Perché se muore il liceo classico muore il paese” era il titolo di un articolo pubblicato su queste pagine a fine agosto 2013 e che ha avuto una grande diffusione; è stato discusso largamente nelle scuole ed è capitato di sentirlo citare nella presentazione dell’offerta formativa di alcuni licei classici. Si è forse sviluppato in questi mesi un dibattito culturale che abbia difeso o contestato la tesi di quell’articolo? Nulla di tutto ciò. La tecnica collaudata per far passare un progetto senza discutere è ben nota: prima si lancia il “ballon d’essai” provocatorio – la riduzione del liceo a quattro anni, la riforma radicale del classico, il ridimensionamento della filosofia – poi si assiste in silenzio alle reazioni, senza alimentare alcun dibattito, quindi si torna alla carica su un altro terreno, quello dell’indottrinamento; il quale, manco a dirlo, è rivolto agli insegnanti. È questa una categoria che ha mele sane e marce come tutte ma che gode di uno speciale “privilegio” oltre a quello di essere la più malpagata d’Europa: di essere l’oggetto speciale dell’attenzione di “esperti” della scuola che si dedicano a riformarne le teste sulla base di teorie insindacabili e al disopra di ogni possibile contestazione.

Forse per sottrarsi a questa tecnica di indottrinamento coatto alcuni licei classici romani hanno promosso incontri sul tema del futuro del liceo classico che avrebbero dovuto mettere a confronto, su un piede di parità, difensori e detrattori, in una sorta di processo, con tanto di accusa, difesa, giuria e sentenza finale. Non posso dare un giudizio completo di come sia andata non avendo partecipato alle iniziative, ma mi ha assai colpito la lettura dei dettagliati rendiconti per due aspetti. In primo luogo, l’ammissione che l’accusa era stata più nutrita, incisiva e coordinata, mentre la difesa era stata più debole e minoritaria, il che suggerisce che forse non è stata scelta la migliore politica degli inviti. In secondo luogo, e soprattutto, mi ha colpito la sentenza finale espressa con una formula di pessimo gusto: all’imputato (il liceo classico) «non arresti domiciliari ma impegno nei servizi sociali»…

Difatti, le cronache raccontano il solito contenzioso, francamente ripetitivo: il liceo classico è lontano dalla vita, manca di pratiche esperienziali, si arrocca su una didattica fine a sé stessa, non collega lo studio delle lingue classiche all’acquisizione di “competenze”, non contempla pratiche laboratoriali, e così via. La ricetta del riscatto è prevedibile: rinnovamento delle pratiche didattiche basate sull’acquisizione di “competenze” più che di “nozionistiche” conoscenze, apertura al mondo esterno anche con l’alternanza scuola-lavoro. Facciamo grazia al lettore di trascinarlo nella diatriba competenze/conoscenze tipica della scolastica didattichese: una persona esterna a tale gergo difficilmente può capire come si possa avere una buona conoscenza di qualsiasi cosa senza saperne far uso (competenza), se non per colpa di un cattivo insegnamento. Lasciamo anche perdere lo slogan sull’alternanza scuola-lavoro: o ci si spiega in che modo può realizzarsi per certe materie o siamo alla pura chiacchiera da bar. Ma quel che soprattutto colpisce è l’ostinazione. Se è vero – come ripete l’accusa – che il calo di iscrizioni testimonierebbe che il liceo classico è irrimediabilmente morente, e che esso se lo merita in quanto detestabile relitto di una visione gentiliana e aristocratica della cultura, perché mai agitarsi tanto? Il corso delle cose realizzerà l’esito agognato: rimarrà un numero sempre più piccolo di persone, amanti della cultura classica, del latino, del greco, della filosofia, che magari saranno utili per intrattenere i residui relitti dei nostri beni culturali e mantenere un legame, ormai solo sentimentale, con il passato su cui si è costruita la nostra identità. Il punto è che il liceo classico, malgrado il declino delle iscrizioni, è lungi dal rappresentare una fetta marginale dell’istruzione liceale italiana. E la vitalità dei licei classici è lungi dall’essere spenta: chi frequenti le presentazioni dell’offerta formativa resta colpito, al contrario, dal fatto che questi licei, nonostante tutto, offrono l’immagine di una serietà, di un entusiasmo, di un impegno e – diciamolo pure – di uno stile che contribuisce a dare linfa all’intero sistema delle scuole superiori. E allora l’unica spiegazione è un’ostilità di principio, incomprensibile per chi non capisce le guerre di religione ed è convinto della positività dello sviluppo dei licei scientifici e dell’assoluta necessità di restituire alla formazione tecnica e professionale la qualità e il prestigio che appartengono alla tradizione nazionale, in vista di una necessaria ripresa tecnologica del paese. Ma forse è un’ostilità non tanto incomprensibile se l’intento è quello di puntare a trasformare la scuola in un sistema di formazione di quadri per le imprese: le manifestazioni di intenti in tal senso sono troppo smaccate per poterle ignorare.

Nessuno vuol negare a priori la necessità di miglioramenti didattici; al contrario, purché questo venga fatto con serietà e – valga qui il termine – con competenza, e non con slogan, come se ripetere “didattica laboratoriale” voglia dire di per sé nulla di sensato (ad esempio, o si configura in modo serio e concreto cosa possa essere un laboratorio di filosofia, o è meglio tacere). Ma la domanda è un’altra. Qualcuno pensa davvero che, anche nella necessaria riqualificazione di tutto il sistema dell’istruzione e anche concentrando l’attenzione sulla formazione tecnica e professionale, non sia necessaria più cultura per tutti, anche per chi andrà a fare l’elettricista o il panettiere? Qualcuno può credere seriamente che si possa formare un buon cittadino, una persona capace di buoni comportamenti emotivi e relazionali, che abbia senso etico, morale, senza aver letto buoni libri, grandi romanzi, belle poesie (anche su un tablet), e senza aver avuto almeno qualche sentore dei temi fondamentali della filosofia? Chi può credere seriamente che si possa formare un buon cittadino rispettoso delle leggi e dei principi della convivenza civile che non abbia ricevuto un’adeguata conoscenza della storia che lo renda consapevole delle origini dei principi della democrazia? Tutto questo deve esserci in ogni scuola, e non basta certamente l’alternanza scuola-lavoro e il legame con il territorio a crearlo. Quindi, più preparazione tecnica e maggiore concretezza, ma anche più cultura, quella che non si mangia; più cultura dappertutto, nelle scuole di ogni ordine e grado. E poiché il liceo classico è il luogo in cui – come tutti, convinti o obtorto collo, concedono – viene dato il massimo spazio alla coltivazione di quelle basi culturali che sono il fondamento della nostra identità italiana ed europea, molto giustamente fu detto che “se muore il liceo classico muore il paese”.

 

(Il Mattino, 26 aprile 2014)

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71 Commenti

  1. La triste discussione sul posto del liceo classico nella società e nella cultura del nostro tempo porta alla luce un fenomeno ben noto: quella che una volta era chiacchiera da bar o da scompartimento del treno (A che mi serve studiare Demostene? Era meglio se andavo a lavorare a 14 anni, e via lamentando) è diventato discorso pubblico mainstream, anche – ma non solo – grazie a classi dirigenti di livello o infimo o mediocre. Ci hanno ormai mitridatizzati, e restano poche possibilità di reazione.
    Proporrei qui, modestissimamente, un punto di partenza. Israel si chiede: “Qualcuno può credere seriamente che si possa formare un buon cittadino … senza aver letto buoni libri, grandi romanzi, belle poesie?” Aggiungerei la storia, essendo tipica del liceo classico la profondità temporale della formazione (è l’unica scuola che permetta, ad esempio, un contatto diretto con testi a noi anteriori anche di 2700 anni). Ebbene, il fatto è che a nessuno importa più conservare istituzioni in cui maturino dei buoni cittadini. Il liceo classico post anni ’60 è il luogo per eccellenza democratico, in cui sono a disposizione di chiunque voglia impegnarsi gli elementi di una cultura che fu un tempo elitaria. La sdemocratizzazione delle società europee e di quella italiana in particolare è ante oculos, e avviene a colpi di svalutazione del lavoro salariato, verticismo decisionale a tutti i livelli, smantellamento delle istituzioni vigenti (‘lente’ per le esigenze neoautoritarie). Lo sfondo generale è dato dal depotenziamento della politica a vantaggio dell’economia, con il conseguente astensionismo elettorale; simbolo di questo processo è il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione, vero e proprio detonatore che ridurrà in macerie decenni di conquiste democratiche. In questo quadro il liceo classico non è solo inutile: è un pericolo che va disinnescato, come fonte di possibile opposizione critica alle magnifiche sorti del nuovo ordine tecnoeconomico. E’ uno spazio di libertà, che in particolare un paese periferico, come ci avviamo a diventare da tutti i punti di vista (a cominciare dall’apparato industriale e produttivo), fra breve non potrà più permettersi.

    • la storia è un ottimo strumento per la politica, non ha niente a che fare col “buon cittadino”, perché ogni narrazione storica diversa presuppone un “buon cittadino” diverso.

    • Non credo proprio che l’ignoranza storica sia una buona premessa per un cittadino consapevole e responsabile.

    • Altro che accorciare di un anno le superiori come vuol fare la Giannini. Saltando a piè pari le elementari, potremo mandare i nostri figli a studiare ingegneria a 13 anni. Sai che vantaggio per la competitività?

    • Errato. A un cameriere non serve leggere e scrivere, se non in dose minima. Senza offesa per i camerieri, oggi abbiamo le calcolatrici. Quindi mandiamo i nostri figli a fare i camerieri a 7 anni dopo 1 anno di rudimenti elementari. Poi guadagneranno 5000 euro al mese.
      I nostri nonni sarebbero orgogliosi di questo glorioso paese.

    • Stiamo mettendoci in contatto con Briatore per chiedergli di entrare nella redazione di Roars. Per invogliarlo ci offriamo di esporre sulla home page di Roars il banner del Billionaire. Per dimostrare che facciamo sul serio, eccolo qui:

    • Siamo anche disposti ad aprire corsi per camerieri. In fondo chi se ne frega dell’automatica. Per non parlare del diritto romano. Per un locale di successo basta un fiscalista e delle cameriere bonazze e camerieri che sorridono. Quindi chiudiamo l’università e smettiamola con questa cosa della ricerca che serve solo alla Ka$ta.

    • Direi che nel paese ideale, faremmo solo corsi di sQuola media per fiscalisti. Il resto non serve. Un sacco di soldi pubblici risparmiati e pareggio di bilancio assicurato. PIL in vorticosa ascesa.

  2. E’ proprio quello che penso anch’io: dal momento che nessuno è obbligato a scegliere il classico, che senso hanno questi non nuovi e beceri dibattiti sula sua eliminazione? Il senso di privare alcuni giovani dal contatto diretto con Omero, Platone, Aristotele? Evidentemente dà proprio fastidio che un adolescente possa trascorrere il suo tempo a contatto con i classici che hanno formato il pensiero politico, letterario, filosofico e scientifico dell’Occidente.

  3. Il Ginnasio/Liceo Classico (la differenza didenominazione significherà pur qualcosa) è stato, ed è, parzialmente tutt’ora, il principale strumento di selezione di classe, che ha permesso, almeno fino alla fine degli anni ’60, di impedire che alle più prestigiose professioni (mediche e legali, insegnamento universitario) potessero accedere nessuno o una piccolissima percentuale di non appartenenti all’alta borghesia. La funzione dello studio del latino e del greco, in particolare, non serviva a formare dei cultori degli studi classici ed umanistici (tranne che per una piccola percentuale) ma a selezionare la classe dirigente del futuro, rendendola del tutto impermeabile a quanto si muovesse nella società. Tutto ciò è una delle cause del ritardo e dell’arretratezza italiana, dovuto alla subalternità della cultura scientifica, per il quale stiamo oggi e, temo, pagheremo ancora a lungo le conseguenze. Il problema che si pone non è quindi se si debba o meno riformare o, addirittura, abolire il Ginnasio/Liceo Classico, ma come creare un sistema educativo veramente inclusivo e competente, che sviluppi una mente capace di integrare ogni tipo di competenza, umanistica, scientifica e tecnica, senza stratificazioni sociali indotte.

    • Il liceo classico come strumento di selezione della classe dirigente? Certamente fino agli anni sessanta. Ma la classe dirigente del “miracolo economico” degli anni cinquanta e sessanta era formata da diplomati degli istituti tecnici, o addirittura da ex operai privi di una istruzione secondaria superiore. A questa rivoluzione del sistema delle classi che precedentemente era basato o cercava di basarsi sul livello di istruzione, ha risposto tardivamente il sistema scolastico con l’introduzione della scuola media unica nel 1962, e nel 1970 con l’apertura della università a tutti i diplomati. Il liceo classico ha quindi perso le sue caratteristiche “classiste” ed è diventato la scelta prevalente degli studenti che hanno paura della matematica. Purtroppo in molti casi il professore di matematica di un liceo classico non riesce nemmeno a svolgere il pur modesto programma perché i suoi studenti non ne vogliono sapere.
      Concordo pienamente sul fatto che quando si studia un sistema di istruzione bisogna anche valutarne gli effetti di sbarramento al ricambio sociale. L’istruzione serve a favorire il ricambio sociale ma può servire anche a bloccarlo. Mi sembra però che non sia più vero che il liceo classico (e ancor più il latino nella scuola media inferiore) svolga la funzione di sbarramento che aveva fino agli anni cinquanta.
      Ad esempio il liceo classico prepara poco ai percorsi universitari in ingegneria che probabilmente costituiscono una strada di accesso alla classe dirigente più efficace del corso di laurea in giurisprudenza.

    • sì, ma non è più così dalla fine degli anni ’60.
      Per quanto ne so anche prima degli anni ’60, la conoscenza delle lingue moderne era basilare per chiunque intedesse fare una carriera diplomatica o facesse fisica, ingegneria, etc, ad alto livello, perché gli Stati Uniti erano all’avanguardia in ogni settore tecnico-scientifico. Dalla costruzione di calcolatori elettronici alla medicina. Quindi, anche se gli accessi all’università sono stati liberalizzati alal fine degli anni ’60, anche dopo gli anni ’60 abbiamo avuto anche dopo gli anni ’60 classi dirigenti, insegnanti universitari, etc. sostanzialmente arretrati. E’ utopistico pensare all’uomo leonardesco e un po’ umanistico. Poi chi decide cosa è cultura e cosa no? i direttori delle pagine culturali?

    • Concordo: è più realistico e a portata di mano pensare all’uomo incolto e fiero di esserlo.

  4. Il liceo classico è pubblico e gratuito e ci va chi vuole: ha permesso a moltissime persone normali di avere una buona cultura e una buona carriera, anche in facoltà scientifiche. Il greco e il latino non sono necessariamente finalizzati a formare filologi così come lo studio della matematica e delle scienze non sono finalizzate a formare matematici, bensì persone che sanno stare al mondo.
    La scuola-spezzatino in cui si fa un po’ di tutto è indubitabilmente più inclusiva: produce incompetenza in un gran numero di materie.

    • @kery 18.22
      Magari dopo avere fatto il liceo classico in Italia.
      Posso garantire che gli studenti italiani provenienti da un buon classico sono ancora un pezzo avanti rispetto alla stragrande maggioranza dei loro coetanei inglesi anche quando si tratta di ammissioni in ottime università inglesi (con la differenza che le famiglie di studenti inglesi di livello paragonabile hano speso una fortuna per anni per mandarli alle scuole ‘giuste’).

  5. I sostenitori della lettura “classista” della formazione umanistica mi riportano alla memoria come, fino a pochi decenni fa, mandare i figli a lezione di piano fosse un costume assai diffuso presso le famiglie “bene”. Ciononostante i grandi artisti della musica provengono perlopiù dalle fasce medio-basse della popolazione.

    Si prega di non confondere la natura di un oggetto con l’uso che se fa (o che se ne può fare). La libertà di scegliere – elemento irrinunciabile di ogni società evoluta – include anche quella di sbagliare strada o di travisare la funzione delle risorse offerte. Un rischio che ognuno, per altro, corre sul piano personale, e che comunque, nel caso specifico dell’istruzione scolastica, è mitigato non poco dal vantaggio di poter fare esperienza ed imparare qualcosa.

    • Nell’Italia pre 1950 non erano gli studi umanistici in quanto tali a svolgere una funzione di sbarramento al ricambio sociale, ma piuttosto la struttura ad albero del sistema di istruzione. Un albero è un grafo connesso senza circuiti. E infatti il tronco dell’albero dell’istruzione era costituito dai primi tre anni di scuola elementare (l’unico tratto veramente obbligatorio) da cui si dipartiva il ramo secco dell’interruzione seguita dall’analfabetismo di ritorno e il ramo principale che continuava fino alla quinta elementare per poi dividersi nel ramo della scuola media (cui si era ammessi anche dopo la quarta elementare) accessibile attraverso un esame di ammissione ed il ramo della scuola d’avviamento al lavoro. Il ramo principale della scuola media si divideva alla fine di tre anni nel ramo nobile del liceo classico che conduceva alle facoltà universitarie che davano accesso alle professioni superiori e nei rami meno nobili degli istituti tecnici e dell’istituto magistrale e del liceo artistico che davano accesso alle professioni minori e solo ad alcune facoltà universitarie. Il liceo scientifico erede dell’istituto tecnico fisico matematico si trovava in una posizione intermedia, perché dava accesso a quasi tutte le facoltà universitarie. La caratteristica di questo sistema era che per cambiar strada bisognava necessariamente tornare indietro al nodo di separazione tra i due rami e rifare tutto il percorso. Una sentenza del consiglio di stato aveva stabilito non solo che non poteva essere riconosciuta una laurea in fisica conseguita nell’unione sovietica a chi non aveva fatto a suo tempo il liceo, ma che non valeva nemmeno il conseguimento della maturità scientifica italiana dopo la laurea, perché il sistema prevedeva che la maturità dovesse essere conseguita prima. Osservo anche che mentre in Italia erano greco e latino a fornire il materiale per sbarrare la strada a chi non si era precocemente indirizzato agli studi nobili, in Francia la funzione di sbarramento era svolta, e forse è ancora svolta, dalla matematica. Si dice che in Cina questa funzione fosse svolta dalla calligrafia unita alla poesia. C’erano naturalmente ragioni obiettive per richiedere che i mandarini fossero dei bravi calligrafi, infatti solo il cinese scritto era comune a tutta la cina, profondamente divisa nelle lingue parlate.

  6. Ho fatto il liceo classico e sono grata ai miei genitori che a sedici anni mi hanno mandato in Inghilterra a imparare l’inglese. Per il resto, non sarebbe sbagliato togliere gli attuali 8 anni obbligatori di secondarie e prevedere all’interno di un bienno orientativo anche corsi di greco e latino, per chi intende specializzarsi nello studio dei classici. Gli Stati Uniti sono la patria della democrazia, ma non hanno il liceo classico, a quanto so. Hanno buoni dipartimenti di Classics, non molti, in verità. Il liceo classico aveva senso nella scuola gentiliana: anche politicamente per il culto di Roma e poi perchè era una scuola élitaria che preparava anche seriamente persone che avrebbero fatto parte dell’élite umanistica e anche politica. Non ritengo affatto classista il liceo classico, anzi è necessaria la formazione di élite, ma una buon élite oggi deve per prima cosa essere poliglotta. Per il resto ci occorrono tecnici, matematici, fisici, chimici, biologi, ingegneri, medici, etc. P.e. abolirei la filosofia come disciplina scolastica e universitaria autonoma. Prima dell’università humbodltiana la filosofia era un’attività extraccademica: Descartes, Hobbes, Locke, Hume, Montaigne, etc. non sono filosofi accademici. Attualmente noi abbiamo problemi simile alla crisi dell’università scolastica. In primo luogo, penserei a formare tecnici, scienziati, etc. In secondo luogo potremmo pensare a centri di studio dove si si insegnano scienze politiche, economiche, sociologiche, etc.Nello stato nazionale moderno occidentale la legge e il diritto prendono il posto della religione, l’università scolastica scompare e si aprono accademie scientifiche. Nell’800 nasce il probelma di avere dei funzionari che esercitino la funzione dei sacerdoti, di funzionari che diano “valori”, e con Humboldt si dà un posto di rilievo a filosofi e storici: si pensi a Hegel, alla filosofia della storia e a tutti i filosofi tedeschi usciti da smeinari vari…. Anche in Italia c’è il problema di sostituire i preti e i filosofi prendono il loro posto. Attualmente,in Europa, abbiamo società multireligiose, quindi ognuno può scegliere il proprio prete, se ne ha bisogno. Se poi ci sono appassionati di storia in generale e di storia della filosofia delle università online potrebbero essere molto democratiche. Per facoltà come medicina, dovrebbe essere prevista anche la pratica. Quanto all’educazione dei cittadini, sento puzza di totalitarismo, anche se so che Israel pensa a tutt’altra cosa. Quando però si parla di scuola che educa a diventare “buoni cittadini”, si sente odore di totalitarismo. Anche la scuola gentiliana educava a essere buoni cittadini, con tutto il rispetto per Gentile. Last but not least: ogni luogo di studio dovrebbe prevedere attività sportiva.

    • per Figà Talamanca: la sua analisi è interessante e storicamente valida, però attualmente il problema non la “classe”, professioni più o meno nobili, o questione di “sbarramento”. Attualmente un insegnante di latino e greco in un liceo guadagna ciò che un bravo idraulico o elettricista guadagna in una settimana, senza evadere il fisco. Un buon idraulico o elettricista attualmente ha fatto un instituto tecnico, si aggiorna online.Gli accademici in genere non hanno idee chiare su come funziona il mondo fuori dall’utero università. Un idraulico o un elettricista proveniente da un istituto tecnico ha una cultura media per cui sa orientarsi discretamente anche nella comunicazione mediatica, non è privo di cultura storica, sa mediamente l’inglese, perché è necessario per la professione. Lo stesso vale per un informatico, alcuni con stipendi notevoli e ottimi cervelli, che magari seguono i corsi online di informatica e matematica di Harvard. Occorre quindi stare attenti a parlare di professioni “nobili” e meno “nobili”. Non necessariamente significano maggiori retribuizioni e qui salta la “classe”. Magari un tecnico non legge la recensione a un libro p.e. di Canfora su Repubblica e non si appassiona ai dibattiti sul dittatore democratico o su una delle tante Atene immaginate dagli storici, né ai dibattiti sul totalitarismo di Platone, ma neppure gli scienziati del circolo Mersenne si appassionavano poi tanto ai dibattiti teologici degli scolastici. I matematici avevano problemi diversi dai teologi. Appunto la calligrafia era conoscenza e potere nell’antica Cina, ma oggi non lo è più. Insomma, il mondo ruota.

  7. Nessuno si appassiona per le recensioni di Canfora. Anzi ho il dubbio che ne subisca più il fascino chi ha fatto l’istituto tecnico che chi ha fatto il classico (proprio perché quest’ultimo possiede i famosi “strumenti”). Molti matematici impertinenti hanno questo astio verso le materie umanistiche perché non hanno ancora superato il complesso dell’istituto tecnico.

  8. “il liceo classico è il luogo in cui – come tutti, convinti o obtorto collo, concedono – viene dato il massimo spazio alla coltivazione di quelle basi culturali che sono il fondamento della nostra identità italiana ed europea”

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    Se l’obiettivo del classico è creare fondamenta per sostenere l’identità italiana ed europea – come una madrassa l’islam – allora giù le mani dal liceo classico, che in fin dei conti fornisce alla classe “dirigente” italiana solo una base comune di letture da poter dimenticare o travisare. Altri meriti non ne ha?

    • per un paese di camerieri (aspiranti) non si vede perché sprecare tempo e denaro con il latino e il greco. Propongo di ridurre l’obbligo scolastico a 7 anni e consentire solo scuole di cucina. Ai bambini piacciono un sacco.

    • @Banfi, mi rendo conto. Non ho scritto che il classico è una madrassa, ma ho fatto ricorso ad una analogia cioè classico:l’identità italiana come madrassa:l’islam. Ad esempio, Grendel:Beowulf come Hydra:Ercole. Uno più facile sarebbe velocità:tachimetro come temperatura:termometro, ovviamente non vuol dire che la velocità è la temperatura o Grendel è Hydra. Si chiama analogia di parole, si usano, ad esempio, nei Miller analogies test per valutare alcune capacità analitiche del pensiero. Ci voleva tanto?

    • Deve perdonare Banfi. Per adeguarsi ai tempi nuovi, sta sforzandosi di dimenticare quello che aveva imparato nella Madrassa, tra cui anche la nozione di analogia e altre inutili basi comuni.

    • @Salasnich: per Madrassa ho seguito inconsapevolmente l’ortografia inglese. Confesso che lo stesso ho fatto per Hydra (invece di Idra). Spero che ciò non abbia creato smarrimento e disperazione su internet.

    • La frase

      “io al liceo non ho mai studiato”

      va intesa cosi:

      “quando ero al liceo (scientifico) non ho mai studiato”.

      Ero troppo impegnato a giocare a calcio.

  9. Non vedo nulla di strano in un sistema di selezione delle classi dirigenti basato sulla calligrafia, sulla matematica o sulle lingue morte, come in Italia. Sempre meglio di un sistema basato sulla capacità economica o sull’arroganza. Certo, ciò che è importante è che l’accesso alla scuola sia comunque garantito a tutti e incentivato.
    La diminuzione, peraltro molto recente e magari transitoria, degli iscritti al liceo classico è anche imputabile allo smantellamento di molte sperimentazioni. Al liceo classico sarebbe stato necessario garantire un paio di lingue straniere e rinforzare un po’ la matematica e l’informatica. Del resto gli studi classici da sempre si basano sulla speculazione, sia essa filosofica o matematica, e non bisogna trascurare che molti dei migliori studenti di fisica, matematica e ingegneria provengono tuttora dal liceo classico. Un sistema scolastico dovrebbe sempre investire sugli indirizzi che sviluppano una mente aperta, a partire dal liceo classico.

    • È vero, c’erano sperimentazioni del tutto sensate (abolite dalla Gelmini, se ben ricordo). Non sia mai detto che si spenda qualcosa per la scuola sottraendo risorse preziose ai grandi eventi o alle grandi opere.

  10. Una strepitosa conferma a una delle tesi del prof. A. Figa` Talamanca viene dal fatto che Enrico Mattei, che indubbiamente [1] fu parte della “classe dirigente” del Paese, ha frequentato la “scuola tecnica inferiore” e poi, in seguito, ha preso il diploma di ragioniere [2].

    Pero` aveva un rispetto sincero per la cultura, e un amore per il suo Paese, che non era soltanto strumentale o puramente indirizzato a fare i soldi per i soldi [3]. Vorrei dire un rispetto e una intelligenza per la cultura molto superiore a quella mostrata da alcuni dei commenti che accompagnano il mio. A cosa servono il latino e il greco? Misericordia. Sia a conoscere le radici della propria lingua (e questo aiuta a pensare),
    sia a leggere i grandi pensatori che hanno scritto in quelle lingue (e questo aiuta a raggiungere una certa profondità di pensiero). Ma noi siamo arrivati al punto di scrivere “deletare”, segno che stiamo buttando a mare la nostra lingua, e quindi anche la capacita` di pensare pensieri propri. Continuando così potremo solo imitare modelli e pensieri altrui (“ma all’estero di fa così”). E pensare che la storia l’abbiamo fatta noi. Ma già mi pare di sentire la risposta: la storia? quale storia? e a che serve la storia?

    Riferimenti.

    [1] Nico Perrone, a pagina 177 del suo libro “Obiettivo Mattei. Petrolio, Stati Uniti e politica dell’ENI.”, Gamberetti (1995) scrive:

    “Il governo italiano, anche se questa volta verrà informato [a proposito di contatti tra Mattei e funzionari del governo USA], resterà tagliato fuori: gli Stati Uniti, a uno dei massimi livelli dell’amministrazione, trattano con Mattei come se egli stesso, e non il Ministero degli Esteri, avesse una sorta di rappresentanza ufficiale del paese, riconoscendo in tal modo una situazione di fatto.”

    [2] http://www.eni.com/enrico-mattei/pagine_html/la-vita.html

    [3] Enrico Mattei marchigiano, di Egidia Marzocco. Fondazione Enrico Mattei (2012).

    • Sì, Mattei veniva da una scuola tecnica (Giulio Natta dal classico). Anche Vito Volterra, poi noto all’estero come il “signor scienza italiana”, veniva da un istituto tecnico. Ma cosa avevano a che fare le scuole tecniche di allora con quelle di oggi, disastrate da un imbecille rincorsa verso il basso? Vi insegnavano persone come Luigi Cremona, anche lui formato alle scuole tecniche e che però conosceva il latino tanto bene da poterlo scrivere e parlare in modo fluido. Come del resto tutti i grandi fondatori del politecnici italiani (altro che la buffonata dei corsi in inglese). Il piccolo dettaglio è che le scuole tecniche di un tempo avevano un tale prestigio che il professore di Volterra, Roiti, poteva trattare da pari a pari con gli universitari e ottenere di far passare Volterra direttamente all’università. Bisogna collocare storicamente le cose (non è una critica a Di Biase, perché condivido quel che dice) ma se si vuol discutere non bisogna fare storia da bar sport, come ho visto qui in alcuni interventi. E quanto al fatto che Nussbaum conosca bene il greco senza aver fatto il classico, ma che argomento è?! Chi ha mai pensato una sciocchezza piramidale come quella secondo cui solo facendo il classico italiano si conosce bene il greco e il latino? I maggiori filologi classici di fine Ottocento erano tedeschi e, infatti, l’Italia postunitaria ha imitato il modello tedesco… Gentile aveva come riferimento quel modello e, guarda un po’, anche un matematico come Enriques che voleva centrare tutta l’istruzione attorno alla filosofia. Adesso, a forza di dare addosso a questa “infame” scuola classista, siamo vicini al risultato che per studiare bene il latino e il greco bisogna andare a Cambridge e tra un po’ anche in Cina…

    • Nei due uffici di fianco al mio ci sono due bravissimi ricercatori universitari, fisici statistici, che hanno studiato all’ITIS (rispettivamente a Vicenza e Ferrara).

    • E c’era pure un mio compagno di scuola del classico che s’è infradiciato di spinelli ed è finito male

    • A proposito di Giulio Natta, scuole e “classe dirigente”. A Padova c’è l’ITI “Giulio Natta”, dove ha studiato Renzo Rosso, fondatore dell’azienda di jeans Disel.

      Scusate, riesco a fare solo esempi specifici. Oggi non riesco a formulare (se mai l’ho fatto) pensieri complessi: è il mio complenno, ho 47 anni, e non sono ancora PO. Però ieri ho (abbiamo) trovato la soluzione analitica di una nuova equazione di Schrodinger nonlineare proposta da un premio Nobel: troppo godimento!!!

  11. Una domanda ai vari Giuseppe De Nicolao e Antonio Banfi: Martha Craven Nussbaum o Martha Nussbaum ha fatto il liceo classico in Italia? Non risulta, però Nussbaum ha tradotto Aristotele e scritto libri importanti su Aristotele….

    • @Kery: Martha Nussbaum non è rilevante nella discussione, perché l’argomento fatto qui in favore del liceo classico è quello dell’identità italiana ed europea, cioè si difende l’orientamento locale e rivolto al passato, con l’obiettivo, ambizioso, di leggere in originale i grandi filosofi greci. La concezione di oltreoceano delle humanities alla quale si riferisce Nussbaum invece ha a che fare principalmente con i problemi dell’uomo di oggi, ad esempio, con le forze “deumanizzanti” della globalizzazione, e gli effetti perversi dei valori neoliberisti e del “libero mercato”. Si può partire sia dalla Grecia classica, sia anche dall’India per capire i problemi dell’uomo, di oggi o di ieri. Spero sia evidente la diversità delle due impostazioni.

  12. Che cosa curiosa. Il mio liceo classico molto esclusivo (Visconti, decenni fa) era pieno di figli di “umili“ poliziotti, falegnami, idraulici accanto a figli di ammiragli e importanti politici. Cosa curiosa: molti dei primi sono andati avanti alla grande (presidi di facoltà, avvocati di grido, ecc.), molti dei secondi erano e sono rimasti asini snob. Ma era una scuola di classe… Perciò, dal ’68 in poi, dalli alla scuola di classe e batti e ribatti è arrivata davvero: una scuola dove non c’è merito e vanno avanti solo i figli delle famiglie capaci di “supplire” a casa. I poveretti si attaccano al tram, perché la scuola “democratica” da a tutti lo stesso pezzetto di pane ammuffito. Niente più ascensore sociale. Ma pare che non basti. Bisogna asfaltare gli ultimi residui della “scuola di classe”, far fuori del tutto questo dannato liceo classico, fonte di tutti i mali del paese, dal debito pubblico alla mafia. Così avremo finalmente la vera scuola proletaria: quella dell’egualitarismo pezzente. Oserei dire, la vera scuola di classe, am mi aspetto le bastonate. È la scuola che chiedono a gran voce confindustriali alleati con i nipotini dei sessantottini, sotto la bandiera della tecnocrazia. Forza, che state per riuscirci: un paese di analfabeti governato da esperti in evasione fiscale e in tangenti. Un po’ di generosità con i vinti: si risparmino loro le boiate sul liceo classico sinonimo di scuola di classe o addirittura sul liceo classico-madra(s)sa, in salsa di teoria delle proporzioni all’amatriciana. Così, tanto per rispetto per Eudosso, anche se era collega di Giovanni Gentile (ma perché? la storia la conosciamo tutti).

    • Caro Israel, siamo d’accordo che dovunque nel mondo chi vuole dedicarsi allo studio di storia romana, letteratura romana, diritto romano, etc, Medioevo, studia latino? Così dovunque chi vuole dedicarsi a filosofia greca, letteratura greca, teatro greco, etc. studia la lingua greca. In genere, nel mondo si studia latino e greco in relazione allo studio delle civiltà romana e greca e anche al Medioevo. Esistono grandi storici medievisti americani, specializzati in diritto canonico ( fugurarsi), che hanno studiato latino all’università, come Martha Nussbaum ha studiato teatro e classics alla New York University. E’ un dato di fatto indubitabile.
      Qui si stanno mescolando due problemi: la necessità di studiare latino e greco per chi studia civiltà romana, greca e Medioevo e il problema se sia necessario che tutti gli studenti italiani per essere eccellenti in ogni campo studino latino e greco per 5 anni. Sono due problemi diversi.
      Occorre liberare subito il campo dalla politica, perché è ovvio che qualsiasi società ha bisogno di élite e quando produce élite scadenti, come gli attuali sessantottini, i loro allievi e dottarandi, declina, finisce. In un modo o nell’altro.
      La querelle tra classico e tecnico è noiosa: Mattei veniva dal tecnico,certo, ma il dato importante è che non gli interessava, né la politica, né l’ideologia, ma procurare petrolio e gas all’Italia. I Romani avevano pochi storici,letterati e non avevano filosofi, ma erano ottimi ingegneri, idraulici, architetti, per non dire strateghi e guerrieri. Senza Vitruvio non avremmo neppure l’attuale Campidoglio palladiano. L’importazione di Vitruvio in Inghilterra trasformò Londra. Ancora oggi negli archivi della British Library si trovano trattati di idraulica importati dall’Italia nel ‘600 e poi tradotti in inglesi. Per i Romani gli storici non erano importanti,li usavano, come sappiamo Giulio Cesare scrisse da solo il De bellico gallico e nessuno osò rimetterci le mani. I romani erano pragmatici e razionali: avevano una religione senza teologia, per niente intellettualistica come quella greca, non avevano filosofia, però vincevano le guerre,costruivano strade, ponti, grande acquedotti, città ancora in piedi, mentre Atene si autodistrusse ( Guerra del Peloponneso). L’Europa occidentale, tranne l’Uk, è in declino, fa perfino pena, le civiltà finiscono. La colpa non è della tecnica che strumentalizza il capitalismo ( non mi faccia il Severino), sono fasi inevitabili. Quindi, non perdiamo tempo in noiose discussione sul tecnico e il classico: finché gli americani ci pagheranno la difesa potremo continuare a farle, quando si stancheranno, parleremo d’altro. Per il resto, è ovvio che l’Italia è uno stato nazionale fallito, ha le élite di uno stato nazionale fallito e fanno anche un po’ pena i tromboni che si buttano sulla difesa dell'”identità italiana” fondata sul liceo classico. Gentile, ottima persona, era un idealista: se avesse spedito al fronte gli universitari, forse sarebbe morto in modo diverso. Preferisco Machiavelli, un politico fallito che aveva almeno imparato la lezione, buona giornata.

    • Sui Romani pragmatici ed il loro rapporto con scienza e tecnica, consiglio la lettura di Lucio Russo (La rivoluzione dimenticata). La tesi di Russo (un probabilista capace di leggere greco e latino antico al punto da scrivere un saggio sulla scienza ellenistica ed il suo oblio) è che la trasmissione delle sole conoscenze pratiche senza la comprensione delle basi scientifiche condusse all’oblio di conquiste scientifiche che dovranno attendere la moderna rivoluzione scientifica per essere riscoperta. Chi non conosce la storia è destinato a riviverla

    • Il nostro/a kery è un vero storico dell’universo, da Mattei a Giulio Cesare, complimenti. Io lo/la manderebbe du’ ore in un istituto tecnico, non dico di Scampia, ma di Cornigliano (GE) e poi ne riparliamo.

    • @Israel “si risparmino loro le boiate sul liceo classico sinonimo di scuola di classe o addirittura sul liceo classico-madra(s)sa, in salsa di teoria delle proporzioni all’amatriciana”

      ===

      All’amatriciana? Che cosa curiosa. La teoria delle proporzioni che si insegna alle elementari è un sottoinsieme piccolo del ragionamento analogico fatto sopra, per cui non si applicava al caso della madrassa. Nemmeno nel caso di analogia tra numeri la proporzione è sempre il criterio più appropriato. Si dà come valida analogia, ad esempio, che 5:25 come 4:16 oppure il caso di 3:(1/3) come 4:(1/4). Altre se ne possono trovare. Infatti, il “come” in questi casi non vuole dire “=”. Spero si apprezzi la differenza.

    • Kery: i compendi di storia e filosofia antica fatti stile bigino di Montanelli fanno pena. Mi creda, anche se non sembra lo studio dell’antichità è una scienza. Sparare i soliti 4 luoghi comuni da bar sui romani che facevano i ponti e non sapevano di filosofia (i “romani” chi? Quelli di Roma? Del Lazio? Dell’Impero, con imperatori di tutte le etnie e di orientamenti culturali non sempre omogenei) non le fa onore. Suvvia, basta, saremo tutti allenatori, ma non siamo tutti classicisti. A ciascuno il suo.

  13. Ma chi si è mai sognato di dire che TUTTI gli studenti italiani debbono studiare per 5 anni il latino e il greco? Francamente, di rispiegare quello che ho scritto non mi va. Se non ha voglia di leggerlo e capirlo e rispondere a tono, figuriamoci quanto sono stanco io… I Romani avevano pochi storici… Giulio Cesare scrisse “da solo” (chi non scrive in compagnia o fa il ladro o fa la spia). Tacito e Tito Livio erano storici danesi. I Romani avevano pochi letterati. Infatti, Orazio, Ovidio, Virgilio, Seneca, Properzio, Lucrezio,… erano mediocri letterati tibetani. Ma lei dove ha studiato? In una scuola di campagna durante la rivoluzione culturale di Mao? Sì, questa “querelle” (un vezzoso latinismo, immagino) è noiosa. Addio.
    P.S.: L’ultima su Gentile non l’ho capita (d’altra parte ho solo frequentato il classico…). Che ha voluto dire? Che l’hanno ammazzato gli universitari? E che non l’ha mandati (tutti, ovviamente) al fronte (cosa che era ovviamente in suo potere, come ministro della Guerra) perché era idealista? Oh, Seigneur Dieu, come dicono in Gallia…

  14. @kery: ho osservato che il suo discorso non riesce mai a schiodarsi dal particolare. Prima Mattei, e chissenefrega di Mattei, adesso che fare il liceo classico equivale a studiare lingue morte per cinque anni e magari viceversa.
    Il problema è che in un paese come il nostro, dove si continua a ripetere che la cultura non si mangia, il rischio è quello di perdere una grande eredità.
    La cultura si trasmette principalmente attraverso la lingua, che è la struttura più complessa di cui disponiamo, ed è bello pensare che nella scuola italiana la lingua, per estensione anche quella morta, finora abbia avuto un ruolo centrale nella formazione della classe pensante, cioè di quella categoria di persone che non aspira solo a consumare.
    Il modello del liceo classico, ma anche degli altri licei che da esso derivano, mette al centro l’uomo e non la produzione o il consumo, offrendo spazio alla speculazione. Salvare il liceo classico non significa costringere gli studenti a fare 5 anni di greco, ma rinnovarlo con sperimentazioni che preservino il ruolo centrale del linguaggio in senso lato, incluso quello logico-matematico.

    • Nel commento di “kery”, pubblicato il
      15 maggio 2014 alle 12:42, l’autore, che si nasconde dietro un comodo anonimato, si rivolge in modi offensivi a un non meglio identificato “collega”.

      Direi che i redattori dovrebbero esercitare un po’ piu` di attenzione.

  15. Ringrazio il Prof. Israel perché getta periodicamente un sasso nello stagno del conformismo angloesterofilo imperante e perché ricorda che la trasmissione delle conoscenze è uno dei compiti fondamentali della scuola.

    • @indranimaitravaruni, cosa intendi con “conformismo angloesterofilo”? Non so, diventiamo autarchici, nazionalisti e gettiamo a mare le basi americane? Oppure, che so, chiediamo al mondo intero di abolire l’uso dell’inglese e ci chiudiamo in uno stato apartheid dove si parla solo italiano e si studia il glorioso passato in lungua latina e greca?

  16. è possibile dire, senza essere censurati, che la teoria di Angel per cui bisogna salvare il liceo classico perché mette al centro l’uomo e non la produzione o il consumo è stessa la teoria di papa Francesco? E’ possibile pure dire che anche le facoltà di teologia sono ottime per la speculazione? E’ possibile dire che se la sopravvivenza del liceo classico è fondata sull’assioma “mettere al centro l’uomo e non la produzione o il consumo”, tanto vale andare ad ascoltare papa Francesco o una predica religiosa? Paradossalmente, il problema più doloroso dell’Italia in questo momento è l’assenza di lavoro, che si traduce in assenza di produzione e di consumo. Chiediamo ai ragazzi e alle ragazze dai 14 ai 19 anni di farsi preti e suore o di iscriversi in massa al liceo classico? E’ una battuta, ma visto che il marxismo è fallito, e va bene qualsiasi altra religione, pur di mangiare… Però, di questi tempi, con la religione cattolica si mangia poco. Forse la madrassa ( o madrassa) a cui ha accennato qualcuno potrebbe funzionare meglio, perché, insomma, col petrolio si fanno ancora affari.

    • @angel: “e chissenefrega di Mattei”,ok lei è un tifoso. Buon tifo, con i tifosi non si discute. Good luck

    • Ma è quel Piergiorgio li? Beh, se c’è Israel non mi stupirei. Hanno idee piuttosto diverse (sicuramente su von Neumann (von Neumann è uno dei miei preferiti, assieme a Leibniz)).

    • Mi piacciono questi commenti di kery. Sono una buona alternativa a Philip Dick o ai romanzi della saga di Eymerich. Sono anche un po’ meno impegnativi e proprio per questo offrono un provvidenziale momento di evasione quando torno a casa stanco a fine giornata.

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