Nei prossimi mesi, anziché pensare a curare i danni dell’emergenza, le università italiane dovranno dedicarsi alla VQR. Così ha deciso il Consiglio direttivo ANVUR, fresco di nomina, che ha reso noto ieri il nuovo crono-programma. Le università si preparino dunque nei prossimi mesi a “conferire” i loro prodotti, a scrivere centinaia di case studies, a riempire moduli e moduletti per la VQR. Come nei bollettini di guerra del regime fascista, ANVUR rassicura il popolo universitario che tiene le posizioni e non arretrerà di un passo. Research England, l’agenzia responsabile del Research Excellence Framework nella perfida Albione, ha appena annunciato lo stop a data da destinarsi della valutazione delle università per lasciare che le università concentrino lo sforzo sulla battaglia al virus. Parafrasando il Duce, “il popolo dei «cinque pasti» ha fatto la valutazione molto bene e brillantemente ma ora tutto il suo ordine di idee è contrario ad una avventura un po’ complicata”. I mangiatori di rane che popolano l’agenzia di valutazione HCERES, addirittura dal 18 marzo, hanno sospeso fino a data da destinarsi tutte le attività di valutazione. Anche in questo caso, cosa potevamo aspettarci da un popolo “minato dall’alcol, dalla sifilide e dai giornalisti“? Sola, impavida di fronte alla pandemia, ANVUR continua la sua attività come se niente stesse accadendo nel paese e nelle sue università. Secondo il motto gesuitico, che, in queste condizioni, suona assai macabro: perinde ac cadaver.
L’università italiana ha ormai una certezza. Tutto si può fermare, ma non l’ANVUR e la VQR. La pandemia ha sconvolto le strutture universitarie che stanno mettendo in campo uno sforzo enorme per salvare la didattica e ridurre al minimo i danni per gli studenti. Siamo in una emergenza che vede l’intero sistema universitario italiano costretto a convertirsi a sistemi di didattica a distanza, compresi esami e sessioni di laurea, e a sperimentare in modo massivo il lavoro a distanza per il personale tecnico e amministrativo. Di fronte a questa emergenza che nessuno ancora sa precisamente quanto durerà, e che avrà strascichi sugli anni a venire – basti pensare alle attività di recupero delle attività di laboratorio degli studenti – c’è una sola certezza: la VQR si farà e senza nessuno slittamento sulla conclusione dei lavori. Così ha deciso il Consiglio direttivo, fresco di nomina, che ha reso noto ieri il nuovo crono-programma. Le università si preparino dunque nei prossimi mesi a “conferire” i loro prodotti, a scrivere centinaia di case studies, a riempire moduli e moduletti per la VQR. Per non parlare dei costi, diretti ed indiretti, di cui il contribuente italiano si farà carico nei prossimi mesi per la realizzazione della VQR: si tratta prudenzialmente di circa €200 milioni (di cui non si fa certo fatica al momento ad immaginare utilizzazioni alternative più proficue per un sistema universitario in emergenza).
Nei prossimi mesi, ANVUR ribadisce che le università italiane, anziché pensare a curare i danni dell’emergenza, dovranno dedicarsi alla VQR. In una intervista da Marte del 16 marzo, il neo-presidente Uricchio ha spiegato che la valutazione va fatta perché “è indiscutibile che la valutazione è un valore in sè”.
Viene in mente l’adagio di Marx secondo cui la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Come nei bollettini di guerra del regime fascista, ANVUR rassicura il popolo universitario che tiene le posizioni e non arretrerà di un passo. Non come certe le agenzie di valutazione dei nemici che cedono di fronte al COVID19.
Research England, l’agenzia responsabile del Research Excellence Framework nella perfida Albione, ha appena annunciato lo stop a data da destinarsi della valutazione delle università per lasciare che le università concentrino lo sforzo sulla battaglia al virus [qui la lettera]. D’altra parte, parafrasando appena un po’, “il popolo dei «cinque pasti» ha fatto la valutazione molto bene e brillantemente ma ora tutto il suo ordine di idee è contrario ad una avventura un po’ complicata“.
I mangiatori di rane che popolano l’agenzia di valutazione HCERES, addirittura dal 18 marzo, hanno sospeso fino a data da destinarsi tutte le attività di valutazione. Anche in questo caso, cosa aspettarsi in fatto di valutazione da un popolo “minato dall’alcol, dalla sifilide e dai giornalisti“?
Sola, impavida di fronte alla pandemia, ANVUR continua la sua attività come se niente stesse accadendo nel paese e nelle sue università. Secondo il motto gesuitico, che in queste condizioni, suona assai macabro: perinde ac cadaver.
Questo, pro-memoria futura, lo screenshot del lancio del nuovo cronoprogramma pubblicato il 26 marzo 2020.
Questo il cronoprogramma:
NUOVO-CRONOPROGRAMMA-VQR-2015-19
Lavoro 12 ore al giorno. È visibile che scrivo costantemente, cineca ha tutti i files. Rispondo agli studenti subito, continuo a correggere tesi. Ci lascino in pace. Persecuzione non valutazione
Toc, toc, ministro Manfredi, se ci sei batti un colpo!
Nelle università stiamo facendo il nostro senza risparmiare sul nostro tempo. Anche chi poi sarebbe coinvolto nelle operazioni per la vqr. Li vogliamo distogliere dal preparare lezioni telematiche decenti?
E poi, non è che alla fine di tutto torneremo ai soliti giochini di finti-premi e vere-penalizzazioni economiche legate ad una vqr che fotografa l’era pre-covid-19 ??
Le regioni non riescono ad incrementare il numero di tamponi al giorno.
Perché le università non mettono a disposizione i loro numerosissimi laboratori?
Quanto ai burosauri di stato, esonerati dai compiti didattici e lautamente rettibuiti, stiamo vedendo che, anche grazie ai tamponi cui hanno accesso privilegiato, cambiano subito atteggiamento quando si trovano il virus in casa, da Trump a Johnson, e anche in casa nostra.