Alcune statistiche sui vincitori dell’ultima tornata degli Advanced Grants dell’European Research Council. Si tratta di 660 ML € assegnati a 284 “senior research leaders” (più di 2,3 ML € a testa, in media). Per nazionalità di affiliazione dei vincitori, l’Italia si colloca al sesto posto dopo UK, Germania, Francia, Paesi Bassi e Svizzera, risultando seconda in Europa per i grant nelle scienze umane e sociali. Per l’Italia, i risultati “senior” appaiono migliori di quelli del recente bando “Starting grants”, ma si conferma la scarsa attrattività dell’Italia, dato che solo un vincitore non italiano porterà il suo grant in Italia.

Il Consiglio Europeo delle Ricerche, European Research Council (ERC), ha reso noto (comunicato stampa) i 284 nominativi (su 2408 candidati, percentuale di successo pari all’11,8%) e i progetti vincitori dell’ultima tornata di ‘Advanced Grants’ per ricercatori dalla carriera già consolidata.

L’elenco dei vincitori, tra cui figurano 18 italiani:

http://erc.europa.eu/sites/default/files/document/file/erc_2013_adg_results_all_domains.pdf

Le statistiche complete:

http://erc.europa.eu/sites/default/files/document/file/erc_2013_adg_statistics.pdf

erc-adv.2013

La prestazione dei ricercatori italiani è decisamente migliore rispetto al recente risultato del bando per giovani “Starting Grants”, ma si conferma la scarsa attrattiva dell’Italia per i ricercatori stranieri (solo un vincitore non italiano porterà il suo grant e la sua ricerca in un istituzione scientifica italiana).

erc-adv.host.2013

 

(Fonte: http://iononfaccioniente.wordpress.com/2013/09/30/i-vincitori-degli-erc-advanced-grants/)

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41 Commenti

  1. Penso che all’interno dell’accademia Italiana sia molto diffusa la “sindrome del Laziale”, ovvero quella di tifosi che hanno aspettative talmente minime sulla propria squadra (tipo retrocessione inevitabile) per cui anche un campionato terminato ad un mediocre 8-10 posto sembra un successone. Ma staremmo parlando una squadra della Capitale!

    Per lasciare le metafore calcistiche e ritornare al post, i risultati sembrano “migliori” rispetto all’ERC-Starting Grant semplicemente a causa dell’attesa da disastro che li precedeva. 18 grant/284partecipanti significa circa 6% dei grant in Italia per numero (il calcolo per finanziamento è più complesso). La popolazione Italiana è molto di più del 6% di quella della comunità europea. Soprattutto, impressiona vedere la performance di paesi come Israele (con una popolazione di circa un decimo di quella italiana) e gli inarrivabili Olandesi e Svizzeri.
    In ogni caso,nonostante i risultati non esaltanti, considerando che l’AD-grant è in media di circa 2.3 milioni di Euro, abbiamo che il finanziamento alla ricerca Italiana da parte dell’ERC-AdG è di circa 40 milioni di Euro, di più che il PRIN 2012 per TUTTA l’università Italiana (39 milioni di Euro).

    Si sta giungendo al paradosso che i finanziamenti ERC, che dovrebbero essere diretti alle eccellenze, sono maggiori di quelli destinati al “metabolismo basale” dell’università. Soprattutto, ho sentito voci davvero preoccupanti sui prossimi PRIN…

    • “La popolazione Italiana è molto di più del 6% di quella della comunità europea”, ma la percentuale di ricercatori sulla popolazione occupata è tra le più basse dei paesi OCSE. Il confronto andrebbe fatto con la percentuale di ricercatori italiani sul totale europeo o anche, come suggerito da Leo, con la spesa per ricerca.

    • Caro Giuseppe de Nicolao,
      In questo caso continuerei con il paragone calcistico: l’anno scorso il giocatore più pagato della Lazio era un tal Mauro Zarate, che è sceso in campo in campionato per partite UNA. Non si può non notare che l’accademia Italiana (e la Lazio) con le risorse a disposizione fanno il possibile (una coppa Italia l’anno scorso), tuttavia è da tenere conto che la torta dei fondi europei da dividere è messa in gioco essenzialmente in base alla popolazione/risorse di ogni stato (al PIL, come osserva FSL più sotto). Non è affatto un caso che l’Italia considerando tutti i fondi per la ricerca della comunità europea (FP7) ottenga circa 0.40 centesimi per ogni euro! Qui esiste un grosso problema: si continuano a mettere risorse nel calderone Europeo ma non si fornisce ai ricercatori Italiani gli strumenti per prenderli. Questi sono problemi a mio avviso molto ma molto più seri ed urgenti dell’ASN o della VQR perché stiamo regalando agli altri stati europei una marea di soldi.

  2. la tabella dei ricercatori sugli occupati non è accurata o si riferisce solo ai ricercatori che lavorano veramente, lasciando stare quelli che sono pagati e non fanno nulla. Nel 2007 (anno della tabella) in Italia c’erano 61,9 mila professori e ricercatori a ruolo (nel 2012 erano 55 mila) e 23,2 milioni di occupati, quindi il rapporto dovrebbe essere 0,27 e non 0,15 come riportato nella tabella. In Francia, stesso periodo, c’erano 57,5 mila professori et similia e un numero di occupati pari a 26,4 milioni, che fa un rapporto di 0,21 e non 0,26 come riportato nella tabella. Solo il ricalcolo per i ricercatori italiani, porta la quota dei ricercatori accademici italiani a metà classifica di quella tabella. Ricalcolando anche per gli altri paesi, ad esempio Francia, Germania e UK, l’Italia finisce quasi in testa. I dati originari sono facilmente reperibili anche per gli altri paesi. Quella tabella non è accurata e descrive la realtà in modo fuorviante.

    • Di minimo bisogna fare i calcoli in termini di “full-time equivalent”. Un professore universitario vale meno del 100% di un ricercatore a tempo pieno perché una percentuale del suo tempo viene contata come didattica. Poi, c’è il problema delle posizioni a tempo determinato che in alcuni paesi potrebbero essere percentualmente rilevanti. Se per l’Italia si considerano solo gli strutturati, i conti sembrano tornare. I dati OCSE non saranno la verità assoluta, ma non sono nemmeno tirati a caso.

    • L’osservazione sulla didattica vale per tutti i paesi. Per quanto riguarda quelli part-time l’Italia ne conta molto pochi. Il 93% dei professori ordinari e associati e il 95% dei ricercatori è a tempo pieno, cioè percepisce stipendio pieno. Per altri paesi il rapporto è molto inferiore. Ad esempio in UK il rapporto è del 65% . Infine i dati non sono OCSE, i dati sono elaborati in qualche modo da due ricercatori del Ceris – Istituto di ricerca sull’impresa e sullo sviluppo del CNR. Il modo con cui sono stati elaborati non sono riportati nella pubblicazione originaria da cui è tratta la tabella né in quelle successive che aggiornano la stessa tabella. Una semplice verifica per l’Italia, la Francia, UK e Finlandia mostrano qualche incongruenza, magari spiegabile in qualche modo.

    • Per gli strutturati, non mi riferisco al part-time, ma al fatto che l’OCSE distingue l’attività di ricerca da quella didattica. Riporto un estratto di un documento tratto dal MIUR dove una “Nota metodologica” spiega che “mediamente la quota del tempo dedicato alla ricerca è del 56,8%, sia per i docenti che per il restante personale”. Lovecchio osserva che il numero dovrebbe essere 0,27 e non 0,15 come nel grafico riportato da CERIS-CNR. Ebbene, sembra che i conti tornino: 0,27 * 56,8/100= 0,15.


      http://archivio.pubblica.istruzione.it/mpi/pubblicazioni/2005/cifre_uni01.pdf

    • La “massa critica” di un sistema della ricerca non si basa solo sui ricercatori dell’università, ma anche su EPR e settore privato. Un interessante grafico che mette bene in luce la debolezza italiana si trova qui
      http://s1.lemde.fr/image/2012/11/23/534×0/1795162_5_3f79_infographie-le-monde_6ebc52f761b658bedce543dc80639ae7.jpg

      ____________________________
      Comunque ho rifatto i conti del confronto Italia-Francia per “accademici/occupati” con i dati eurostat 2010 per gli accademici (e riciclando i numeri di Lovecchio per gli occupati, anche se fuori sincrono) e con 68.7 kFTE per la Francia e 43.5 kFTE per l’Italia si ottiene 0.26 per la francia e 0.19 per l’Italia. Se accetto che la quota di tempi pieni italiani sia non inferiore a quella di altri paesi (difficile andare oltre il 95% indicato da Lovecchio) in termini di persone effettivamente coinvolte il divario puo’ essere anche maggiore di così, avvicinandosi ancora di più ai numeri riportati da De Nicolao.

      Ora, è vero che anche l’Eurostat puo’ sbagliare, ma in quelle tabelle è condensato tutto uno sforzo abbastanza complesso di armonizzazione dei dati, che ovviamente prendendo due numeri “facilmente reperibili” e facendo una divisione si perde, un po’ come se uno volesse controllare se un calibro ventesimale misura correttamente ripetendo le misure col metro da sarto… In poche parole la sua conclusione che “la tabella non sia accurata e descriva una realtà fuorviante” è un po’ azzardata senza controlli più approfonditi.
      I dati Eurostat li ho presi qui per il personale
      http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/R_%26_D_personnel

      connesse ci sono anche interesanti tabelle sul tema dei fondi R&D. Tra l’altro, anche i fondi normalizzati francesi per la higher education sono più alti di quelli italiani, e mi stupirei se questo non si traducesse in più personale.

    • Il mistero si infittisce.
      Ok, grazie per i dati eurostat. I dati eurostat sono più affidabili di quanto sto per scrivere ma presentano incongruenze con i dati grezzi forniti dalle varie autorità nazionali. In particolare, l’eurostat stima FTE di ricercatori in higher education più alti degli effettivi in HE nel caso francese e britannico, mentre sembrano congruenti nel caso finlandese. Come è possibile?

      Nel 2008 secondo dati di fonte ministeriale francese, il numero di professori e ricercatori era di 57690 unità, se si aggiungono i lettori e i docenti a contratto si arriva a 91350 unità (il numero non è lontano da quello italiano se si considerano i docenti a contratto in italia, ma pare siano da escludere in toto). Eurostat riporta una stima di ricercatori universitari in FTE più alto di quelli a ruolo, 68897, pari cioè al 119% di quelil a ruolo e del 75% di tutti, lettori inclusi. Se la quota di tempo dedicato alla didattica è simile all’Italia avremmo dovuto avere un numero di molto inferiore a 69000. Anche se si applicasse la quota attività di ricerca del 56,8% ai 91 mila incluso lettori e contrattisti si avrebbe un numero di 51 mila FTE e non quasi 69000.
      http://media.enseignementsup-recherche.gouv.fr/file/statistiques/44/4/NI0924_128537_130444.pdf

      Provo con un altro paese. La Finlandia, sono pochi e si conoscono tutti. Nei politecnici ci sono circa 6200 “full-time teachers” mentre nelle università ci sono 16 mila “teaching and research staff” che dovrebbero fare in totale 22200 unità. Il dato eurostat per il 2008 è 11849. Come atteso sono di meno rispetto al numero grezzo. Totale occupati 2554000 (fonte ocse forze lavoro 2008).
      dati su università e politecnici finlandesi
      http://www.minedu.fi/export/sites/default/OPM/Julkaisut/2009/liitteet/opm51.pdf

      In UK, nel 2008/2009 ci sono 117465 “academic staff” full time, e 61575 part time, che in totale fa 179040 unità. di questi full-time research 33170, e part-timer research 6745 per un totale di 39915 unità dedicate solo alla ricerca, mentre sono classificati”teaching & research” 75110 full-timers e 17025 part-timers, per un totale di 92135 unità. Quindi in tutto, incluso part-timers e teaching and research (quindi escludendo quelli solo teaching), si ha come risultato 132050 unità grezze. L’eurostat ne conta 152551 nel 2008, cioè il 115% del numero grezzo inclusivo dei part-timers. Credibile? Come per la Francia il dato è anomalo, cioé fanno più ricerca dei FTE disponibili. (Totale occupati 29448000 fonte ocse forze lavoro 2008)
      Dati su università uk
      http://www.hesa.ac.uk/index.php?option=com_content&task=view&id=1940&Itemid=161

      I dati eurostat sono qui http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/refreshTableAction.do?tab=table&plugin=1&pcode=tsc00004&language=en

    • Il coefficiente 56,8% è una stima che vale per l’Italia e non mi risulta che si estenda ad altre nazioni. Da quanto è dato capire, la stima dei ricercatori FTE (Full-Time-Equivalent) dovrebbe tener conto dei diversi contesti, variabili da nazione a nazione. Mettersi a riscrivere le statistiche OCSE senza conoscere i dettagli dei calcoli da cui originano può essere scivoloso. Ci aveva provato Perotti con la spesa media per studente, ottenendo risultati parecchio discutibili (https://www.roars.it/universita-cio-che-bisin-e-de-nicola-non-sanno-o-fingono-di-non-sapere/). Tornando alla questione della valutazione dei ricercatori equivalenti a tempo pieno, ecco qualche dettaglio sulla procedura adottata in Italia:
      “La stima dell’attività di ricerca accademica viene elaborata dall’ISTAT. A partire dal 2001 è stata utilizzata una nuova metodologia che si basa sui dati di bilancio annuale delle università, rilevati dallo stesso istituto, e sulla quota del tempo di lavoro del personale docente e non docente dedicato alla ricerca. Quest’ultima informazione, seguendo le indicazioni internazionali, viene desunta da un’apposita indagine condotta su un campione di docenti universitari delle diverse aree disciplinari. In base alla rilevazione, la quota del tempo dedicato alla ricerca da parte dei docenti varia, a seconda delle discipline, tra il 30% e l’80% e risulta essere in media il 56,8% del totale del loro tempo di lavoro.”
      http://archivio.pubblica.istruzione.it/mpi/pubblicazioni/2005/cifre_uni01.pdf

    • In breve, in Italia i professori e ricercatori di ruolo nel 2008 erano circa 62 mila, in Francia meno di 58 mila. Se si includono quelli non di ruolo (lettori e prof a contratto), in Italia si sale a 105 mila e in Francia a 91 mila. Quindi nelle statistiche ufficiali nazionali gli italiani sono di più dei francesi ma nelle statistiche eurostat sono circa il 40% in meno, cioè 40 mila in Italia e 69 mila in Francia. La prima interpretazione quindi non è che non ci sono risorse finanziarie e umane per la ricerca, ma che si dedica meno tempo.

      I dati 2008 sui docenti di ruolo e non di ruolo tav 14.1 : http://statistica.miur.it/Data/uic2009_2010/capitolo_1.pdf

    • Francesco Lovecchio: “in Italia i professori e ricercatori di ruolo nel 2008 erano circa 62 mila, in Francia meno di 58 mila. Se si includono quelli non di ruolo (lettori e prof a contratto), in Italia si sale a 105 mila e in Francia a 91 mila. Quindi nelle statistiche ufficiali nazionali gli italiani sono di più dei francesi”
      _________________________
      Attenzione: è noto che le statistiche OCSE francesi dell’Higher Education (HE) includono anche il CNRS mentre in Italia il CNR rientra nella categoria GOV (http://www.oecd.org/science/inno/49501885.pdf). Per riequilibrare questa discrepanza, si può esaminare la somma di ricercatori HE (verde) e GOV (rosso), un dato reperibile nella Figura 2.4 della Terza Parte del Rapporto Finale VQR dell’ANVUR (http://www.anvur.org/rapporto/files/VQR2004-2010_RapportoFinale_parteterza_ConfrontiInternazionali.pdf). Come si può vedere, l’Italia rimane dietro UK, Germania, Francia, Giappone:
      _________________________
      % RICERCATORI PER SETTORE RISPETTO ALLA FORZA LAVORO


      =========================
      Francesco Lovecchio: “non è che non ci sono risorse finanziarie”
      _________________________
      L’investimento R&D italiano è desumibile dalla Figura 2.5 (ibidem):


      _________________________
      Se si restringe l’attenzione al settore Higher Education , l’Italia continua a rimanere al di sotto delle principali nazioni europee:
      (http://www.keepeek.com/Digital-Asset-Management/oecd/science-and-technology/main-science-and-technology-indicators-volume-2012-issue-1/higher-education-expenditure-on-r-amp-d-herd-as-a-percentage-of-gdp_msti-v2012-1-table46-en)


      _________________________
      La spesa per Higher Education nel suo complesso è reperibile nella Chart B2.3 di Education at a Glance 2013 (http://www.oecd.org/edu/eag.htm):

    • non ho più dati da aggiungere tranne osservazioni.

      1. Se “le statistiche OCSE francesi dell’Higher Education (HE) includono anche il CNRS mentre in Italia il CNR rientra nella categoria GOV” allora vorrebbe dire che si stanno confrontando mele con pere e sarebbe una cosa limitata. Però ciò pare vero pure per UK.

      2. Il numero di potenziali ricercatori universitari è lo stesso nei due paesi, ma gli italiani dichiarano di fare ricerca il 50% del loro tempo mentre i francesi il 100%. (a meno che non si assuma un ricercatore francese = 2 FTE italiani)

      3. Tutte le tabelle postate nell’ultimo commento sono derivate da quella che calcola gli FTE precedenti, che sono il bersaglio di questa discussione.

      In definitiva, il numero di soldati è simile nei due paesi, come i ricercatori si ripartiscono il tempo è il dilemma.

    • Francesco Lovecchio: “gli italiani dichiarano di fare ricerca il 50% del loro tempo mentre i francesi il 100%. (a meno che non si assuma un ricercatore francese = 2 FTE italiani)”
      ______________________________
      Per quanto la stessa OCSE riconosca differenze tra una nazione e l’altra nei dettagli del calcolo dei ricercatori FTE, non è realistico pensare che una nazione trasformi direttamente l’headcount in FTE con un rapporto 1:1. Infatti, le statistiche OCSE di cui stiamo parlando trovano la loro definizione tecnica nel Manuale di Frascati (http://tinyurl.com/qzray4e) che al riguardo scrive a pag. 99:
      “5.3.3. Full-time equivalence (FTE) data
      Reasons for the approach
      331. While data series measuring the number of R&D staff, and notably researchers, have many important uses, they are not a substitute for a series based on the number of full-time equivalent staff. The latter is a true measure of the volume of R&D and must be maintained by all member countries for international comparisons.”
      ==============================
      Francesco Lovecchio: “In definitiva, il numero di soldati è simile nei due paesi”
      ______________________________
      A meno che non si attribuisca ai francesi una violazione clamorosa delle linee guida del Manuale di Frascati (se ce ne fosse evidenza penso che ci sia spazio per un articolo su una rivista scientometrica di buon livello), il principale scoglio per la comparabilità ITA-FRA è l’inclusione del CNRS francese sotto il comparto Higher Education (HE) e del CNR italiano in quello GOV. Una difficoltà che si può tentare di superare esaminando il dato aggregato dei ricercatori HE+GOV, desumibile per esempio dalla Terza Parte del Rapporto Finale VQR (http://www.anvur.org/rapporto/files/VQR2004-2010_RapportoFinale_parteterza_ConfrontiInternazionali.pdf), la cui Figura 2.4 riporto ancora una volta per comodità di chi legge. In base ai dati OCSE, la percentuale di ricercatori HE+GOV rispetto alla forza lavoro è 1,8 + 1,1 = 2,9 (FR) contro 1,5 + 0,6 = 2,1 (ITA).
      _________________________
      % RICERCATORI PER SETTORE RISPETTO ALLA FORZA LAVORO

  3. Se si vuole discutere seriamente, prima di decidere che i dati OCSE e le elaborazioni CERIS-CNR sono sbagliati o capziosi si controllano le fonti e si mostra l’origine dell’errore (per parte mia presumo che la definizione di “personale ricercatore delle università” non significhi “numero dei professori di ruolo”, ma la cosa andrebbe comunque controllata).
    Se invece si vuole dimostrare a tutti i costi che l’universita’ pubblica italiana fa schifo (iscriviamoci tutti alla Bocconi, così diventiamo bravi e salviamo il Paese, come Monti!), allora qualunque argomento va bene. Poi voglio vedere che cosa resta della cultura in questo Paese, il giorno che che l’università pubblica chiude (e di questo passo ci arriviamo presto, non fosse altro che per motivi anagrafici).

  4. Comunque, tra i paesi più ‘grossi’ siamo senz’altro gli ultimi – e questo è inviariabilmente così per tutti i bandi ERC. Possiamo normalizzare tutto ciò che vogliamo, ma alla fine della fiera ciò che conta è che di soldi per ricerca ne rientrano pochissimi in Italia. Siamo finanziatori netti di paesi ‘più bravi’, questa è la realtà.

    • L’investimento è proporzionale al PIL e il rendimento è proporzionale al numero di ricercatori. Il PIL è dello stesso ordine di grandezza di quello di altri paesi, il numero di ricercatori è 1/2 o anche 1/3.

  5. Eccone un altro. Ma ci vuole così tanto a capire che di sodi per la ricerca ne entrano in proporzione a quanti se ne investono? E che questo è esattamente lo stesso motivo per cui l’industria italiana è in declino?

  6. Permettetemi di suggerire un altro indicatore, la percentuale di successo.

    A livello europeo la percentuale di successo è pari all’11,8%. E’ possibile sapere la percentuale di successo delle singole nazioni? (Nei file non c’è scritto il numero totale di domande per ciascun paese.)

    A me sembra questo l’unico dato oggettivo. Non dipende dalla grandezza del paese, o dal numero di ricercatori, o dai finanziamenti, ma misura solo, in percentuale, quanti ricercatori sono degni di finanziamento.

    Non capisco poi il legame fra successo negli ERC e finanziamenti pubblici. “Di soldi per la ricerca ne entrano in proporzione a quanti se ne investono”. E perchè?

    Per gli ERC questo sicuramente non è vero. La probabilità di un ricercatore di ottenere un grant dipende solo dalla sua bravura, non da quanti soldi ha avuto in precedenza. Anzi: gli ERC esistono proprio per supplire la mancanza di fondi statali.

    Il motivo per cui gli UK ottengono molti grant è piuttosto culturale: sin dall’inizio del dottorato, gli studenti vengono “addestrati” a chiedere fondi. Vincono perchè sanno come si scrive un progetto.

    Al contrario, pochi in Italia sono abituati a scrivere progetti di ricerca. Ho letto molti progetti di ricerca, e posso dire che molti non capiscono la differenza fra un progetto e un articolo (o un saggio, o un capitolo di libro). Non basta avere una buona idea, ma bisogna anche saperla vendere.

    Poi può non piacere questa “mercificazione” della cultura, ma questa è un’altra storia.

    P.S. in tutto questo discorso, sarebbe utile conoscere la percentuale di successo dei ricercatori italiani, per capire se davvero è peggiore di quella ad esempio UK o francese (a intuito penso di sì, ma sarebbe bello avere dati oggettivi).

    • Non sono d’accordo che gli ERC ci siano per supplire alla carenza di fondi statali. Sono invece concepiti per dare a ristretti gruppi di elevatissima qualità pe una spinta e un margine di manovra superiore, nell’ottica di raggiungere qualche risultato fortemente innovativo. Ma innestati su un livello di finanziamento diffuso, interno, di portata molto maggiore che in Italia è la metà di quello che dovrebbe essere (Eurostat). E non solo per la carenza del soggetto privato: anche i fondi pubblici sono scarsi, non solo rispetto a paesi come Francia e Germania, dove lo stato conta abbastanza, ma anche rispetto a paesi più basati sull’iniziativa privata come USA e UK, dove comunque la quota di finanziamenti da fonte pubblica normalizzata al pil è superiore alla nostra (sempre Eurostat). In generale, tutti i fondi europei non possono essere concepiti come surrogato dei fondi dei singoli stati, per un semplice problema di quantità: se i 1800 MLD di PIL italiano sono il 13% del totale europeo, la media europea di finanziamento della ricerca è il 2% e un terzo circa viene da fonte pubblica, questo ammonta a circa 100 MLD/anno, ossia 10 volte gli interi fondi FP7 (10MLD/anno), che quindi non possono che essere integrativi e non sostitutivi. L’idea di utilizzare i premiali come “tamponamento di falle” è purtroppo molto italica… L’esclusione dei fondi da fonte privata che ho fatto nel mio conto è per molti aspetti indebita (ultraconservativa, dal mio punto di vista): se li includo a fortiori abbiamo 10 MLD/anno da FP7 contro 300 MLD/anno…

  7. Per essere ancora più chiari:

    – sono certamente d’accordo che la produzione scientifica di un Paese è in qualche modo proporzionale ai soldi investiti in ricerca.

    – non sono d’accordo che “meno fondi pubblici nazionali = minore capacità di attrarre soldi privati/fondi internazionali”.

    • Caro Abbondanzio,
      Per quanto riguarda i finanziamenti ERC le posso garantire che il parametro “fondi di ricerca ottenuti” entra prepotentemente nella valutazione dei progetti e nella probabilità di successo. E’ anche comprensibile: perché dovrei assegnare un finanziamento di 2 milioni di euro a qualcuno che non ne ha mai gestiti neppure 100.000? Meno fondi di ricerca italiani= meno esperienza per gestire i finanziamenti. Inoltre, in alcuni campi la ricerca ha dei costi che non possono essere azzerati. Nella chimica ad esempio, ci sono dei costi minimi per tenere in piedi un laboratorio di ricerca sotto i quali si mette a rischio la sicurezza e la salute delle persone che lavorano in quel laboratorio. Lo stesso vale per altre scienze sperimentali. Ridurre i finanziamenti ordinari significa mettere in ginocchio i ricercatori che vogliono ancora lavorare.

    • Abbondanzio: “- non sono d’accordo che “meno fondi pubblici nazionali = minore capacità di attrarre soldi privati/fondi internazionali”.
      ===============
      I soldi servono anche per pagare gli stipendi dei ricercatori. Se non si mandano giocatori in campo, è difficile fare goal.

    • E’ un ragionamento condivisibile, ma che c’entrano i fondi personali con il FFO. Vinciamo meno ERC perchè lo stato investe meno fondi in Univ. e Ricerca? Io credo di no.

      Vinciamo meno ERC perchè individualmente abbiamo meno esperienza nella gestione di fondi di ricerca? Può darsi ma è un circolo viziosi (vince meno grant chi vince meno grant).

  8. Un’ultima considerazione. In termini assoluti, i numeri sono piuttosto piccoli ed è difficile considerarli statisticamente significativi.

    Cioè: possiamo davvero usare un campione di 18 scienziati italiani (vincitori di ERC) per esprimere un giudizio (positivo o negativo) sul lavodo di 60.000 strutturati più altrettanti ricercatori precari?

    (Sì, lo so! Dove avrei letto nell’articolo che si tratta di un campione statisticamente significativo?! E l’articolo su Higgs era solo satira. Etc. etc.)

    • Ma non è che ogni problema si risolve nominando una commissione di saggi. (Io ancora devo capire in concreto cosa fa questa commissione ERC, quali sono i suoi compiti.)

      Poi attenzione, uno potrebbe pensare che proprio perchè andiamo meglio nelle materie umanistiche, è il momento di prestare più attenzione (e dare più finanziamenti) a quelle scientifiche. L’Italia mi sembra l’unico paese dove le humanities vincono più fondi delle scienze dure.

      Altra considerazione: può darsi che vinciamo pochi starting grants perchè i giovani ricercatori sono succubi dei loro maestri e non scientificamente indipendenti. Vinciamo un buon numero di advanced grants probabilmente perchè quei maestri, nonostante il comportamento baronale, conoscono la loro disciplina.

    • Leggendo certi commenti, mi sembra che l’università italiana sia fatta ad immagine e somiglianza di una fiaba dei fratelli Grimm. Al posto degli Orchi che tengono in gabbia i bambini ci sono i Baroni che coltivano allievi per succhiarne il sangue. Mi mancano le principesse mute, i loro fratelli tramutati in corvi e gli oggetti miracolosi. No, mi sbaglio, ci sono gli indicatori bibliometrici che permettono di riconoscere i principi azzurri dalle streghe travestite da vecchiette con ceste di mele (avvelenate).

  9. L’obiezione che il dato non è statisticamente rilevante è superata dal fatto che il pattern di quest’anno è lo stesso di tutti gli anni precedenti. E non c’e’ dubbio che la percentuale di successo degli italiani sia molto bassa, nessuno contesta questo dato. Ciò che occorre capire bene è il meccanismo macroeconomico, non quello microeconomico. Se abbiamo molti meno ricercatori, in rapporto alla popolazione e al PIL, rispetto agli altri Paesi, non basta che facciano domanda in tanti per avere una buona percentuale di successo, perchè il numero dei ricercatori “capaci di scrivere un progetto vincente” non è una frazione della popolazione, ma (all’incirca) una frazione del numero totale dei ricercatori. Il modello dei “pochi ma buoni” secondo il quale non occorrono tanti ricercatori, ma basta prendere solo i migliori, funziona nel mondo dei sogni, ma non ha alcun riscontro statistico. Se si vuole molta buona ricerca bisogna avere molti ricercatori, e incrociare le dita: così funziona il mondo, non solo l’Italia, e non è questione di nepotismo accademico, di concorsi truccati o di altre spiegazioni care ai nostri giornalisti, ma di semplice calcolo delle probabilità.

  10. E comunque, come ha già osservato anche qualcun altro, senza soldi per gli strumenti, i libri, i viaggi, etc non si fa buona ricerca in quasi nessun campo (forse in matematica, e infatti è una delle nostre eccellenze), e chi non è in grado di fare ricerca competitiva non è neanche in grado di scrivere progetti competitivi.
    Segnalo, per chi non ci avesse fatto caso, che la somma dei finanziamenti proposti dai referees PRIN per i progetti approvati al termine di una TRIPLA selezione ammontava a oltre 300 Meuro, a fronte dei 38 stanziati. Quei progetti erano la PREMESSA per arrivare a formulare buoni progetti europei, non è che si possono saltare le fasi d’incubazione. Ma quei progetti non saranno finanziati, e così al prossimo bando europeo probabilmente andrà anche peggio.

    • Chiedo scusa, ma, riguardo alla Matematica, quante medaglie Fields abbiamo di ricercatori che lavorano in Italia?

  11. Il problema e’ che noi italiani siamo abituati a dire la verita’ e non a “spararla grossa” come fanno spesso quelli nei paesi nordici.

    Li appunto sono abituati a “spararla grossa” fin da piccoli. E nessuno li rimprovera, anzi. Hanno costruito degli imperi in questo modo…

    Ai progetti di tedesci e austriaci ci credo, a quelli di inglesi, olandesi ed altri molto molto meno. Va beh, mi sono scoperto: sono austro-ungarico dentro.

    • In altri termini: non siamo abituati a proporre progetti che SEMBRINO (non che sono, che SEMBRINO) innovativi. Perche’ per farlo bisogna sostanzialmente un po’ barare.

      Consiglio di scrivere i progetti ERC tra uno SPRITZ e l’altro.
      (SPRITZ=”versione veneta delle sostanze che usano in Olanda e UK”).

  12. Caro Paolo, ad essere proprio corretti il ricercatore straniero che viene in Italia lo fa presso una istituzione che italiana non è. Si tratta dell’EUI di Fiesola (www.eui.eu), una sorta di CERN delle scienze sociali, economiche, storiche e giuridiche. Contarlo come “Italia” sarebbe come attribuire alla Svizzera gli articoli del CERN (qualcuno lo fa ma ovviamente noi sappiamo come stanno le cose…).
    Peccato. nella realta’ l’Italia e’ a zero.

  13. Io ribadirei il dato rilevato da MarcoBella: “In ogni caso,nonostante i risultati non esaltanti, considerando che l’AD-grant è in media di circa 2.3 milioni di Euro, abbiamo che il finanziamento alla ricerca Italiana da parte dell’ERC-AdG è di circa 40 milioni di Euro, di più che il PRIN 2012 per TUTTA l’università Italiana (39 milioni di Euro). ”
    Questo dato, assieme a quelli sui tagli all’universita’ e ad altre istituzioni, fornisce – al di la di ogni normalizzazione – la misura della tragedia della ricerca scientifica in Italia. Qualsiasi altra considerazione diviene un dettaglio.

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