Tra le “azioni” proposte dalla task-force di Colao ce n’è una intitolata “Spinta alla formazione sulle nuove competenze” che consiste nel “lancio di un programma didattico sperimentale erogato attraverso una piattaforma digitale”. La task-force introduce nella scheda elementi fattuali di contesto per giustificare l’azione. Tra questi spicca in particolare la previsione che “Le aziende italiane sono pronte ad offrire un lavoro a 469 mila lavoratori STEM nei prossimi 5 anni (NESTA 2019)”. Purtroppo quella previsione non è di Nesta, non è recente e non è riferita ai prossimi cinque anni. Quella previsione è di quarta mano: (1) La task-force attribuisce la previsione di 469mila posti di lavoro a Nesta; 2) che però ha preso i dati dal Sole24Ore; (3) il quale riporta una elaborazione di Confindustria; (4) che dovrebbe aver elaborato le previsioni Excelsior. Non solo, quella previsione risale al 2018. Evidentemente, per Colao e la sua task-force una previsione è per sempre. Anche se nel frattempo è intervenuta una pandemia.
La task-force di Colao ha messo a punto un pacchetto di schede di lavoro che fornisce i dettagli degli interventi. In genere le schede contengono una sezione che tratteggia il “Contesto” e una seconda che indica le “Azioni specifiche”.
La formazione sulle competenze è uno dei piatti forti del menu che la task-force ha riservato all’istruzione. Prendiamo la scheda 78 intitolata “Spinta alla formazione su nuove competenze”. Vi si prevede il “lancio di un programma didattico sperimentale erogato attraverso una piattaforma digitale” per “colmare gap di competenze e skill critiche (capacità digitali, STEM, problem-solving, finanziarie di base)”. Dove STEM indica: Science, Technology, Engineering e Math.
Come in ogni scheda anche nella 78 viene presentato il “contesto”, ovvero la base “fattuale” (direbbe il Feltri di Crozza) per giustificare l’azione.
I dati di contesto, articolati in quattro punti, sono funzionali a mostrare il “gap di competenze”. Per questo la task-force seleziona opportunamente alcune informazioni. I primi due punti sono ripresi dall’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI). Relazione nazionale per il 2019. Il terzo, come abbiamo già mostrato in un altro post, seleziona tra i risultati PISA 2018 quelli funzionali a evidenziare il ritardo italiano. La task-force di Colao riporta infatti solo i risultati in scienze, e nasconde quelli in matematica che sono in media OCSE.
Il capolavoro arriva però al punto 4. Secondo la task-force di Colao:
“Le aziende italiane sono pronte ad offrire un lavoro a 469 mila lavoratori STEM nei prossimi 5 anni, ma al tempo stesso il 33% della professionalità tecnica richiesta dalle aziende risulta ‘non rintracciabile’ (NESTA, 2019)”.
Di conseguenza un lettore ingenuo è indotto a pensare che da giugno 2020 a giugno 2024 le imprese richiederanno 469.000 lavoratori STEM. Un lettore appena meno ingenuo si domanda su che base una indagine che nel 2019 fa previsioni sul mercato del lavoro per i cinque anni a venire continui ad essere significativa dopo la pandemia da COVID-19.
Un lettore che abbia seguito le spesso fantasiose analisi del mercato del lavoro che circolano da decenni in Italia è anche assalito da un altro dubbio. Perché non ha mai sentito parlare di previsioni di domanda di lavoro fatte da NESTA, indicata come fonte dalla task-force di Colao. Se si prende il volume citato, si scopre, infatti, che la task-force di Colao ha riportato testualmente un passo dalla pagina 8 del report NESTA, dove si legge:
Le aziende italiane sono pronte ad offrire un lavoro a 469 mila lavoratori STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) nei prossimi 5 anni, ma al tempo stesso il 33% della professionalità tecnica richiesta dalle aziende risulta “non rintracciabile” (1).
Ma non è NESTA ad aver prodotto quei dati. Infatti NESTA (citando correttamente) ha a sua volta copia-incollato e adattato da questo articolo de Il Sole 24 Ore, datato 1 novembre 2018: “nei prossimi cinque anni le imprese italiane sono pronte a offrire 469 mila posti di lavoro”. Ma il Sole 24 Ore dove ha preso quei dati?
La fonte è indicata come elaborazione di Confindustria su dati Unioncamere e ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive del lavoro). O meglio di una anticipazione delle previsioni “a medio termine” che Unioncamere e ANPAL hanno diffuso il 1 dicembre 2018 e pubblicato a marzo 2019.
I mitici 469mila posti di lavoro STEM hanno avuto anche l’onore di un titolo nel luglio 2019.
Ma a quale periodo si riferiscono le previsioni? Come si legge nella copertina del rapporto, quelle previsioni si riferiscono al periodo 2019-2023.
Nello spunto di riflessione sull’università, i dati citati dalla task force erano di terza mano. Questa volta, sono di quarta mano:
- La task-force attribuisce la previsione di 469mila posti di lavoro a Nesta
- che però ha preso i dati dal Sole 24 Ore
- il quale riporta una elaborazione di Confindustria
- che dovrebbe aver elaborato le previsioni Excelsior.
I dati diffusi a novembre 2018 prevenivano dunque dalla previsione Excelsior 2019-2023. I “prossimi cinque anni” sono riferiti al periodo 2019-2023. E sono riferiti ad uno scenario previsionale con tassi di crescita del prodotto interno lordo che la pandemia ha reso del tutto irrealistici. La task force di Colao ritiene credibile, e quindi la riporta come elemento di contesto, una previsione di fabbisogno occupazionale calcolata assumendo una crescita del PIL italiano per il 2020 compresa tra il +0,9 e il +1,6%. Il Fondo Monetario Internazionale prevede invece per l’Italia per il 2020 una contrazione del PIL di -9,1%.
Evidentemente, per Colao e la sua task-force una previsione è per sempre, come un diamante. Anche se nel frattempo è intervenuta una pandemia che non ha precedenti nella storia economica recente.
Mentre la task-force di Colao propone misure basate su una crescita di 469mila posti di lavoro STEM, il presidente di ANPAL Mimmo Parisi, in audizione alla commissione lavoro del Senato a fine maggio, prevedeva all’opposto che si perderanno 500mila posti di lavoro nel solo 2020. Chi avrà ragione? Colao o Parisi?
Per la Lavoce.info non c’è storia. Il rapporto e soprattutto le schede messe a punto della task-force sono “oro colao”.
Francesco Daveri ritiene addirittura che:
Nell’insieme, prima ancora di guardare ai contenuti di dettaglio …, dal semplice esame della struttura di ogni scheda viene comunque fuori una distanza quasi antropologica rispetto agli schemi concettuali della politica.
La domanda è: ma si potrà misurare questa “distanza quasi antropologica”?
Anche Colao deve fingersi tuttologo, un eccellente che sforna risultati in pochissimo tempo.
Diamo fiducia ai competenti. Non si può riconvertire uno studioso di filosofia in un chimico e viceversa
Ma chi glielo fa fare ad un grande manager di esporsi così al ridicolo?
Grazie per l’ennesima meritoria operazione di demistificazione.
Tre commenti “veloci”:
– al di la’ della retorica (ipocrita, smascherata dal disinteresse negli atti) dell’importanza delle STEM, si riafferma il ruolo cruciale dell’arte tutta umanistica di ripercorrere le fonti a ritroso come un bravo filologo, per distinguere il grano dal loglio come si conviene.
– la pandemia non incide nella prospettiva degli euforici dello status quo, e non e’ un caso: tutto e’ proiettato ad ottenere semaforo verde per correre come prima, anzi magari di piu’ per recuperare il tempo perduto, con totale refrattarieta’ ai molti insegnamenti (o almeno, spunti di riflessione) che dal “cigno nero” si potrebbero e sarebbe opportuno e saggio trarre. Una rimozione completa, funzionale al paradigma delle magnifiche sorti e progressive. Alla stregua di un brutto sogno, dal quale ci si sveglia ed e’ tutto passato.
– la mitologia delle sterminate praterie occupazionali STEM è ben più antica. Quando al tempo dei Sumeri (anno 1993), finito il liceo, ponderavo il da farsi, un peraltro ben fatto inserto speciale per l’orientamento universitario del Corriere della Sera, alla voce (o una delle varie voci, non ricordo quanto scendesse nel dettaglio delle aree) “Ingegneria”, salmodiava di un futuro prossimo in cui l’Italia avrebbe dovuto importare decine di migliaia (mi pare di ricordare 40000) di ingegneri all’anno dall’Africa (!), per sopperire alla carenza locale. Magari in buona fede, ma si sbagliavano un po’: il grosso del nostro sistema produttivo (le eccezioni fortunatamente esistono, ma eccezioni restano) ha scelto di puntare su carte che non fossero innovazione e qualificazione professionale, anzi. Ingegneri non ne abbiamo importati affatto, o almeno io non li ho mai visti. E anche per i rari (e quindi preziosi?) ingegneri indigeni, la realta’ l’ho assaggiata nei decenni a seguire non sulla pelle mia (alla fine ho studiato Fisica, che ha un ecosistema piuttosto diverso e lascia cicatrici differenti) ma su quella degli Ingegneri miei coetanei, che pur bravi, di lavori ne trovavano eccome, ma con due tratti fondamentali sistematicamente osservati: salari da garzone e disponibilita’ oraria e agli spostamenti ispirate al “perinde ac cadaver” dei gesuiti.Il tutto sapientemente imbellettato da moderno e positivo, nonché sostenuto dalla retorica della “gavetta”, perché si sa: la funzione profondamente formativa del precariato e dello sfruttamento la sanno apprezzare per bene solamente i garantiti…