano-ingegnere-presiede-commissione-scienze-politiche-d30540b4-d945-11e4-938a-fa7ea509cbb1.shtml
    Da segnalare l’umorismo del rettore Fabio Fontana: “Non capiamo questa polemica, a meno che non ci sia qualcuno che sta tentando di pilotare questo concorso”

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