Quest’ultimo provvedimento legislativo, denominato “Misure urgenti per l’università”, oltre a rendere permanenti (fino all’entrata in vigore della riforma universitaria) gli incarichi universitari, estese ai professori incaricati la partecipazione ai consigli di facoltà e promosse “ope legis” tutti i professori aggregati a professore straordinario. Inoltre lo stesso decreto istituì 7.500 nuove cattedre (da distribuire in tre anni). In realtà furono distribuite subito solo 2.500 nuove cattedre, che furono, in parte, destinate a trasferimenti, e per la maggior parte destinate a concorsi disciplinati da una nuova normativa. Si prevedevano infatti concorsi per “gruppi di discipline” anziché per singole materie. Le commissioni non furono più elettive ma sorteggiate tra i titolari delle discipline appartenenti al gruppo o ad esse “affini”. Ogni commissione, composta da cinque membri, poteva attribuire al più dieci cattedre, per cui per grossi gruppi di discipline erano previste più commissioni. Ad esempio per il concorso per il gruppo di discipline di “Analisi Matematica” furono sorteggiate cinque commissioni diverse che svolsero i loro lavori una dopo l’altra in modo da escludere i candidati dichiarati vincitori dalle commissioni che le avevano precedute. Particolarmente impegnativo (per il Consiglio Superiore) fu il problema di stabilire l’ambito del sorteggio per nuove discipline con un numero di titolari molto ridotto rispetto al numero delle cattedre a concorso. Questo fu, ad esempio, il caso delle discipline informatiche già molto richieste dalle facoltà ma con pochissimi professori che ne erano titolari.
In analogia a quanto era già avvenuto per i professori aggregati il provvedimento del 1973 apriva i concorsi a cattedra ai cittadini stranieri, a condizione che nel paese di cui erano cittadini vigessero “norme o accordi di reciprocità che riconoscano uguali diritti ai cittadini italiani”.
Il decreto interveniva anche sulle borse di studio ministeriali, che, dal 1962 avevano preso il nome di “borse di addestramento didattico e scientifico” ed erano biennali e rinnovabili per un ulteriore biennio. Queste borse furono inspiegabilmente soppresse ed al loro posto furono previsti “assegni biennali di formazione scientifica e didattica”. Si trattava di un cambiamento apparentemente solo nominale, che consentiva però di promuovere i “borsisti di addestramento” a “contrattisti”. Infatti le nuove norme istituivano novemila “contratti quadriennali” , di cui tremila erano riservati agli inquadramenti “ope legis” dei “borsisti di addestramento” e seimila erano destinati a concorsi riservati a diverse categorie: ai titolari di assegno di formazione didattica e scientifica, agli ex borsisti del CNR e di altri enti di ricerca presso le università, agli assistenti volontari, ai laureati che avevano svolto esercitazioni retribuite, e ai “medici interni con compiti assistenziali”, una categoria, quest’ultima, non prevista da alcuna norma precedente ma che era stata inventata dalle Facoltà di Medicina quando fu vietata la nomina di assistenti volontari. Aperti a tutti i laureati avrebbero dovuto essere invece i concorsi per gli “assegni di formazione didattica e scientifica”, che erano previsti nella misura di tremila assegni ogni anno. In realtà gli assegni furono banditi solo per il 1973. Nel corso del 1974 entrarono complessivamente 12.000 soggetti in posizioni destinate, come vedremo, a divenire permanenti.
Il decreto modificò anche lo stato giuridico degli assistenti. Prima di tutto si stabilì che il ruolo degli assistenti sarebbe divenuto “ad esaurimento” alla fine del 1977, o, a seconda delle interpretazioni, alla fine del 1978[1] . In attesa della chiusura del ruolo i concorsi sarebbero stati riservati ad alcune categorie di laureati (inizialmente titolari di contratto, o di assegno, e tecnici laureati, e borsisti di addestramento). I concorsi avrebbero previsto un solo vincitore per ogni posto, anziché una terna. Venivano direttamente inquadrati, a domanda, nel ruolo degli assistenti coloro che risultavano compresi in una ”terna” di vincitori di un concorso ad un posto di assistente. Veniva anche formalmente abolita la dipendenza di un assistente dal titolare della cattedra. Nella formulazione della legge, “le competenze amministrative nei loro confronti già spettanti al titolare della disciplina vengono trasferite al Consiglio di Facoltà”.
Una conseguenza del raddoppio effettivo degli organici dei professore di ruolo conseguenti alla promozione dei professori aggregati e alla distribuzione di 2.500 nuove cattedre, fu, come era prevedibile, il blocco di nuovi concorsi a cattedra, nonché la mancata distribuzione delle ulteriori 5.000 cattedre che il decreto aveva promesso di distribuire entro il 1975. Quando nel 1979, si ritenne di riaprire i concorsi, anche a seguito della bocciatura in parlamento del decreto Pedini (di cui si dirà dopo), si sentì il bisogno modificare le norme sulla formazione delle commissioni. Fu approvata allora la Legge 7 febbraio 1979 (cfr infra)
La bomba ad orologeria dei precari.
Il decreto del 1973 conteneva una bomba ad orologeria destinata a scoppiare a distanza di quattro o cinque anni. Infatti dopo quattro anni di fruizione venivano a scadere, tutti assieme, gli assegni di studio rinnovati per un secondo biennio ed i contratti quadriennali. Alle soglie del 1978 si presentavano quindi almeno 10.000 “precari” destinati, sulla carta, a perdere la loro posizione nell’università. In realtà una parte dei contratti, quelli attribuiti direttamente “ope legis” decorrevano dal 1 novembre 1973. Bisognava quindi predisporre una soluzione prima dell’autunno del 1977. E infatti, nella primavera del 1977 fu reso pubblico un accordo tra il Ministro[2] della Pubblica Istruzione e i sindacati CGIL, CISL e UIL, che concordata una riforma dell’assetto del personale docente universitario che prevedeva due “fasce” di docenti (professori associati e professori ordinari) rinnegando l’abolizione del ruolo dei professori aggregati deliberato per decreto quattro anni prima. Era previsto il passaggio “ope legis” degli assistenti di ruolo nella “fascia” degli associati. Si chiariva così la motivazione vera per l’abolizione del ruolo degli aggregati. L’esistenza di un ruolo intermedio raggiungibile per concorso avrebbe reso più difficile la promozione “ope legis” di tutti gli assistenti ad una posizione del tutto equivalente. L’accordo restava nebuloso sulla futura sistemazione di assegnisti e contrattisti ma ne prevedeva la proroga a tempo indeterminato.
I decreti Pedini e le nuove regole per i concorsi a cattedra.
L’unica conseguenza immediata di questo accordo fu una disposizione legislativa di proroga di assegni e contratti fino al 31 ottobre 1978, che risolveva, per il momento, il problema dei contratti in scadenza il 1° novembre 1977 (Legge 25 ottobre 1977, n. 808, art. 23). Gli accordi però furono recepiti dal Decreto Legge 21 ottobre 1978, n. 642, il cosiddetto Decreto Pedini. Questo decreto non fu convertito in legge, per decadenza dei termini. Ci fu infatti una forte opposizione del mondo accademico, guidata in gran parte da Paolo Sylos Labini, il quale attaccò violentemente il decreto sulle pagine del quotidiano “Repubblica”[3]. L’opposizione del mondo accademico fu recepita in parlamento dal gruppo “sinistra indipendente” all’interno del quale fu molto attivo Luigi Spaventa. L’opposizione si concretò in una sorta di ostruzionismo cui prese parte anche il senatore democristiano Siro Lombardini, che fu richiamato dal capogruppo democristiano. Infine furono i radicali, presenti in Parlamento (in particolare Mauro Mellini) ad affossare la legge di conversione del decreto con un aperto ostruzionismo, che si svolse anche nelle ore notturne.
Il Decreto Pedini fu seguito da un secondo decreto che si limitava soltanto a prorogare contratti, assegni e borse in attesa di una riforma. Fu anche approvata durante il Ministero Pedini, una legge (Legge 7 febbraio 1979, n. 31) che riformava le regole per i concorsi a cattedra introducendo un sistema misto di elezioni seguite da sorteggio, e istituiva un Consiglio Universitario Nazionale provvisorio ponendo termine alla lunga proroga della prima sezione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Secondo le nuove norme il numero dei commissari dipendeva dal numero dei concorrenti (cinque se il numero dei candidati non superava sessanta, sette se il numero dei candidati era superiore a sessanta ma non superava ottanta, nove se il numero dei candidati superava ottanta). Si procedeva quindi alla elezione di un numero di potenziali commissari doppio di quello necessario, per poi, tra gli eletti, sorteggiare i commissari.
Gli assegni di formazione professionale per contrastare la disoccupazione giovanile.
Una conseguenza dei decreti Pedini fu naturalmente il blocco di tutte le borse di studio presso le università, ed in particolare delle borse bandite dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Questo non impedì al CNR di approvare un programma di “assegni di formazione professionale” nelle discipline biologiche e mediche, che potevano essere fruiti anche negli istituti universitari e che erano riservati ai giovani iscritti alle “liste della disoccupazione giovanile”, previste dalla Legge 285 del 1977, una legge che si proponeva appunto di contrastare il fenomeno della “disoccupazione giovanile”[4]. Proprio nel 1978 la Legge 285 del 1977 fu modificata ed integrata (dal Decreto legge 6 luglio 1978, n. 351 convertito in Legge 4 agosto 1978, n. 479) in modo da consentire agli “enti del parastato”, come era il CNR, di usufruire delle disponibilità finanziarie della Legge per programmi di “ricerca scientifica e applicata”. Il programma si presentava “senza oneri per il CNR”, in quanto per la spesa si attingeva ai fondi previsti per la Legge 285. Fu il prof. Luigi Rossi Bernardi, rappresentante degli assistenti e professori incaricati nel Comitato per le Scienze Biologiche e Mediche, e presidente dello stesso Comitato, che predispose il programma, ottenendone anche il finanziamento a carico dei fondi della legge sulla disoccupazione giovanile. Furono previsti un migliaio di assegni. La metà degli assegni erano riservati a diplomati, che furono assegnati però in massima parte a studenti universitari che una volta laureati si unirono agli altri nell’aspirare un posto da laureato. Quasi tutti gli assegni erano per la formazione nell’ambito delle scienze biomediche. L’autore del programma, Luigi Rossi Bernardi poco dopo fu promosso a professore ordinario di biochimica e fu nominato presidente del CNR al termine del mandato di Ernesto Quagliariello. Gli assegnisti della Legge 285 esauriti i tre anni di “formazione” si trasformarono, come prevedibile, in un altro gruppo di “precari” da sistemare nelle università o negli enti di ricerca. La loro “sistemazione definitiva”, disposta dalla Legge 18 gennaio 1989, n. 14, si rivelò più difficile del previsto, in quanto le norme che avevano istituito gli assegni avevano pudicamente omesso di prevederne direttamente l’assunzione nei ruoli delle università e degli enti di ricerca. Alla fine parte degli assegnisti andarono a ingrossare le file dei “tecnici laureati” universitari, dei quali si tratterà più avanti.
[1] In effetti il ruolo degli assistenti divenne “ad esaurimento” solo nel 1980, con l’approvazione del DPR 382 del 1980.
[2] Si trattava del Ministro Franco Malfatti.
[3] Nell’articolo di Sylos Labini compare forse non per la prima volta la menzione della “prece sommessa <<ope legis ora pro nobis>>”.
[4] In realtà lo scopo non troppo recondito della Legge 285 era quello di favorire l’ingresso nelle amministrazioni pubbliche senza concorso di “precari”, in analogia a quanto stava avvenendo nell’università ed era più volte avvenuto nella scuola. I “precari della 285” furono tutti sistemati con procedure eccezionali nelle amministrazioni pubbliche.
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Interessantissimo davvero, appassionante come un romanzo. En passant: l’idea del numero dei commissari stabilito in proporzione a quello dei candidati mi pare una genialata. Con una norma di questo genere, forse questa ASN avrebbe avuto esiti meno disastrosi.