ANVUR ha finalmente pubblicato l’elenco dei beneficiari del FFABR, una misura introdotta con la legge di stabilità 2016, che prevede il pagamento di un obolo di 3.000€ a favore del 75% dei ricercatori e del 25% dei professori associati che hanno fatto domanda di partecipazione. Il numero massimo di beneficiari previsto dalla norma è di 15.000 con uno stanziamento di €45 milioni. Platea interessata: oltre 38.500 tra associati e ricercatori, per un totale di 19.500 potenziali beneficiari, 4.500 in più del numero massimo finanziabile. La Ministra Fedeli che aveva più volte annunciato la distribuzione di 15.000 finanziamenti, si trova adesso di fronte ad un flop della misura: sono stati distribuiti solo 9.466 premi. Obiettivo pienamente raggiunto per il ministro Padoan e gli economisti renziani, che hanno potuto risparmiare un terzo della somma stanziata. Questi ultimi, o qualcuno al MIUR, è probabilmente riuscito a far credere alla ministra che si trattasse di una misura di finanziamento quasi universale, mentre conteneva un meccanismo congegnato in modo tale da premiare con un “sostanzioso finanziamento” il top 12,5% degli associati ed il top 37,5% dei ricercatori, secondo i soliti irriproducibili criteri messi a punto da ANVUR. Se avrete la pazienza di leggere il post scoprirete come funziona il meccanismo. Noi aspettiamo con ansia il documento ANVUR che ci spiegherà che “sono stati gli associati ed i ricercatori a suicidarsi”.
Con il solito ritardo, e con la solita opacità, ANVUR ha finalmente pubblicato l’elenco dei beneficiari della misura denominata FFABR.
Si tratta di una misura contenuta nella legge di bilancio 2016 che prevede il pagamento di un obolo di 3.000€ a favore (di non più) del 75% dei ricercatori e (di non più) del 25% dei professori associati che hanno fatto domanda di partecipazione. Il legislatore ha demandato all’ANVUR il compito di stabilire quali tra i docenti partecipanti siano meritevoli di essere finanziati. Il numero massimo previsto di beneficiari è di 15.000, dato che la legge stanziava €45 milioni.
Quale era la platea potenziale dei beneficiari? Se prendiamo i dati su sito del MIUR al 31/12/2016 risultavano in servizio negli atenei statali 18.945 Professori Associati (PA); 15.211 Ricercatori a Tempo Indeterminato (RTI) e 4.527 Ricercatori a Tempo Determinato per un totale complessivo di 19.738 ricercatori.
Se tutti i PA avessero fatto domanda, il numero massimo di beneficiari avrebbe potuto essere di 4.736. Ed analogamente averebbero potuto esserci 14.803 beneficiari tra i ricercatori. Il totale dei potenziali beneficiari (oltre 19.500) eccede dunque la quantità massima di beneficiari stabilita nella legge di bilancio.
Ora che sono stati pubblicati, dagli elenchi ANVUR risulta che riceveranno l’obolo 7.124 ricercatori e 2.342 professori associati per un totale di 9.466 beneficiari, ben inferiore al numero massimo previsto di 15.000. Il costo complessivo della misura sarà quindi di €28,4 milioni, con un risparmio di risorse per il MIUR di €16,6 milioni, oltre un terzo dell’intera spesa prevista.
Ipotizziamo che le soglie (75% dei ricercatori e 25% dei PA) siano state rispettate. (Lo ipotizziamo perché verosimilmente non potremo mai controllare i calcoli di ANVUR; c’è da scommettere che, come sempre, ANVUR non rilascerà i dati di base che utilizza per i suoi calcoli, ma ci inonderà, in nome della trasparenza, di statistiche irriproducibili accompagnate da documenti apologetici del proprio operato o di quello del MIUR.)
Si può stimare che abbiano fatto domanda di partecipazione 9.499 ricercatori e 9.372 professori associati, che hanno prodotto un numero di domande (18.871) ben superiore al numero massimo di beneficiari previsti. Ad indicare che l’università italiana ha bisogno di risorse per la ricerca e che i ricercatori sono disposti a sobbarcarsi procedure burocratiche complicate in cambio anche di un modesto obolo.
Non si potrà certo dire che i docenti hanno “snobbato” la misura. Il 50% del totale dei professori associati e ricercatori in servizio ha fatto domanda ed ha svolto diligentemente il compito di “sottomettersi” al giudizio dell’ANVUR. Ricordiamo che non tutti i ricercatori e PA potevano partecipare: erano esclusi dalla partecipazione i titolari di qualsiasi altro finanziamento pubblico nazionale o internazionale, ed erano esclusi anche tutti i docenti con contratto a tempo parziale. Quindi in realtà ben più del 50% dei beneficiari potenziali ha partecipato al processo di valutazione.
Perché allora così pochi finanziamenti rispetto al massimo previsto? Perché il legislatore, o meglio verosimilmente qualche economista nell’entourage dell’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, l’entourage che ha partorito l’idea delle cattedre Natta, ha scritto una norma in cui la quota di beneficiari e la soglia di “merito scientifico” dipendono dal numero di coloro che fanno domanda, non dalla platea complessiva dei beneficiari.
Proviamo a metterci per un attimo nei panni di un professore associato che sa di essere un associato inferiore alla “mediana” nel suo settore. Perché dovrebbe fare domanda con il rischio che il suo nome venga pubblicato in un elenco di “non beneficiari”? E se anche il suo nome non venisse pubblicato, è assai probabile che rettore e direttore di dipartimento abbiano accesso alla sua valutazione. Perché rischiare per 3.000€? Meglio non fare domanda. Ma per ogni domanda non fatta si perde 1/4 di una assegnazione nel settore di quell’associato. Quanti associati hanno fatto domanda? Circa la metà della platea complessiva: diciamo quelli che si ritenevano “superiori” alla mediana del proprio settore.
A che livello è stata fissata la soglia di merito scientifico? Se è vero quanto detto in precedenza ed hanno fatto domanda solo gli associati che si ritenevano superiori alla mediana del proprio settore, la soglia è stata fissata al 75% della distribuzione dei punteggi nel gruppo del 50% dei più produttivi: cioè hanno ricevuto un corposo (!) finanziamento alla ricerca il top 12,5% degli associati.
Ragionamento analogo vale per i ricercatori: ma qui la paura di vedersi esposti alla gogna o segnalati al proprio direttore di dipartimento/rettore deve essere stata ancora più forte. Solo il 50% ha fatto domanda. In questo caso la soglia di merito è stata fissata al 25% della distribuzione dei punteggi nel gruppo del 50% dei più produttivi. Se ipotizziamo che abbiano fatto domanda i ricercatori relativamente più sicuri di farcela, hanno ricevuto il finanziamento non il top-75% dei ricercatori, ma il top 37,5% dei ricercatori.
Ma come mai è stata disegnata una norma così strana? Per darne una spiegazione politica si può forse ipotizzare che sia stata il frutto di una sintesi tra due posizioni ampiamente divergenti: da una parte la allora neo-ministra Fedeli favorevole ad una misura universale di finanziamento alla ricerca, volta a riguadagnare un po’ di consenso tra i ranghi degli universitari; dall’altra gli economisti meritocratici renziani favorevoli a premiare giovani e eccellenza, e completamente contrari ad una distribuzione a pioggia che comprendesse anche gli ordinari. Il mix delle due cose ha prodotto un (probabilmente poco sensato) importo fisso per tutti, l’esclusione degli ordinari dall’elargizione dell’obolo, e una soglia per i ricercatori (75%) all’apparenza quasi universale.
La ministra ha potuto rivendicare in Senato e con i giornalisti l’ampia dimensione della misura:
Gli economisti renziani hanno visto salvaguardato il principio meritocratico, come si vede nella slide successiva opera dell’ex sottosegretario Tommaso Nannicini:
Il risultato finale dell’FFABR: la distribuzione di un obolo ad una piccola minoranza degli associati e ad una un po’ più ampia minoranza dei ricercatori.
Flop per la ministra Fedeli: sono stati distribuiti 9.466 premi e non i 15.000 da lei più volte annunciati.
Obiettivo pienamente raggiunto per gli economisti renziani.
Padoan ha potuto risparmiare un terzo della somma stanziata che ora potrà essere messa in palio in qualche altro gioco a premi miur-anvuriano.
Aspettiamo con ansia il comunicato ANVUR che spieghi con profluvio di numeri irriproducibili che “sono stati gli associati ed i ricercatori a suicidarsi” (citiamo ovviamente una espressione cara al consigliere Daniele Checchi), non facendo abbastanza domande per coprire tutta la somma stanziata.
Nell’attesa ci chiediamo se la ministra fosse consapevole che questo sarebbe stato il risultato finale; o se invece molto semplicemente gli economisti renziani le abbiano giocato un brutto scherzo.
Certo, non si capisce come mai il bando non abbia previsto un meccanismo di redistribuzione dei fondi eccedenti o allargando la platea dei beneficiari o aumentando l’importo.
Aggiungo anche che non è stata fatta alcuna verifica sulla titolarità di altri finanziamenti provenienti da progetti di ricerca.
Tanto meno quello sui ricercatori diventati associati nel frattempo….
Dalle mie parti, ma credo un pochino ovunque, si dice “chi non fa non sbaglia”. Rifuggo pertanto dalle critiche che non sono costruttive, quelle che arrivano sempre e comunque, qualunque cosa si faccia. È chiaro che non può esistere un criterio perfetto per la valutazione della ricerca, ma nello stesso tempo sono convinta che la peggior cosa è non avere alcun criterio.
Nei miei quasi 30 anni di carriera ho sentito decine di volte la frase “si sa che è bravo” (sempre al maschile, ovviamente), salvo poi scoprire una produzione scientifica
non proprio eccellente. Ho pure sentito dire, di una collega veramente brillante: “può stare a casa con i bambini, tanto si sa che ha chi le scrive i lavori”.
EVVIVA, ora ci sono i numeri, belli, puliti, asettici anche
se perfettibili. I numeri non sanno se sono donna o uomo.
Mi premiano perchè sono brava. Ho dovuto aspettare quesi trent’anni, ma ne è valsa la pena. Grazie ANVUR.
Tralascio il resto (aspettare trent’anni per tremila euro…) e commento solo la frase: “I numeri non sanno se sono donna o uomo.”
Invece lo sanno benissimo. Basterebbe aver studiato un pochino la letteratura sul tema. Potrebbe cominciare da qui: https://www.nature.com/news/bibliometrics-global-gender-disparities-in-science-1.14321
Cara collega Musina,
da rifuggire sarebbero anche i commenti imbarazzanti, in quanto sostenuti solo da personalismi, legittimi individualmente, ma davvero senza ragione d’essere e per nulla utili a capire i motivi delle scelte politiche sbagliate che poi ricadono sulla collettività di cui volenti o nolenti si fa parte e sul paese intero.
Non si tratta infatti di semplice conto della serva per cui allenandosi si può far meglio la prossima volta.
Solo perché ci sono i numeri, a lei per ovvie ragioni tanto cari, non vuol dire che le promesse ministeriali fatte e non mantenute siano frutto di una semplice svista alla quale si può rimediare al prossimo turno.
O peggio ancora non si può pensare che sono utili mezzi perché mi hanno “premiato” e quindi significano che funzionano perché ho sempre pensato di essere meglio del mio collega (quello che magari mi ha fregato il posto) che non ha avuto il premio.
La critica forse è più indirizzata all’origine del problema che in modo pervasivo, noto con dolore, è così diffuso anche tra chi applica il metodo scientifico: “i numeri, belli, puliti, asettici” NON possono essere unici discriminatori di qualità e cercare pervicacemente di sostenere che con i numeri di possa valutare la qualità della ricerca (e delle persone) è davvero ridicolo dal punto di vista scientifico, logico, razionale ed umano.
Chi sostiene il contrario lo fa solo basandosi su una scelta politica e quella scelta è fortemente opinabile, se analizzata in modo scientifico.
Infine lei scrive “Mi premiano perchè sono brava.”
Le chiedo scusa, ma trovo davvero imbarazzante una frase del genere (e le assicuro a prescindere dal genere). Ridursi così, secondo me, non fa onore né a lei né alla categoria di cui fa parte.
Una bambina delle medie forse (anzi spero) avrebbe più amor proprio davanti un bel voto e al gelato avuto in premio.
La prego di pensarci seriamente:
davvero, ma davvero, pensa che il motivo del “premio” sia perché lei è brava?
E che la legittimazione della sua bravura (di cui peraltro non ho alcun dubbio) passi per un “premio”?
E se proprio si accetta tale visione riduttiva del proprio lavoro, oltretutto un premio di 3000€?
Cordialmente
Non si sa se ridere o piangere. 3000 euri divisi per 30 anni fanno 100 ovvero cento euri all’anno per la ricerca. Grazie Anvur, ma veramente!
Mi rallegro delle grandi innovazioni algebriche introdotte degli asettici algoritmi anvuriani che, così ad occhio, hanno permesso di elargire una mancetta di “dubbia” utilità a ricercatori nullafacenti e a grossi gruppi di ricerca adusi allo scambio interno di pubblicazioni.
Ne è valsa la pena aspettare tanto e sarebbe quindi giusto destinare i fondi non assegnati direttamente all’anvur per chiari meriti.
Il sistema ANVUR ha però un merito: ha fatto emergere la qualità media dei professori e dei ricercatori universitari. E non mi riferisco alla qualità della ricerca…
Molto giusto. Qualità di assenzienti-obbedienti-servi nati, sempre pronti peraltro, in qualunque stato di sottomissione, a brigare per raccattare per sé e portare al proprio esclusivo mulino almeno un bicchierino d’acqua. E’ anche la qualità media “eterna” di ogni buon-vero italiano e buona-vera italiana. Dunque, cose che si sapevano da gran tempo. Ma le conferme sono sempre scientificamente utili e apprezzabili
Nella vituperata Università degli anni 80/90 c’era un concorso nazionale che assicurava una significativa mobilità dei docenti su tutto il territorio nazionale. I posti venivano messi a concorso con un filtro ministeriale che limitava la nascita di Corsi di laurea a go-go. Le supplenze, anch’esse filtrate, erano pagate al 50% dello stipendio di un associato.
I fondi 60% assicuravano un minimo vitale per poter operare. I fondi 40% mantenevano una coesione nazionale dei gruppi di ricerca ed assicuravano a chi lavorava un altra risorsa significativa. Chi si dava minimamente da fare aveva anche Contributi CNR. Potevi contare su un budget di 10-20 milioni di lire all’anno che non erano bruscolini. Li spendevi come volevi sulla base della programmazione che tu stesso avevi dichiarato all’atto della domanda. La parte di funzionamento la cambiavi quando volevi in spese di investimento. Avevi anche una percentuale di piccole spese facilmente rendicontabile mediante scontrini di acquisto.
E’ vero, erano finanziamenti a pioggia, ma davano dignità ad ognuno e non erano più a pioggia di questa buffonata. Infatti ora basta avere i numeri ANVUR, che ormai i più hanno, dopo aver smesso di lavorare ed essersi messi a scrivere lavori senza senso.
Ditemi come si fa a non fare la figura del vecchio rimbambito nostalgico, perchè io non ci riesco!
Prove tecniche di VQR. Chi si è sottoposto al gioco, una volta ammesso, è come se avesse sottoposto a valutazione ANVUR i migliori 10 lavori negli ultimi 5 anni.
“Ad indicare che l’università italiana ha bisogno di risorse per la ricerca e che i ricercatori sono disposti a sobbarcarsi procedure burocratiche complicate in cambio anche di un modesto obolo”. L’università italiana ha disperatamente bisogno di risorse, e non ci piove, ma partecipare al FFABR è stato semplice e rapido: non più di dieci minuti per fare domanda. Si può pensare tutto il peggio possibile della procedura, ma non che fosse tecnicamente complessa.
Non concordo del tutto, poi, sull’enfasi posta sul rischio di perdere con conseguente gogna: questo succede in tutte le allocazioni di risorse su base competitiva. Si può concedere che i PA, sapendo che sarebbe stato finanziato non più del 25% del totale delle domande ricevute, abbiano ragionato in maniera cautelativa, ma nel caso dei ricercatori si deve considerare che non più del 75% delle domande ricevute è una quota piuttosto alta. In altri termini, per ottenere il finanziamento non era necessario essere un ricercatore estremamente produttivo, ma abbastanza produttivo. Ad esempio, in alcuni settori si poteva ottenere il finanziamento senza soddisfare tutte e tre le mediane necessarie a ottenere l’ASN in seconda fascia.
Vero, era semplicissimo. Bastava che qualcuno ricordasse (con un alert automatico via mail a costo zero) a chi aveva caricato i lavori a giugno che andava fatto l’ultimo e del tutto inutile click settembrino.
Bastava che qualcuno ricordasse…
Tutti ammessi?
Tutti no, ma molti forse sì.
Certo, non ci sono dubbi. Il punto non era l’irrazionalità (o la diabolica razionalità) della procedura in due tappe, ma il fatto che fosse una complessa impresa da sobbarcarsi per tre soldi… Sul resto, ci mancherebbe.
Si può concedere che i PA, sapendo che sarebbe stato finanziato non più del 25% del totale delle domande ricevute, abbiano ragionato in maniera cautelativa…
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Non è questione di cautela ma di dignità. Pensandoci bene, hanno fatto bene a non partecipare coloro che sono sempre stati bistrattati dalle regole bibliometriche dell’ANVUR. Perchè dovevano prestarsi a fare le comparse? Che vada a quel paese chi ha inventato questo gioco perverso!
Il 60% funzionava abbastanza bene. Cio che ora lamentano alcuni miei colleghi, tra le altre cose, è l’opacità e la macchinosità della presunta trasparenza burocratica. Questo era già evidente agli inizi dell’informatizzazione di certe procedure e delle messe on-line di documenti, che siccome erano “in rete” sarebbero state anche agevolmente raggiungibili. Tutto ciò o è segno di grave e irresponsabile incompetenza o è segno di voluta messa in difficoltà del corpo docente già distrutto ed esasperato (ESASPERATO!) da mille incombenze burocratiche. Non produce? E con quali soldi andare per biblioteche e per congressi, pubblicare? Avere computer buoni? E nonostante questo, PRODUCE!
Padoan ha potuto risparmiare un terzo della somma stanziata che ora potrà essere messa in palio in qualche altro gioco a premi miur-anvuriano.
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Ci pensa il DM 9 agosto 2017, n. 610:le eventuali risorse non attribuite per mancanza di un numero sufficiente di destinatari, sono ripartite tra tutte le Università statali a valere sulla quota base del fondo di finanziamento ordinario;
Trovare un senso a tutto questo è veramente difficile. Il premio lo prende la CRUI. Su quale voce del FFO lo metteranno il residuo di 16 milioni (ben 1/3 del finanziamento riservato alla ricerca di base)?
L’ANVUR ha pubblicato
http://www.anvur.it/attachments/article/1204/FFABRcommenti13dic2017.pdf
un documento di analisi del FFABR.
VEDIAMO SE RIESCO A SPIEGARE IL MECCANISMO. In un dipartimento ci sono due associati nello stesso settore. Uno più bravo/produttivo ed un altro meno bravo/meno produttivo. Quello meno bravo sa di esserlo (questa è una ipotesi molto forte perché in genere ogni professore pensa di essere il più bravo di tutti). Se il meno bravo non è stupido sa che se fa domanda per il Ffabr aggiunge 0.25 posti disponibili per il il finanziamento nel suo settore. Aumenta quindi la probabilità che il suo collega più bravo sia finanziato. Ne segue che aumenta la sua probabilità di essere riconosciuto come il peggiore del settore nel suo dipartimento. Se non fa domanda, il suo quarto di posto disponibile viene perso, ed aumenta la probabilità che il più bravo non sia finanziato. Ne segue che se non fa domanda, aumenta la sua probabilità di non essere riconosciuto come il peggiore nel settore del dipartimento. Perché il meno bravo dovrebbe fare domanda?
Ora delle due l’una. O chi ha scritto la norma non aveva immaginato questo meccanismo. E quindi chi ha scritto la norma è un incompetente (tesi del FQ). Oppure chi ha scritto la norma sapeva benissimo che questo sarebbe stato il risultato (finanziamenti persi) e che il sole24ore avrebbe detto che i professori snobbano i finanziamenti. Su questo Giuseppe De Nicolao ed io abbiamo posizioni completeamente diverse. Lui propende per l’ lINCONSAPEVOLEZZA dei Renzi boys che hanno scritto la norma (si tratta pur sempre di economisti!). Io, in quanto economista, propendo invece per una norma scritta artatamente , poiché un economista non può non aver fatto questo ragionamento.
caro Alberto,
mi dispiace ma io sono d’accordo al 100% con Giuseppe. L’idea di finanziare solo il tot% rientra nell’ideologia per la quale un “incentivo” non si può dare a tutti, perché ovviamente chi non ha mai messo piede in un laboratorio di ricerca ritiene che i 3000 euro siano “un incentivo”, non certo uno strumento MINIMO per lavorare, e per questo sia necessario escludere almeno il 25% di chi ha presentato la domanda. Altrimenti, l’incentivo “non servirebbe a nulla”.
“bisogna premiare solo il tot%, solo così il Merito prevarrà”. C’è gente convinta di questo in perfetta buona fede, confondendo l’università con una catena di montaggio. In mia opinione, anche se la tua spiegazione è affascinante è purtroppo di livello troppo elevato per essere stata pensata da chi scrive leggi a caso.
Perché spiegare con malizia tutto quello che si spiega semplicemente con incompetenza?
Marco, perché chi ha scritto la norma è un economista e quella cosa che ti pare sofisticata si insegna nei corsi di primo anno…. E ti assicuro che gente che pensa di continuo a “esperimenti sociali” in vivo, potrebbe adesso fregarsi le mani per la soddisfazione.
Io ho già risposto ad Alberto che anche i percentili si insegnano nei corsi di base di statistica, ma non per questo puoi dare per scontato che i colleghi sappiano cosa sono. Un economista come Bonaccorsi (ex membro del direttivo Anvur) in un suo “Policy Brief” redatto per la Commissione europea aveva scambiato i percentili con la normalizzazione dei punteggi tra 0 e 100. Il bello è che quando lo invitavano a tenere una “Distinguished Lecture” andava a raccontare i contenuti di quel brief come esempio della sua migliore scienza.
https://www.roars.it/andrea-bonaccorsi-e-le-classifiche-degli-atenei-voodoo-rankings/
Dopo tutto è Anvur che in relazione alla nozione di mediana (il 50mo percentile) ha scritto: “Questa definizione, pur univoca, lascia però un importante punto di ambiguità”:
http://gisrael.blogspot.it/2012/09/bestiario-matematico-n-16.html
Concordo con Baccini. Il MIUR ha deciso in agosto di assegnare in FFO la quota non assegnata. Il MIUR sapeva quanti si erano registrati anche se non c’era stata ancora la valutazione ANVUR. Il MIUR sapeva che i finanziati non potevano essere più di 10000. Alla fine saranno un po’ meno.
Mah, potrebbero essere valide entrambe le ipotesi. Forse hanno semplicemente pensato che con la fame di finanziamenti che c’è all’università tutti avrebbero fatto domanda, pensando che comunque 3000 euro sarebbero stati meglio di un calcio nel sedere (al quale ormai siamo abituati). E quindi si sono “solo” preoccupati di limitare la spesa con la storia del merito, perché i potenziali candidati comunque erano più del fondo che avrebbero messo a disposizione.
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Il risultato è in tutti i casi un esperimento sociale. Anche io ho provato a farmi qualche calcolo e ho iniziato a pensare che le probabilità di vittoria non fossero alte, perché magari qualcuno “scarso” del mio settore avrebbe rinunciato a far domanda pensando che tanto la sua domanda avrebbe solo aumentato la probabilità di vincere di qualcuno con qualche articolo e citazione in più. Ho pensato poi che il fatto che tutti i “più bravi” avessero un finanziamento fosse comunque improbabile. Quindi alla fine non mi sono data una risposta, perché da questi conti a tavolino, togliendo gli “scarsi” e i possibili “già finanziati”, restavano 4 gatti con produzione simile. A quel punto era questione di capire la sensibilità dell’algoritmo ai vari parametri, per l’assegnazione del punteggio finale. Lì ho gettato la spugna, era anche estate.
All’autogrill mi risparmio i ragionamenti, prendo un caffè e gratta la cassiera. E si vince anche di più :-D
Valgono come riflessioni per uno studio sociale sul FFABR?
Piccola precisazione molto marginale: “questa è una ipotesi molto forte perché in genere ogni professore pensa di essere il più bravo di tutti”. Questo è un po’ esagerato. Di solito si considera uno fra i più bravi, l’esistenza di almeno due o tre più bravi di lui solitamente la ammette ;)
E’ tutto bellissimo e surreale. Io ho provato questa cosa come quando compro un gratta&vinci all’autogrill e, a differenza di quando compro il gratta&vinci all’autogrill, ho vinto. Ho riso da sola (non per i 3.000 Euro) e non ho avuto voglia di leggermi tutti i documenti anvuriani che (forse) mi avrebbero spiegato il motivo della vittoria, o almeno perché ho fatto quel tal punteggio che è apparso all’improvviso nel mio sito docente, dopo che avevo trovato “ammesso” e non mi ricordavo neanche se era “ammesso” alla procedura a settembre o al finanziamento vero e proprio. Ora se riapro il sito magari è apparso qualcos’altro. Domani provo.
Comunque avevo solo capito che la vittoria dipendeva dal numero dei richiedenti del mio settore e che per avere l’allettante gruzzolone (?) dovevo sperare che gli altri avessero un qualche rarissimo finanziamento o che fossero scarsi. Lo spirito del gratta&vinci ha fatto il resto.
In tutti i casi il bando non poteva essere congegnato sulla platea dei papabili perché l’analisi era fatta sui prodotti presentati e scelti, non sui database degli atenei. Posto poi che tutti gli atenei abbiano database aggiornati della produzione scientifica dei singoli, cosa che non credo.
Progettare un bando per assegnare tot risorse aspettandosi che tutti facciano domanda è comunque logicamente insostenibile, se davvero c’era la volontà di assegnare il fondo completo.
A proposito di errori, consapevoli o non consapevoli che siano, ho la mia da raccontare.
La Commissione dei Soviet, scusate, volevo dire, la Commissione Europea ha commissionato a ingegneri uno studio, pagato chissà quanto, in merito al problema della possibilità di incidenti ed esplosioni nelle piattaforme petrolifere. Lo studio, che si trova in rete, o, almeno, si trovava in rete, contiene imbarazzanti errori di calcolo delle probabilità.
La Commissione dei Soviet, scusate, volevo dire, la Commissione Europea poi formula raccomandazioni ed emana direttive sulla base di quel rapporto.