Al Festival dell’Economia di Trento, si è svolto un dibattito dal titolo “La scuola italiana oggi e domani”, in presenza del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, e di altri rappresentanti del mondo politico trentino, scolastico e universitario. Tra essi il prof. Daniele Checchi, economista, di cui vogliamo commentare l’intervento. A partire dalla futura “carriera docenti” del Trentino, Checchi difende la necessità dello spirito competitivo nell’istruzione. Tale spirito ha ben attecchito nell’Università, spiega l’economista, ambiente in cui le distinzioni di carriera vigono da tempo, perchè come indicano tutti i “manuali di risorse umane”, o sei “endogenamente motivato alla competizione e al narcisismo o ti fermi”. Secondo Checchi, “sono maturi i tempi di una differenziazione di carriera” anche nelle scuole. Bene quindi che il Trentino faccia da apripista. Ma più che concorsi provinciali, come prevede la proposta di legge, per Checchi ci vorrebbe “un po’ di prerogativa aziendale”: deve essere il datore di lavoro-dirigente scolastico a premiare i suoi sottoposti. Con premi “da riguadagnare” di volta in volta. C’è poi un altro problema: se si indice un concorso aperto, lo vinceranno i docenti dei licei, non quelli dei tecnici e dei professionali. E allora perché non pensare di “pagare di più il docente degli sfigati?”. Gestendo a livello di singola scuola-azienda il riconoscimento dei premi, si potrebbe pagare di più chi accetta di lavorare con gli studenti “sfigati”, che notoriamente non vanno nei licei. Interessante punto, questo di Checchi. E’ proprio da questi lapsus lessicali e dagli scivolamenti linguistici che emerge il vero volto del pensiero riformatore: un volto regressivo e neo-conservatore, che all’ambizione di intervenire sulle cause della disuguaglianza, sostituisce una più realistica politica di compassionevole contenimento del disagio sociale e culturale.
Il 27 Maggio scorso, nell’ambito del Festival dell’Economia di Trento, si è svolto un interessante dibattito dal titolo “La scuola italiana oggi e domani”. Presenti il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, l’Assessore all’istruzione della Provincia Autonoma di Trento Bisesti con la sovrintendente scolastica Viviana Sbardella e altri rappresentanti del mondo scolastico e universitario, tra cui prof. Daniele Checchi. Il suo intervento è quello che vogliamo commentare.
Il dibattito sulla scuola si apre con il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che annuncia imminenti interventi, ripresi nei giorni seguenti da alcuni organi di stampa.
In primo piano la riforma degli istituti tecnici e professionali, il cui nucleo centrale sarà connettere ulteriormente e quanto prima scuola e lavoro; poi la futura “Agenda Sud”, con interventi su 150 scuole “in difficoltà”, selezionate dall’INVALSI.
Valditara ribadisce il suo cavallo di battaglia: la “personalizzazione” dell’istruzione. Vecchio leitmotiv morattiano e cattolico-sociale; il Ministro del Merito ci tiene a sottolineare la sua concezione “democratica” e non “aristocratica” di merito: far fiorire i talenti di ciascuno studente, grazie a un’istruzione sempre più “modellata sulle sue esigenze”. E’ in quest’ottica che deve leggersi l’introduzione delle due figure di “docente tutor e orientatore”: il primo chiamato a stimolare “i talenti per poi farli incontrare con l’offerta del mondo della produzione”; il secondo a raccogliere “ gli stimoli dal territorio e far corrispondere le potenzialità (degli studenti) alle richieste del mondo del lavoro e impresa”.
La stretta lavoro-scuola si concretizzerà con un nuovo cambiamento dei percorsi tecnico-professionali. Nonostante l’ultimo intervento risalga alla Buona Scuola di Renzi, in vigore solo dal 2017, Valditara annuncia la “vera riforma”, oltre a un “grande dibattito tra parti sociali, imprese, regioni”. Le idee del Ministro sono chiare: docenti che potranno “essere presi dal mondo dell’impresa: professionisti, tecnici, imprenditori”; una nuova “filiera 4+2”, che colleghi direttamente i tecnici ai neo-nati Istituti Tecnici Superiori, gli ITS; un apprendistato formativo “direttamente in azienda”. Si tratta di “superare l’ impostazione gentiliana” che rispecchia una concezione della scuola gerarchica non in linea col dettato costituzionale, secondo Valditara, che invece valorizzerebbe “la persona”.
Interessante qui il riferimento del Ministro all’impostazione rigidamente “gentiliana” da superare e dell’”educazione al lavoro”, da promuovere fin “dalle elementari.
Significativo che qualsiasi sia il colore politico del dicastero sull’istruzione, dalla lega al centro-destra o al centro-sinistra, i bersagli retorici e gli schemi discorsivi della riforma permanente della scuola restino sempre gli stessi. La “scuola gentiliana”, come le “gabbie del novecento”, o la “lezione frontale” e il “ruolo tradizionale” degli insegnanti, diventano simboli -mito attorno a cui si è costruito un nuovo senso comune, gradualmente consolidato nel corso di questi decenni. Un ordine discorsivo per cui di qualsiasi provenienza politica sia il Ministro dell’Istruzione, oggi anche del Merito, che sia Bianchi o Valditara, che sia l’ex sindacalista (così, nel dibattito è stata ricordata) Fedeli o l’ex funzionario Bussetti, nulla cambierà nella sostanza dell’azione politica. E la sostanza è fare della scuola un centro di smistamento dei desiderata del mondo produttivo, in ossequio alle raccomandazioni internazionali. Per questo è necessario azzerare l’impianto e la struttura dell’insegnamento così come finora li abbiamo conosciuti.
Non a caso, dopo questa introduzione, il dibattito si sposta sul tema della “carriera docenti”.
Fa discutere la recente proposta dell’assessore trentino all’istruzione della Provincia Autonoma di Trento (ddl 176/23), presentata nella commissione istruzione e cultura del consiglio nelle scorse settimane e appena approvato.
La proposta trentina introduce una differenziazione nella funzione docente, prevedendo, oltre al livello base, “docente a tempo indeterminato”, la possibilità (per circa il 40% del totale degli insegnanti della Provincia Autonoma) di ricoprire due nuovi ruoli: quello di “docente esperto“, con compiti di “coordinamento della didattica e rafforzamento dei percorsi di orientamento e personalizzazione” o di “docente ricercatore“, con ulteriori compiti di “sviluppo di specifici progetti, per il miglioramento e l’innovazione e la diffusione di buone prassi”. A questi nuovi ruoli si accederà per concorso provinciale. Infine, i “docenti delegati all’organizzazione“, che saranno scelti dal dirigente scolastico tra gli esperti e i ricercatori, su base fiduciaria.
Il Trentino rilancia un tema storico e trasversale, amato da Luigi Berlinguer a Valentina Aprea: verticalizzare il corpo docente, introducendo livelli di inquadramento differenziati sulla base dell’attitudine a svolgere ruoli di tipo organizzativo e di coordinamento. La figura del docente “esperto”, tratteggiata rapidamente dall’assessore e dalla sovrintendente provinciale, sembra perfettamente sovrapponibile al tutor di Valditara: parole d’ordine orientamento e personalizzazione. Non è difficile immaginare che un disegno di legge locale come quello della Provincia Autonoma di Trento possa fare da apripista a livello nazionale, inaugurando una nuova stagione di interventi sulla carriera nell’era del merito. E’ questo l’auspicio del Sole 24 ore, che il 5 Giugno titola “Prove di carriera docenti”.
Ed è’ proprio su questo tema che interviene l’economista Daniele Checchi, appassionato di politiche sulla valutazione (standardizzata). Il suo intervento, di cui abbiamo già pubblicato la trascrizione integrale, è a suo modo emblematico e merita di essere analizzato.
Checchi ha letto con attenzione il disegno di legge e si complimenta con l’amministrazione, che finalmente sembra aver dato ragione ad una sua convinzione: per attrarre lavoratori qualificati ed efficienti nel mondo della scuola, è necessario un ambiente di tipo concorrenziale, che preveda incentivi economici differenziati.
“E’ la prima volta che in Italia si è quasi arrivati vicini e a riconoscere un dato di fatto [..] se tu vuoi attrarre dei degli insegnanti dai migliori laureati non puoi che offrirgli una prospettiva di carriera perché se no la stragrande maggioranza dei migliori vanno a fare un altro mestiere”.
D’accordo, continua, non tutti i laureati sono uguali:
“i laureati in lettere hanno [maggiori] prospettive dei laureati in ingegneria o in economia, ma il fatto che tu diciamo possa immaginare che oggi entri ti fai la tua gavetta impari il mestiere e un domani hai la possibilità [di carriera]”
secondo Checchi farà la differenza.
Si potrà poi:
“ discutere i numeri – 40 % è troppo poco- le modalità: non va bene il concorso, facciamolo per elezioni, facciamolo per sorteggio”. Non è questo importante: “il punto è vero è che uno deve avere una prospettiva”.
Insomma, Checchi sembra ricordarci che nella vita non conta solo il denaro. Non contano i soldi: conterebbe il riconoscimento sociale… ovviamente conquistato da pochi, che guadagneranno più soldi degli altri.
Prendiamo il caso dell’Università, aggiunge l’economista, per portare evidentemente un esempio virtuoso :
“se fosse piatta, cioè tu entri ricercatore e resti ricercatore tutta la vita tutti i nostri migliori docenti se ne vanno.[..] E non è un problema retributivo è un problema di riconoscimento simbolico. Cioè io alla fine se mi impegno più degli altri voglio essere riconosciuto di essere meglio di un altro. E questo impegno oggi non viene riconosciuto nella scuola”.
Insomma, fin qui nulla di nuovo. E’ la solita ricetta, che conosciamo a memoria, sulla concorrenza che stimola la produttività; non conta che gli tutti insegnanti abbiano stipendi adeguati, conta che solo alcuni possano competere per acquisire premi economici.
Ma come differenziare?
“se uso dei principi un po’ aziendalistici mi renderei subito conto – e qui mi permetto di suggerirla l’assessore – se facciamo il concorso di ammissione a fare docente esperto lo diventano tutti quelli dei licei e negli istituti tecnici che ci va?
Cioè se io la prerogativa aziendale di essere il datore di lavoro, voglio anche giocarmela allora perché non far carriera andando insegnare nelle scuole difficili? Chiamiamolo livello di inquadramento “docente per gli sfigati”.
E’ qui che Checchi ci presenta una proposta diversa: pagare di più “il docente degli sfigati”.
Ecco perché i concorsi provinciali proposti dal Trentino per differenziare le carriere non andrebbero affatto bene. Ci vuole un po’ di “prerogativa aziendale”: deve essere il datore di lavoro a premiare i suoi sottoposti. In fondo, non sarebbe la prima volta, ci ricorda l’economista. Ci aveva già provato Renzi, con il suo bonus al merito, elargito dai dirigenti scolastici sulla base di una serie di criteri elaborati da un variopinto comitato di valutazione.
“Quello lì è stato un esperimento interessante”[..].
Il dirigente scolastico unilateralmente ha deciso quelli che erano premiati, media uguale al 30%. Il che vuol dire quindi che nella scuola, a mio parere [..] sono maturi i tempi per un riconoscimento della carriera differenziata. Allora, usiamo questa leva e diciamolo nel momento in cui è possibile, e Berlinguer non ci riuscì”.
Ma torniamo alla carriera e a come strutturarla.
La proposta di Checchi di pagare di più il docente degli sfigati è interessante.
E apre ad una riflessione: chi sarebbero questi sfigati?
Per Checchi sembra si tratti sostanzialmente degli studenti dei tecnici e professionali. Ma è chiaro che la macrocategoria degli sfigati è ben più ampia: sono sfigati gli svantaggiati sociali e culturali, sono sfigati i “fragili” INVALSI, sono sfigati i poveri. Ne immaginiamo già i tratti principali: prevalentemente maschi, retroterra migratorio, provenienti da categorie sociali deprivate. Che questi si concentrino maggiormente nelle periferie, nelle aree depresse, al sud, nelle scuole-ghetto con tassi di immigrazione altissimi, in fondo non sembra sia importante nel dibattito. Il punto non è comprendere il problema sociale e porre un’istanza politica. Il punto è incentivare con premi individuali gli insegnanti che accettino di lavorare nelle zone segregate e puntare sulla leva della differenziazione salariare, concessa dal datore di lavoro-dirigente scolastico, per gestire e controllare un nuovo tipo di insegnante. E’ molto significativo il lapsus del docente degli sfigati di Daniele Checchi, economista-esperto di educazione. Sono proprio gli scivolamenti come questo, infatti, ad essere drammaticamente rivelatori non solo di quanto sia regressivo il pensiero che guida le riforme dell’istruzione, ma anche delle finalità concretamente perseguite dalla retorica istituzionale che procede col ritornello “miglioramento, innovazione e valorizzazione”. Sotto la patina progressista del superamento della scuola gentiliana, dei divari e della lotta alla “dispersione implicita”, dietro le dichiarazioni di “non voler lasciare indietro nessuno” si cela nient’altro che la rinuncia politica neo-conservatrice ad affrontare realmente la questione sociale – territoriale che è a monte di quella scolastica, trasformando il problema educativo in un problema di politica e gestione dell’insegnamento.
Proprio a tal proposito Checchi aggiunge una prospettiva di lungo termine:
“al di là di un problema di attrazione, c’è un problema di gestione nell’arco della vita. E sui manuali di gestione delle risorse umane si dice che ci sono tre funzioni che l’ufficio delle risorse umane deve fare: attrarre, trattenere e motivare.
[..]
Quindi, il problema di nuovo non è solo il problema di pagare, ma fondamentalmente offrire una professione che sia una professione a tutto tondo. Mentre invece, qui, ovviamente della scuola Trentina non so tanto, ma diciamo, nel resto del paese, gli insegnanti, in molti casi, è una seconda professione. Quindi, nel momento in cui tu vuoi che, in particolare, i più efficaci spendano il loro tempo lì dentro, questo devi fare. Ma poi hai il problema che, nell’arco di una vita, le persone si demotivano.
In università è una cosa interessantissima. Nel momento in cui le persone fanno l’ultimo passaggio di carriera, che diventano associati ordinari, la loro produttività scientifica diminuisce perché non hanno più, cioè, tranne quelli diciamo che sono, che hanno la motivazione intrinseca, per usare il termine tecnico, quindi diciamo, sono endogeneamente motivati dalla competizione, dalla fama, dal narcisismo. Ma gli altri, a un certo punto, avendo davanti 20 anni in cui non hanno nient’altro a cui ambire, si fermano. [..]
Ho apprezzato molto nel disegno di legge che dite, una carica decade dopo tre anni e te la devi, tra virgolette, riguadagnare.”
Anche in questi passaggi, l’economista ha il pregio di chiarire la visione antropologica di riferimento del pensiero riformatore, che è poi quella dei manuali di gestione e sviluppo di risorse umane. Per spiegarcelo, niente di meglio dell’ esempio universitario, che evidentemente è un mondo di cui ha vasta esperienza. Chi insegna, secondo Checchi, deve tenere accesa la sua motivazione con l’incitazione continua alla concorrenza e alla premialità economica. Difficile “spendere tempo lì dentro”, a meno di non avere tratti “endogenamente competitivi o narcisistici”. Questi docenti corrono da soli. Gli altri vanno spinti costantemente, con premi economici guadagnati all’interno di una relazione subordinata: gli scatti di carriera vanno costantemente riconquistati agli occhi del proprio capo. La scuola e l’università devono essere palestre di concorrenza per i lavoratori, modellate secondo le logiche vincenti del recruitment e del management aziendale. La loro funzione, d’altra parte, non è che questa, oggi: insegnare a sopravvivere in un mondo feroce e precario.
L’occasione è ora, conclude l’economista:
“tra adesso e i prossimi 10 anni, metà degli insegnanti italiani vanno in pensione. È una risorsa incredibile come opportunità [..]la puoi giocare. Non assumo più insegnanti e pago il doppio quelli che restano. Li tengo esattamente lo stesso numero e continuo a pagarli…”
Insomma, il finale sembra essere aperto. E’ evidente che non c’è più tempo. C’è urgente bisogno di un riferimento politico e un nuovo pensiero sull’istruzione.
“Endogeneamente”? Ah, economisti, quanti spunti date ai manuali di lingua… grazie di esistere