Gli argomenti sostanziali, ovvero facenti riferimento a particolari dottrine o concezioni filosofico, religiose sono esclusi dal dibattito in nome della neutralizzazione della procedura democratica. Ciò lascia il campo libero all’unico aspetto sostanziale ammesso ultimamente nel dibattito politico: la crescita economica. Lo scopo di questo articolo è sottolineare due punti. In primo luogo, dimostrare come la neutralizzazione della procedura politica non porti conseguentemente ad una neutralizzazione dei contenuti del dibattito. In secondo luogo, ribadire l’utilità di affiancare tali contenuti alle logiche economiche, in particolare nell’ambito delle riforme universitarie.
Negli ultimi anni, a fronte di una auspicabile correttezza formale del meccanismo democratico, i discorsi politici stanno perdendo i loro contenuti specifici trasformandosi in una guerra di slogan. Massimo Borghesi, professore di filosofia morale all’Università di Perugia, riassume così tale processo:
Non è la libertà di espressione che viene negata; sono i contenuti che discendono dall’umanità spirituale dell’uomo che risultano inutili, obsoleti [1].
Gli argomenti sostanziali, ovvero facenti riferimento a particolari dottrine o concezioni filosofico, religiose sono esclusi dal dibattito in nome della neutralizzazione della procedura democratica. Ciò, inevitabilmente, lascia il campo libero all’unico aspetto sostanziale ammesso ultimamente nel dibattito politico: la crescita economica. Noi lettori di Roars ne abbiamo un chiaro esempio: il dibattito sulle riforme universitarie, permeato sempre più dal modello della crescita economica e poco attento all’università in quanto tale. Lo scopo di questo articolo è sottolineare due punti. In primo luogo, attraverso un breve riferimento ad un autore paradigmatico della filosofia politica contemporanea del nostro secolo, Jürgen Habermas, voglio dimostrare come la neutralizzazione della procedura politica non porti conseguentemente ad una neutralizzazione dei contenuti del dibattito. In secondo luogo voglio ribadire l’utilità di affiancare tali contenuti alle logiche economiche, in particolare nell’ambito delle riforme universitarie
L’autore a cui mi riferisco è Jürgen Habermas, illustre filosofo tedesco, che, richiamandosi alla lezione kantiana, sostiene una concezione proceduralista della democrazia basata sulla “fondazione autonoma dei principi costituzionali, la cui pretesa è di essere razionalmente accettabile da tutti i cittadini”[2]. Eppure, in alcune opere ed interventi recenti, Habermas riconosce che
il legame sociale che nasce dal riconoscimento reciproco non si esaurisce nelle nozioni di contratto, scelta razionale e massimizzazione del profitto (corsivo mio)[3].
Da qui, l’autore perviene a questa conclusione, centrale per le nostre considerazioni:
Senza il vincolo unificante di una solidarietà che non si può imporre per legge, i cittadini non sentono di partecipare a pari diritto alla comune prassi di formazione dell’opinione e della volontà, nella quale essi sono debitori l’un verso l’altro di ragioni delle loro scelte politiche[4].
Sono le ragioni, nella politica e nel dibattito sull’università in particolare, che vengono troppo spesso ridotte alla onnipervasiva logica economica. Ciò che intendo dire, tornando all’argomento specifico, è che, in nome di una giusta riorganizzazione del sistema della ricerca universitaria, le riforme hanno mancato di considerare l’aspetto centrale della questione: che cos’è l’università? Riformulo la domanda, seguendo le considerazioni di un altro grande filosofo dell’età contemporanea, Michael Sandel, che a sua volta riprende un concetto di matrice aristotelica:
Qual è lo scopo, il telos, di una università?[5]
Qui su Roars, riassumendo il contenuto di vari articoli e commenti letti in questi mesi, in risposta alla domanda ‘aristotelica’ di Sandel, sono state individuate due macro-aree: la ricerca e la didattica (intesa come qualità della didattica). È emerso, altresì, come alcune norme approvate negli ultimi anni contengano delle problematiche per entrambi gli ambiti. Si è cercato, cioè, di legare alle logiche del mercato qualcosa che non è interamente assorbito da esso. A questo punto, chi sta leggendo, dovrebbe aver capito che la mia, come penso di tutti i lettori e scrittori di Roars, non è una posizione di rifiuto totale di tali logiche: la ricerca deve essere di qualità e deve andare avanti. Non si contesta il volere rendere più efficienti e moderne le università. Ma è chiaro che questo processo deve, o avrebbe dovuto, accompagnarsi ad un discorso parallelo che riconosca nell’università la fonte di produzione del capitale umano. Già, capitale umano. Termine spesso strumentalizzato per accusare chi ne fa uso di idealismo. Ma, e qui mi ricollego ad Habermas, per paura di un abuso totalitario, ci si è dimenticati che gli argomenti sostanziali, (in parole povere chiedersi il perché, la funzione di una cosa) sono centrali nel discorso politico, in particolare quando parliamo di istituzioni così importanti come l’università e la ricerca.
Efficace a questo proposito è la tesi che il giurista tedesco Böckenforde riprende da Julien Freund,
per il quale il diritto non è per sua essenza una sostanza a parte, bensì una mediazione fra politica ed etica[6].
Ma è proprio l’etica (nel nostro caso qui per etica intendiamo un discorso sostanziale, sempre in riferimento al telos delle cose) che, se vuole presentarsi sotto forma di diritto e intervenire efficacemente nello spazio pubblico, deve presentare ragionamenti concreti. Torniamo ancora una volta all’ambito universitario: le riforme (il diritto), andrebbero discusse attraverso contenuti legati alle logiche economiche e dello sviluppo da un lato e all’università e la ricerca in quanto tali dall’altro.
In sintesi, ciò che dobbiamo impedire è che la formalizzazione del processo politico impoverisca il dibattito, escludendo argomenti e considerazioni derivanti da concezioni della cultura pubblica di una società, e lasciando l’agente economico come unico interlocutore rilevante. Ricordo che l’università, in particolare nell’enciclopedia e nel vocabolario Treccani, viene definita un istituto ‘scientifico’ quanto ‘didattico’. Faremmo bene a non dimenticarlo.
[1] M. Borghesi, Critica della teologia politica, Genova, Marietti, 2013, p. 273.
[2] J. Habermas – J. Ratzinger, Ragione e fede in dialogo, a cura di. G. Bosetti, Venezia, Marsilio, 2013, p. 46.
[3] J. Habermas, Fede e sapere, in Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Torino, Einaudi, 2002, p. 107.
[4] J. Habermas, Fede e sapere, cit. p. 107.
[5] M. Sandel, Giustizia. Il nostro bene comune, Milano, Feltrinelli, 2012, p. 214.
[6] E. W. Böckenförde, Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all’Europa unita, Bari, Laterza, cit. p. 28. in M. Borghesi, Critica della teologia politica, cit. p 290.
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Articolo del tutto condivisibile. La neutralizzazione della democrazia assume oggi l’aspetto della demagogia. I poteri politici operano scelte che escludono i diretti interlocutori, vengono studiate “in proprio” e poi fatte digerire al paese come necessarie e persino salutari. Resta tutto da dimostrare che indirizzi aziendal-economicistici siano lo strumento più adatto per operare nel campo dell’istruzione e della ricerca o piuttosto, al contrario, non abbiano provocato (tra altre cause) una decadenza complessiva dell’Università.
P.S.: propongo Sylos Labini come ministro dell’Università e Ricerca e Giorgio Israel come ministro della Scuola.
Il bellissimo murale dell’immagine, se non sbaglio, è a Saronno…