Com’è noto, la polemica sul decreto ministeriale di ripartizione dei punti organico alle Università, che vede alcuni Atenei particolarmente avvantaggiati, ed altri, in prevalenza meridionali, molto sfavoriti, è nata a seguito di un articolo, apparso su questo sito, di un ricercatore di matematica. La replica del Ministero non si è fatta attendere, anche con un’intervista -sul Mattino di venerdì scorso- del Ministro in persona, alla quale hanno fatto eco un’intervista dell’on. Boccia, sulla Gazzetta del giorno dopo e, soprattutto, un lungo intervento di Mancini, sempre su questo sito. La replica conforme, del Ministro, dell’Onorevole e del Capo Dipartimento, si basa su argomenti squisitamente giuridici. Allora, però, quale ricercatore di area giuridica, ritengo di poter provare a replicare a mia volta, mantenendomi sul piano strettamente tecnico-giuridico.

In sintesi, secondo la tesi ministeriale, la Carrozza non avrebbe operato alcuna scelta, avendo avuto le mani legate dalla normativa vigente, che era stata prevista dal precedente governo Monti. La Carrozza, quindi, si sarebbe limitata ad applicare i criteri di legge, senza alcun margine di discrezionalità. Invece, io ritengo che la Carrozza abbia applicato, al decreto del 2013, dei criteri restrittivi che, per legge (art. 7 del d.lgs. n. 49/12), espressamente dovevano applicarsi solo al 2012. Sempre secondo la stessa legge, poi, i nuovi criteri restrittivi, valevoli per i successivi tre anni, dovevano essere previsti, su proposta del Ministro dell’Università, con decreto del Presidente del Consiglio. Ma non risulta che la Carrozza abbia avanzato alcuna proposta in merito e, di fatto, non esiste tale decreto di ridefinizione, per il triennio successivo al 2012, dei criteri restrittivi.

In pratica, il Ministro ha esteso analogicamente, al 2013, i criteri del 2012. Secondo me, però, ciò non sarebbe possibile, appunto perché si tratta di restrizioni, ovverosia di eccezioni alla regola generale, di possibilità di utilizzazione piena, per ogni ente, del proprio turnover: possibilità che può pure essere compressa per legge, ma che, se il limite legale (necessariamente temporaneo) viene meno, elasticamente si riespande. Tuttavia, sempre per legge (art. 14 delle c.d. preleggi), le norme che stabiliscono un’eccezione alla regola generale, come appunto quella che prevede i criteri restrittivi applicati, non si possono estendere analogicamente e, quindi, non si applicano oltre i casi, e i tempi, in esse espressamente considerati.

Si è molto discusso, inoltre, anche sulla cosiddetta clausola di salvaguardia, del non oltre il 50% del turnover, applicata nel 2012 da Profumo, ma non nel 2013 dalla Carrozza. A mio avviso, invece, si tratta di una questione che proprio non si sarebbe dovuta porre. Comunque sia, Mancini, nell’articolo succitato, ha sostenuto che, nel 2012, Profumo doveva applicare tale limite del 50% del turnover, mentre, nel 2013, la Carrozza non doveva. Per quanto mi riguarda, Mancini si sbaglia, perché interpreta come rinvio mobile quello che invece, per com’è scritto, in tutta evidenza sarebbe un rinvio fisso, ovverosia un rinvio ad una specifica disposizione, e non ad una fonte normativa, con ininfluenza conseguente delle successive modifiche legislative. Ciò significa che, anche se la disposizione che prevedeva il limite del 50% (art. 66, co. 13, del decreto Tremonti) era stata poi modificata –ma, a dire il vero, era stata modificata già al tempo del decreto di ripartizione di Profumo- doveva ugualmente essere utilizzata nella sua formulazione originaria, in sede di applicazione di disposizioni che ad essa rinviavano in modo fisso: proprio come fatto da Profumo.

Mancini sostiene poi che, a seguito del decreto Monti sulla spending review, non vi era più bisogno del decreto del Presidente del Consiglio, per la determinazione dei nuovi criteri restrittivi, ma si dovevano applicare quelli del 2012. Sinceramente, l’argomento mi ha stupito. Infatti, al proposito di tali criteri, il decreto Monti sulla spending review si limita a ribadire che bisogna comunque tenere conto di quanto stabilito dal citato art. 7, che appunto prevedeva criteri espressi per il 2012, e stabiliva che, per gli anni successivi, dovessero esserne previsti di nuovi con decreto del Presidente del Consiglio (su proposta del Ministro). Sostenere che ciò possa comportare la non necessità, per il 2013 e per il futuro, di prevedere le nuove restrizioni di cui a tale art. 7, e invece, allo stesso tempo, la necessità di continuare ad applicare (indefinitamente?) le vecchie e, soprattutto, temporanee, restrizioni previste dal medesimo art. 7 per il solo 2012, è qualcosa che, nonostante la citazione dei lavori parlamentari utilizzata per l’occasione da Mancini, mi sembra intimamente contraddittorio e privo di un qualsivoglia aggancio normativo.

In ogni caso, il punto non sarebbe quello della c.d. clausola di salvaguardia, ma che la Carrozza, da un lato, avrebbe scelto di non fare ciò che forse avrebbe dovuto fare, ovverosia proporre dei nuovi criteri restrittivi e, dall’altro, avrebbe scelto di fare quanto probabilmente non avrebbe dovuto fare, cioè estendere analogicamente delle restrizioni, previste limitatamente al 2012, oltre i tempi di legge.

In questo modo, inoltre, replicando nel 2013 i criteri valevoli per il solo 2012 (per giunta senza la clausola di salvaguardia), invece di proporne di nuovi, la Carrozza avrebbe deciso autonomamente, senza passare dal vaglio della Presidenza del Consiglio, alla quale, per legge, sarebbe spettata l’ultima parola sulle nuove restrizioni. Quindi, anche se la Carrozza si fosse attenuta alla clausola del non più del 50% del turnover, secondo me avrebbe ugualmente sbagliato, se pur con effetti meno eclatanti, perché l’errore starebbe molto più a monte.

Siccome, però, a tale clausola non si è attenuta, si potrebbe sostenere che la Carrozza avrebbe operato pure una terza scelta controversa, interpretando un rinvio evidentemente fisso, ad una disposizione del decreto Tremonti, come mobile, e quindi sensibile alle successive intervenute modifiche della disposizione in questione: modifiche che però erano già intervenute al tempo del decreto di ripartizione di Profumo, senza che quest’ultimo –a ragione- ne avesse tenuto conto.

I risultati di queste tre ipotizzate scelte, a mio avviso sbagliate? L’enorme divario tra Atenei che godranno di un turnover fin oltre il 200%, e quelli penalizzati, con un turnover inferiore al 7%.: tutti Atenei che, secondo me, potrebbero vittoriosamente impugnare il decreto dinanzi all’Autorità giudiziaria amministrativa.

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13 Commenti

  1. Vito, proporrei le seguenti considerazioni:
    – la legislazione sui limiti assunzionali delle università è scritta coi piedi, tanto è vero che dopo essermi riletto più volte i testi non nego una certa confusione mentale;
    – la responsabilità politica di tutto ciò è dei governi, che legiferano tramite DL scritti in modo affrettato ed impreciso, senza la dovuta attenzione al coordinamento con quanto già previsto (come il caso in questione ben dimostra) anche solo poco tempo prima;
    – dietro questo difetto di tecnica vi è talvolta, sospetto, un (inconfessabile) retropensiero: se le norme sono illegiibili, il Ministero può sempre interpretarle come preferisce, sostituendo la sua volontà a quella del legislatore;
    – ciò detto io non trovo affatto la interpretazione ministeriale insostenibile, ma semplicemente non del tutto pacifica, vista la obiettiva incertezza del dato legislativo;
    – venendo al dettaglio dei tuoi argomenti, mi sfugge perché sostieni che oggi, 2013, non sarebbero legittimamente vigenti limiti assunzionali per le università: l’art. 66, comma 13 bis, del dl 111/2008 non ne stabilisce forse uno (20%) per l’intero sistema universitario, da applicare poi tramite DM alle singole università? (Per il biennio 2012-2013 il sistema delle università statali, può procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al venti per cento di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente. La predetta facoltà è fissata nella misura del cinquanta per cento per gli anni 2014 e 2015 e del cento per cento a decorrere dall’anno 2016. L’attribuzione a ciascuna università del contingente delle assunzioni di cui ai periodi precedenti è effettuata con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 7 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49. Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca procede annualmente al monitoraggio delle assunzioni effettuate comunicandone gli esiti al Ministero dell’economia e delle finanze. Al fine di completarne l’istituzione delle attività, sino al 31 dicembre 2014, le disposizioni precedenti non si applicano agli istituti ad ordinamento speciale, di cui ai decreti del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 8 luglio 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 2 agosto 2005, 18 novembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2005, e 18 novembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 280 del 1° dicembre 2005).
    – non mi convince nemmeno la tesi per cui il rinvio all’art. 7 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49 implicherebbe, se ben capisco, anche un necessario rinvio alla necessità di un DPCM (invece che, esclusivamente, ai criteri di cui all’art. 7, comma 1). Mi pare ben ragionevole, invece, ipotizzare che la necessità del DPCM sia stata abrogata, per incompatibilità (ossia tacitamenete) dal successivo intervento legsilativo del 2013, che ha introdotto il comma 13 bis cit. Se non fosse così, del resto, sarebbe stato lo stesso comma 13 bis a dover (per chiarezza) ribadire la concorrenza di competenze tra Presidenza del Conisglio e MIUR, mentre esso menziona il solo MIUR.

    In conclusione, la tesi ministeriale mi pare ragionevole, per quanto non al 100% sicura, visto che quando si legifera male, la certezza assoluta è, per definizione, preclusa.

    In effetti,se questa polemica avrà un’utilità, secondo me sarà quella di indurre il MIUR (e gli altri Ministeri) a far funzionare meglio i propri uffici legislativi: quando esiste un’opinione pubblica vigile ed intelligente, capace di contestare anche le scelte guiridiche dei Ministeri, l’incertezza non è più un vantagaggio (i.e., l’occasione per normare arbitrariamente per circolari e DM), ma diventa un profilo di debolezza, che espone a critiche.

    Quanto alla clausola di salvaguardia a favore delle università che in passato hanno assunto di più e tengono le tasse universitarie più basse, senza entrare nel merito della questione, noto che di essa non v’è traccia nelle fonti legsilative: la sua eventuale introduzione da parte del MIUR lo avrebbe quindi facilmente esposto a ricorsi da parte delle università in ipotesi da essa sfavorite. Mi pare quidni che non abbia tutti i torti la ministra a dire che la resposnabilità della sua eventuale (re)introduzione spetterebbe al parlamento in sede legsilativa, non potendosi pretendere, sul punto, un (arbitrario) intervento ministeriale.

  2. Caro Teo,
    mi spiace, ma non riesco ad essere d’accordo con te. Anzi, a me pare che la vicenda in oggetto dimostri che non c’è questione (anche giuridica) tanto semplice, da non poter essere complicata, ed allungata –le due cose, del resto, rappresentano facce della stessa medaglia-, oltre misura.
    Innanzitutto, io non ho mai affermato che, per il 2013, non vige il vincolo del turnover al 20% su base nazionale: ovviamente esiste ma, altrettanto ovviamente, ciò non rileva in alcun modo in senso contrario a quanto da me sostenuto.
    Continua a sembrarmi intimamente contraddittorio, e del tutto privo di aggancio normativo, ritenere –come fatto da Mancini e, ora, anche da te- che una legge successiva abbia abrogato implicitamente l’articolo di una legge precedente, ma solo nella parte in cui tale articolo non è stato applicato (ovverosia nella parte in cui richiedeva un nuovo DPCM), e non anche nella sua prima parte, che invece è stata applicata addirittura analogicamente, ovverosia oltre i tempi ivi previsti, per giunta, a mio avviso, in violazione di legge (art. 14 delle preleggi), in quanto norma eccezionale /restrittiva.
    Come credo di aver ampiamente spiegato, a questo punto la questione di quella che è stata definita (non da me) la clausola di salvaguardia -ovverosia il vincolo del 50% su base di ogni singolo Ateneo, che era previsto dal decreto Tremonti- non rileva più di tanto, perché, nel caso in cui la mia interpretazione sia corretta, la doppia illegittimità per violazione di legge –l’una per azione e l’altra per omissione- sarebbe più a monte.
    Tuttavia, siccome sulla questione di tale clausola Mancini si è tanto dilungato, mi è sembrato opportuno far notate che, in caso di ultrattività di una norma –anche consentita, e non, come nella specie, secondo me vietata-, l’eventuale rinvio, contenuto nella norma che si applica nonostante non sia più in vigore, non può che essere considerato un rinvio fisso -e non, come fatto dal MIUR, mobile-; altrimenti si applica una norma “creata nel laboratorio dell’interprete”: cioè una norma che non solo, quando è stata applicata, non era più in vigore, ma che addirittura non è mai stata in vigore nell’ordinamento.
    A mio avviso, per altro, visto che in base a questa norma, che appunto sarebbe stata “creata nel laboratorio dell’interprete”, è stata poi imposta, con il dm di cui trattasi, una prestazione patrimoniale (cioè è stata imposta la rinuncia, a vari Atenei, ad una parte del proprio turnover), ciò comporterebbe anche una violazione dell’art. 23 della Costituzione.
    Poi è chiaro che si tratta di argomenti giuridici, per natura e definizione controvertibili, e non di dimostrazioni matematiche. Ma tutte le cause si fanno in base ad argomenti giuridici e non certo a dimostrazioni matematiche. Proprio in base agli argomenti illustrati, che mi sembrano piuttosto solidi, secondo me ci sarebbe ampio margine per ricorrere (è troppo sperare in un annullamento in via di autotutela da parte dello stesso Ministro?). E sia poi l’Autorità giudiziaria amministrativa a decidere se il dm è legittimo o meno.
    Vito Plantamura

  3. Caro Vito, adesso capisco meglio la tua posizione.

    Ma converrai con me che è fenomeno certo discutibile, ma del tutto frequente specie negli ultimi anni, quello della abrogazione tacita. Del resto, sono proprio le preleggi al Codice civile da Te citate a prevedere la abrogazione tacita come evento possibile (“Le leggi non sono abrogate (1) che da leggi posteriori per dichiarazione espressa (2) del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore “). A mio modesto avviso, la tua opinione esclude la ipotizzabilità nel caso di specie di un’abrogazione tacita della seconda parte dell’art. 7 senza un sufficiente sforzo argomentativo (mi sfugge, forse per miei limiti, quale sia la tua dimostrazione sul punto). E, sopratatutto, senza considerare che, se ben comprendo la tua posizione, dalla mancata abrogazione tacita deriverebbe un ostacolo insormontabile alla concreta applicabilità dell’intervento legsilativo del 2013 (o sbaglio?). Ma, se è così, mi pare del tutto realistico che tra due interpretaizoni astrattamente possibili (una tale da bloccare l’applicabilità di una legge; l’altra nel senso di un suo “effetto utile”) un qualunque giudice (sulla base di noti criteri ermeneutici) preferirebbe la seconda.

    Quanto all’art. 23 Cost. , esattamente la stessa obiezione potrebbe essere allora sollevata dall’università “virtuosa” che si veda limitare i punti organici in virtù di una clausola di riequilibrio-salvaguardia, in mancanza di un chiaro fondamento legsilativo di quest’ultima. Non mi pare, insomma, un argomento gran che conclusivo.

  4. Anche se non sono un addetto ai lavori e, come ho già detto, la questione mi sembra più “politica” che prettamente giuridico-burocratica come la vorrebbe invece mettere il MIUR, mi permetto di fare tre osservazioni:

    1. Anche supponendo per assurdo che si consideri il solo comma 1 dell’art. 7 del dlgs 49, e non anche il resto dell’articolo, nel medesimo comma 1 si specifica che quei criteri valgono “comunque limitatamente all’anno 2012”. Quindi il problema mi sembra sia sempre lì: la Carrozza avrebbe utilizzato per il 2013 dei criteri che la legge, anche nell’interpretazione che fornisce Mancini, limita solo al 2012.
    Un conto sarebbe stato se la mano che ha scritto la spending-review avrebbe scritto: “tenendo conto dei criteri di calcolo previsti nell’art.7 del dlgs 49/2012”. In tal caso l’interpretazione di estensione automatica di quei criteri anche al 2013 ci poteva stare. Ma la spending-review invece scrive: “tenendo conto di quanto stabilito dall’art. 7 del dlgs 49/2012”. Insomma, il legislatore vuole che teniamo conto di tutto quanto è stabilito (in tutto) l’art. 7… ivi compreso, quindi, i limiti temporali di quei criteri e il fatto che vadano aggiornati con DPCM.

    2. Sul tetto del 50%, c’è un aneddoto interessante. Il DM “Punti Organico 2013” è datato 9 Agosto. In esso, come tutti sappiamo, non vi è alcun tetto e ciò ha causato turn-over “stellari” al 213%. Ora, un giorno prima, l’8 Agosto, la stessa Ministra Carrozza firma un altro DM, quello della ripartizione dell’FFO 2013 (http://attiministeriali.miur.it/anno-2013/agosto/dm-08082013.aspx). Ebbene, in detto DM la Carrozza fissa, in applicazione della legge 1/2009, l’ammontare della “quota premiale” su ricerca e didattica. Nel fissarla (Art. 3), la Carrozza pone non uno, ma due tetti: a) “A ciascun ateneo non potrà comunque essere disposta una assegnazione del FFO superiore a quella dell’anno 2012”; b) “A ciascun ateneo dovrà comunque essere assicurata una assegnazione del FFO tale da ricondurre l’entità delle eventuali minori assegnazioni rispetto all’anno 2012 non superiore al – 5,0%”.
    Si tratta di due atti ministeriali perfettamente identici (Decreti Ministeriali applicativi di una legge). La legge nulla diceva su un eventuale tetto nel caso della quota premiale dell’FFO. Eppure comportamenti (a distanza di un solo giorno) diametralmente opposti!
    Insomma, quando si è trattato di assegnare fondi premiali riguardanti la valutazione di ricerca e didattica vediamo un tetto strettissimo (altro che 50%!); quando, il giorno dopo, si è trattato di assegnare le risorse per le assunzioni, basate su criteri tra le altre cose dipendenti anche dalle tasse fatte pagare agli studenti, nessun tetto. Qualcuno direbbe che è “la legge del merito”.

    3. A proposito di “tetti”, ve ne è un altro, troppo spesso dimenticato, che in questa vicenda torna alla ribalta. E’ il tetto alla tassazione studentesca. La legge lo fissava al 20% dell’FFO. Profumo, sempre nella spending-review, lo ha reso un po’ più blando (al numeratore ha aggiunto tutte le entrate statali) oltre che più difficile da monitorare (al denominatore ha escluso le tasse per i fuori corso). Ma è pur sempre rimasto. Ebbene, se nella tabella del famoso DM Carrozza andiamo a farci un po’ di calcoli vengono fuori cose “interessanti”… Prendiamo, per esempio, l’ateneo di Pisa: ha un rapporto tasse/FFO pari al 19%, quindi sicuramente rispetta il tetto sulle tasse, ed ha avuto un turn-over di poco superiore alla media (25%). Poi prendiamo, per esempio, l’ateneo di Bergamo, il quale ha beneficiato di un turn-over del l’81%, posizionandosi ai primi posti tra gli atenei “avvantaggiati”; ebbene a Bergamo il rapporto tasse/FFO arriva a ben il 47%!!! Non possiamo affermare che Bergamo abbia sicuramente superato il nuovo “tetto Profumo”, non avendo i dati sui fuori corso, ma, diciamo, ci sono buone probabilità che lo abbia sforato… Analogamente si potrebbero fare molti altri esempi (interessante è il confronto tra PoliTO – tasse 20%, turn-over 29% – e il PoliMI – tasse 31%, turn-over 73%).
    Pertanto non solo il MIUR non fa rispettare la legge che prevede il tetto alla tassazione studentesca, ma con il DM Carrozza “premia” gli atenei che violano la legge, concedendo loro risorse prelevate alle università che la legge l’hanno invece rispettata.
    Mi chiedo e vi chiedo se anche questo aspetto può essere un argomento da usare in sede giudiziaria contro il DM.

  5. Caro Teo, incoraggiato dal primo (aimè, solo parziale) successo, tento di spiegarmi ancora meglio.
    Io non ho mai negato, in astratto, la possibilità di un’abrogazione tacita. E’ un fenomeno frequentissimo, e forse mi fai un torto pretendendo che io non lo conosca. Tuttavia, se tu, o Mancini, o chiunque altro, volete sostenere che un articolo di legge è stato tacitamente abrogato, l’onere della prova dell’abrogazione tacita è tutto il vostro, e non è certo su di me che può gravare l’onere inverso, ovverosia della sua mancata abrogazione. Infatti, già da un punto di vista logico, non può fornirsi prova positiva di un fatto negativo. Dunque, logicamente e, di conseguenza, giuridicamente (art. 2697, co. 2, c.c.), l’onere della prova spetta a voi, e siete voi che, almeno a mio avviso, non l’avete adempiuto in alcun modo. Per di più, lo ribadisco, si tratterebbe di onere particolarmente gravoso, in quanto non bisognerebbe dimostrare l’avvenuta abrogazione di un intero articolo, ma solo della parte che si disapplica, e non della parte che si applica, addirittura estendendola analogicamente oltre i tempi ivi previsti.
    Per altro, dalla mancata abrogazione tacita della parte disapplicata dell’art. 7 in questione non deriva nessun “ostacolo insormontabile”, come da te sostenuto, ma solo la necessità di un DPCM, per imporre nuove restrizioni, oppure l’assenza di restrizioni ex art. 7 citato, in caso di mancanza di tale apposito DPCM.
    Il fondamento della clausola del non oltre il 50%, infine, è chiarissimo: è il decreto Tremonti nella sua originaria formulazione, non a caso utilizzato da Profuno nel 2012; altro che violazione dell’art. 23 della Costituzione! Violazione nella quale si incorre, invece, quando si applica una norma in maniera ultrattiva (criteri previsti per il solo 2012 applicati al 2013), senza farla interagire con la norma cui rinviava nella formulazione che aveva quando la norma, poi applicata “oltre i tempi”, era in vigore.
    Io sono un penalista e, per noi, l’ultrattività è qualcosa di abbastanza “normale”, nel caso di abrogatio sine abolitio, qualora la norma abrogata sia più favorevole al reo, rispetto a quella in vigore (art. 2, co. 4, c.p.). Solo che, ovviamente, la norma che si fa ultra-agire è, per così dire, “cristallizzata” al tempo in cui era in vigore: da qui l’esigenza di interpretare un eventuale rinvio ivi contenuto come fisso, e non mobile. Viceversa, se si fa interagire la norma abrogata con norme che, quando era in vigore, ancora non sussistevano, si crea una sorta di monstrum giuridico; non solo applicando una norma abrogata ma, addirittura, applicando una norma che, complessivamente considerata, non aveva mai avuto vigore, e risulta “creata nel laboratorio dell’interprete”.
    Ciò che maggiormente mi dispiace, però, è questo utilizzo, forse meritevole di una miglior causa, dell’indiscussa capacità argomentativa di Mancini, tua, e di chiunque altro. Innanzitutto, me ne dispiaccio per la mia (che poi è forse anche la tua?) materia, ovverosia il diritto, che così rischia di essere percepito all’esterno come qualcosa di astruso o, comunque, per soli addetti ai lavori. Mentre il diritto è logica, e la logica può seguirla chiunque, almeno se ciò che è semplice non viene complicato senza necessità.
    Insomma, non esiste una sorta di “giuridichese”, una lingua per soli “giuristi iniziati”, in cui “limitatamente al 2012” significa qualcosa di diverso da… “limitatamente al 2012”!
    Io non posso sapere se sei vicino, o meno, ad ambienti ministeriali, ma, se mai dovessi esserlo, perché non consigli al Ministro di procedere ad un annullamento in via di autotutela? Che ne dici? Forse –me ne rendo conto- non sarebbe un consiglio che, almeno in prima battuta, ti attirerebbe grandi simpatie, ma io credo che sarebbe davvero la cosa giusta da fare.
    Con viva cordialità.
    Vito

    • Vito, la mia impressione è che applichi criteri ermeneutici tipici del penalista e discendenti dalla stretta legalità ivi codificata ad una vicenda di diritto amministrativo, in cui le abrogazioni tacite sono all’ordine del giorno (anche se ovviamente sarebbe meglio, per certezza del diritto, che si procedesse per abrogazioni espresse).
      Anche una volta sviscerati e considerati tutti i tuoi complessi argomenti, rimango dell’idea che l’interpretazione ministeriale, per quanto opinabile, sia ragionevole e, soprattutto, facilmente difendibile in giudizio. Piaccia o no questa conclusione sul piano del merito, è del ben possibile pensare (come fa il MIUR) che nel 2013 il legislatore abbia semplicemente cambiato idea, richiamando i criteri dell’art. 7, ma non la relativa necessità del DPCM. Avrbebe fatto meglio, il legislatore del 2013, a dire espressamente che veniva abrogato l’art. 7, co. 2? sì, certamente, ma se uno si studia l’ordinamento univeristario scopre che esso è pieno di previsioni di legge non espressamente abrogate e che però nessuno si sogna di applicare, perché incompatibili con le successive (basta confrontare la legge del 1980 sulla docenza universitaria e, poi, la legge Gelmini). I giudci amministrativi, poi, conoscono perfettamente questo fenomeno e, sta sicuro, se possono difendono le scelte ministeriali.
      Fossi il Ministro (con cui non ho alcuna relazione) quindi pretenderei una scelta legsilativa prima di modificare il DM di ripartizione dei punti organico.

  6. Al di là delle questioni strettamente e tecnicamente giuridiche, l’analisi di Beniamino Cappelletti Montano mi pare estremamente lucida, in particolare riguardo al punto 3.

    “A proposito di “tetti”, ve ne è un altro, troppo spesso dimenticato, che in questa vicenda torna alla ribalta. E’ il tetto alla tassazione studentesca. La legge lo fissava al 20% dell’FFO. Profumo lo ha reso … più difficile da monitorare… Ma è pur sempre rimasto. ”

    Ora io mi chiedo, non sarebbe il caso di chiedere a gran voce trasparenza al riguardo? E, ovviamente, chiedere di ridimensionare i “guadagni” in punti organico delle eventuali università che non abbiano rispettato questo tetto fissato per legge? Petizioni? Interrogazioni parlamentari?

  7. Teo, i punti rimangono due:

    1. il MIUR può pensare quel che vuole, ma in un’eventuale sede giudiziaria amministrativa dovrebbe dimostrare –che è cosa affatto diversa- quale norma ha abrogato implicitamente l’art. 7 -ed anzi proprio e solo la seconda parte dell’art. 7-, perché e in che modo;

    2. anche se su l’abrogazione tacita della seconda parte dell’art. 7 avesse ragione il MIUR (ma non mi pare che nessuno abbia mai portato un argomento a conforto di tale tesi, e dire che uno l’ha pensata così –e, per altro, non si comprende bene perché mai l’ha pensata così- non è un argomento), ciò non cambierebbe assolutamente nulla, nel senso che spiegherebbe come mai non si è proceduto con un nuovo DPCM, ma non spiegherebbe come mai sono stati applicati, nel 2013, criteri sicuramente ed espressamente abrogati -in quanto previsti per il solo 2012-, invece di non applicare alcuna restrizione ulteriore oltre a quella, su base nazionale, del 20% del turnover.

    Tu hai ragione: il principio di stretta legalità (art. 25, co. 2, Cost.) è penalistico. Tuttavia, quello di legalità (non stretta) vale per l’imposizione di qualsiasi prestazione personale o patrimoniale (art. 23 Cost.); ma anche questo è un mero dettaglio, nel senso che ne ho riferito solo per spiegare la necessità che i rinvii siano interpretati come fissi, e non mobili, in caso di ultrattività, tanto più di norme impositive di prestazioni.

    Però, lo ribadisco, secondo me qui l’errore sarebbe molto più a monte, è consisterebbe proprio nell’ultrattività o, comunque, nell’estensione analogica oltre i tempi previsti, di una norma eccezionale, come quella di cui alla prima parte dell’art. 7, in violazione di legge: perché il divieto di analogia, se è costituzionalizzato solo in materia penale, ha pieno valore legale, non solo nei confronti delle norme penali, ma, allo stesso identico modo, riguardo a quelle eccezionali.

    A questo mio principale argomento, tuttavia, non mi pare che mi sia stato mai risposto in alcun modo, spiegandomi dove sbaglio e perché.

    Per il resto, mi spiace che tu non sia in qualche modo collegato al MIUR. Non ti nascondo che il mio (fin qui vano) sforzo di convincerti era connesso anche alla speranza che tu potessi farti portavoce di un’interpretazione diversa in ambienti ministeriali; ma come vedi ho provato a risponderti anche ora che ho saputo che così non è.
    Un caro saluto.
    Vito

    • Grazie Vito,
      per rispondere ai tuoi punti:
      – l’abrogazione tacita è dell’art. 7 dlgs 49/2012 (salvo il primo comma), ad opera dell’art. 66, comma 13 bis, del dl 112/2008. L a stessa circostanza che all’art. 66 non si citi alcuna competenza della PCM (ma solo del MIUR) mi sembra significativa della circostanza che tale articolo abbia voluto sostituirsi all’art. 7, salvo che per la definzione dei criteri generali di cui al primo comma di quest’ultimo. Alla stessa conclusione porta il dato letterale dell’art. 66 comma 13 bis, che impone di tenere conto (e non applicare compiutamente) l’art. 7. — Come sai, d’altra parte, la abrogazione tacitaa non deve essere affatto “provata” dal MIUR (che senso ha citare l’art. 2697 c.c.?), ma è conclusione a cui il TAR può benissimo, anche autonomamente, giungere secondo il noto principio iura novit curia ;
      – quanto all’impossibilità di utilizzare i criteri di cui all’art. 7 co. 1 dopo il 2012, il problema mi pare facilmente superabile, visto che è lo stesso art. 66, comma 13 bis, a richiamarli (evidentemente per il futuro, non per il 2012!).

      Comunque, vedremo cosa succederà in caso di contenzioso (ho l’impressione peraltro che ben raramente le università statali impugnino gli atti del MIUR, ma anche qui si vedrà). ciao

  8. Interessanti anche le parole di Carla Barbati, professore di Diritto Amministrativo e vice-presidente del CUN, desunte da questa intervista a “Il Sussidiario” (http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2013/11/4/UNIVERSITA-senza-soldi-ai-migliori-a-cosa-servono-le-pagelle-dell-Anvur-/2/441035/):

    “Innanzitutto rilevo che c’è un dibattito aperto sull’interpretazione delle disposizioni alle quali si è data attuazione per arrivare al decreto. E’ vero però che il legislatore, quello governativo o quello parlamentare, può cambiare le regole se esse producono effetti tecnicamente perversi: questo è il suo compito. Ciò detto penso che vi siano, comunque, forti limiti nel tipo di soluzione adottata. Non dimentichiamoci che, anche in base ai nostri principi costituzionali, l’intervento pubblico deve sempre perseguire finalità di riequilibrio, mai creare disparità così forti all’interno dei sistemi.
    I principi che guidano l’intervento pubblico devono sempre essere nel senso di correggere le cosiddette ‘debolezze’ del mercato, per assicurare l’erogazione di quei beni e di quei servizi che devono comunque essere offerti indipendentemente dalla richiesta e dalle condizioni strutturali.
    Poichè non è stata assicurata questa attenzione all’equilibrio del sistema, penso che quelle scelte necessitino di una correzione”.

  9. Ciao Teo, e grazie di che?
    Sono contento, piuttosto, che, con il tuo ultimo intervento, sei entrato finalmente nel cuore della vicenda.
    E’ certo che, come dici tu, il Giudice conosce le leggi (iura novit curia), ma siccome qui si tratta di una tesi difensiva del Miur ipoteticamente convenuto, e più precisamente di un’eccezione, ovverosia dell’eccezione dell’avvenuta abrogazione tacita della seconda parte dell’art. 7, è altrettanto certo che spetterebbe al MIUR provare, nel senso di argomentare (ché evidentemente qui non si tratta di fatti naturalistici, ma giuridici), circa l’avvenuta abrogazione tacita. Mentre non si può certo richiedere la prova –se pur sub specie di argomentazione- della mancata abrogazione all’attore (come invece tu la chiedevi a me), perché la logica –fatta propria anche dall’art 2697 c.c., che solo per questo citavo- ci insegna che non può darsi prova positiva di fatti negativi; e la mancata abrogazione è appunto un fatto –se pur in senso giuridico e non naturalistico- negativo.
    Esauriti i convenevoli, giungiamo appunto al cuore della questione.
    Secondo te, la prova dell’avvenuta abrogazione tacita della seconda parte dell’art. 7 del d.lgs. n. 49/2012 risiede nell’art. 66 del decreto Temonti, come modificato dalla “spending review” di Monti, e lo stesso art. 66 (modificato) avrebbe eliminato il limite temporale del 2012, per la validità dei criteri di cui alla prima parte del citato art. 7.
    Ma è veramente così?
    Sicuramente, no. E non a caso utilizzo l’avverbio sicuramente, in quanto non è che possiamo cedere a tentazioni relativiste, solo perché si tratta di diritto, e non di matematica.
    Vediamo infatti cosa dice, al proposito, il testo dell’art. 66, e scopriamo che ci dice solo che il dm di ripartizione del Ministro dev’essere fatto “tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 7 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49”.
    Quindi, il dato di fatto oggettivo, e non controvertibile, è che il “famoso” art. 66 modificato si limita a rinviare alla previsione dell’art. 7: dell’intero art. 7, che appunto, al suo primo comma, prevedeva dei criteri valevoli per il solo 2012, e, al suo sesto comma, prevede la necessità di un DPCM, per l’introduzione di criteri restrittivi valevoli per gli anni successivi. Non v’è alcuna ragione per cui, in sede di tale rinvio all’art. 7, l’art. 66 avrebbe dovuto rinominare il DPCM, e il relativo meccanismo di formazione, altrimenti non di rinvio si sarebbe trattato, ma di una forma affatto bizzarra, di cui non si conoscono altri esempi, di riscrittura del testo di un articolo al quale si rinvia.
    Invece, se il legislatore avesse voluto dire ciò che sostieni tu, avrebbe detto: “tenuto conto di quanto previsto dall’art. 7, primo comma, del decreto legislativo…”. Ma la norma non dice così!
    Mentre, “latinorum per latinorum”, è noto che il legislatore ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit.
    Insomma, non si può pretendere di far dire ad un testo normativo ciò che obiettivamente non dice, solo perché quel che dice non corrisponde a quello che avremmo voluto che avesse detto.
    Conseguentemente, mi dispiace, ma riesco a darti ragione solo sul fatto che i Rettori, con ogni probabilità, non faranno ricorso.
    Da parte mia, “passo e chiudo”, anche nel caso di una tua eventuale, e sempre gradita, replica. Ovviamente, a meno che tu non possa portare un argomento nuovo, perché solo allora risponderei ulteriormente, a seconda dei casi, per contestarlo o per dire che sei stato tu a convincere me.
    Un caro saluto.
    Vito

  10. OK Vito, solo per chiarezza, credo (temo) che le università statali tendano a guardare con una certa deferenza al MIUR, e per questo a non fare ricorso (in genere, poi vedremo nel caso di specie).

    Ciò detto, per beneficio dei lettori, sintetizzerei così la mia e, rispettivamente, tua interpretazione:

    – secondo me si può ritenere che il legsilatore del 2013 abbia interamente ridisciplinato la questione del riparto dei punti organico, limitandosi ad imporre di “tenere conto” dell’art. 7 del dlgs del 2012 nelle sue parti sostanziali, ossia del suo primo comma, senza richiamare anche le relative parti di carattere procedurale e in punto di competenzze (necessità di un dpcm dopo il 2012), anche perché legiferando nel 2013 non si capisce perché avrebbe dovuto far riferimento a criteri, in tesi, valevoli solo per il 2012, né perché avrebbe dovuto far riferimento solo ad una competenza del MIUR (se, sempre in tesi, fosse stato davvero necessariro un DPCM per l’operatività della norma del 2013);

    – secondo te il richiamo all’art. 7 sarebbe pieno e quindi relativo anche ai limiti temporali e alla competenzza del PCM non potendosi quindi ipotizzare alcuna abrogazionee tacita delle parti dell’art. 7 diverse da quelle che riguardano i criteri.

    Ciao e magari ci sentiamo per scambiarci dei commenti quando la questione avrà avuto degli sviluppi.

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