«Sintetizzare con successo … visione umanistica, scientifica e tecnologica. Di tale sintesi è stata espressione l’ingegneria italiana, costellata di grandi personalità che non erano solo “pratici” di prim’ordine, ma scienziati e umanisti. Tale fu Luigi Cremona, matematico puro, fondatore della Scuola di Ingegneria e ministro dell’istruzione. Tale fu Francesco Brioschi [fondatore del Politecnico di Milano]. Tale fu Vilfredo Pareto ingegnere ferroviario, imprenditore, e grande teorico dell’economia e della sociologia. Scienziato umanista fu il creatore della plastica Giulio Natta (diplomato in un liceo classico). Questa è la tradizione cui riallacciarsi, invece di credere che sia un progresso distruggere la formazione umanistica classica. … Abbiamo bisogno di persone di ampia formazione e capaci di scelte autonome, e non di polli di batteria formati per una sola funzione che, col procedere tumultuoso della tecnologia, potrebbe diventare obsoleta nel giro di poco tempo. Per formare persone del genere serve anche il liceo classico. Chi gioisce per il suo declino ride mentre è segato il ramo su cui sta seduto». Ogni tanto, qualcuno – lo ha fatto qualche tempo fa Nicola Gardini sul Sole 24 Ore – torna a difendere il Liceo classico, come su ROARS aveva fatto Giorgio Israel, il cui pensiero, a mo’ di richiamo vaccinale, merita di essere riproposto periodicamente. Ve n’è particolarmente bisogno, in tempi come i nostri, in cui il pensiero illuminato degli esperti della TreeLLLe insiste sulla professionalizzazione come fulcro dell’istruzione nella scuola secondaria. Intanto, dopo anni di calo, le iscrizioni 2017/18 ai licei classici mostrano qualche segno di ripresa.
Perché se muore il liceo classico muore il paese
Da un lato un boom di iscritti ai test d’ingresso al Politecnico di Milano e una propensione per le lauree di ingegneria o direttamente correlate a una professione definita; dall’altro, un declino delle iscrizioni ai licei, in particolar modo al liceo classico. Alcuni commenti salutano questi dati come espressione di una tendenza positiva verso la “laurea utile”, verso l’abbandono delle propensioni “generaliste”, verso una preparazione corrispondente alle figure richieste dalle aziende. A noi sembra invece che la valutazione vada divisa: ottima è la prima tendenza, perché la rivalutazione delle professioni ingegneristiche e tecnologiche anche a livello della formazione professionale, è essenziale per un paese in via di declino industriale; pessima è la seconda tendenza per motivi che dovrebbe essere superfluo dire.
Come può un paese che possiede più della metà dei beni culturali, artistici, architettonici del mondo non preoccuparsi di coltivare un ceto di persone di altissima competenza capace di valorizzare quel patrimonio che, se non altro, ha un enorme potenziale economico? Si badi bene: non si tratta solo della necessità di formare un esercito di archeologi, di restauratori, di persone all’altezza di gestire musei e l’immenso, quando degradato e depredato, patrimonio librario del paese. Si tratta di non disperdere la memoria dell’identità storico-culturale italiana. Come è possibile pensare che il patrimonio culturale del paese possa essere preservato se quasi nessuno conosce più neanche i nomi degli architetti, dei pittori, dei letterati, degli scienziati che l’hanno costruito e finisce col considerarlo un irriconoscibile ciarpame? Il disprezzo dell’umanesimo (anche sul fronte della cultura scientifica!) è la via per il sicuro declino.
Ci potremmo fermare qui, ma c’è di peggio. La cultura italiana è stata largamente influenzata dagli assurdi pregiudizi crociani contro le scienze fisico-matematiche e naturali considerate come un cumulo di pseudo-concetti ed è giusto che tale nefasta influenza venga definitamente superata. Ma la via per superarla non è certamente quella di esibire un disprezzo per la cultura definita (anche di recente in un articolo di stampa dedicata a questi) come “debole”, quasi che filosofia, letteratura, scienze umane in generale fossero soltanto chiacchiere vacue incapaci di costruire conoscenza e di stimolare abilità pratiche. La sciagurata diatriba tra le due culture danneggia entrambe. Nella furia di distinguerle, le scienze vengono separate dalla cultura e pensate come mere abilità pratiche, predicando che solo ciò che ha un’utilità diretta vale qualcosa. Non a caso stiamo perdendo il senso della parola “ricerca”, ormai sinonimo di “innovazione tecnologica”.
Invece, lo straordinario successo della scienza occidentale è stato fondare la tecnica sulla scienza, creando la “tecnologia”. Tutte le grandi scoperte scientifiche che hanno cambiato il volto del mondo – a partire dal computer digitale – sono frutto di idee teoriche, fondate sulla “scienza di base”. Un grande ingegnere come Leonardo da Vinci ammoniva: «Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza. Quelli che s’innamoran di pratica senza scienza son come ‘l nocchier ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada». Oggi questo è più vero di ieri. Giorni fa un illustre ingegnere osservava che nel contesto odierno, sempre più complesso e ricco di interrelazioni, servono persone di formazione vasta e aperta, in breve di formazione umanistica, che spesso solo il liceo classico può dare. L’innovazione tecnologica richiede una cultura vasta capace di attingere ai campi più disparati, altro che specializzazione. Mi ha profondamente colpito l’osservazione che ho sentito da diversi ingegneri che le automobili di oggi sono, in fondo, ancora “bricolage” del modello originario, mentre occorrerebbe ripensarne uno nuovo non soltanto in termini tecnici stretti, ma tenendo conto del senso del “trasporto” nella realtà economico-sociale di oggi. Come può farlo questo chi non sappia di economia, di sociologia, di storia? In un’università tecnologica francese mi raccontarono: «Un’importante ditta automobilistica ci chiede come migliorare una difficoltà di carburazione. Un ricercatore elabora un modello e conclude che occorre aumentare di tot millimetri il diametro di un tubo. Cosa di veramente nuovo può venire da questo?». È comprensibile che le imprese abbiano fretta e desiderino un sistema dell’istruzione funzionale alle formazione di addetti. Ma ciò può portare solo al disastro. Nè vale produrre l’esempio di paesi che imboccano questa via: qui il mal comune non è mezzo gaudio.
Tanto meno può esserlo in un paese che non solo possiede gran parte del patrimonio culturale e artistico mondiale, ma ha una grande tradizione: aver saputo sintetizzare con successo, dal periodo postunitario, visione umanistica, scientifica e tecnologica. Di tale sintesi è stata espressione l’ingegneria italiana, costellata di grandi personalità che non erano solo “pratici” di prim’ordine, ma scienziati e umanisti. Tale fu Luigi Cremona, matematico puro, fondatore della Scuola di Ingegneria e ministro dell’istruzione. Tale fu Francesco Brioschi. Tale fu Vilfredo Pareto ingegnere ferroviario, imprenditore, e grande teorico dell’economia e della sociologia. Scienziato umanista fu il creatore della plastica Giulio Natta (diplomato in un liceo classico). Questa è la tradizione cui riallacciarsi, invece di credere che sia un progresso distruggere la formazione umanistica classica, proprio mentre viene riscoperta in paesi privi delle nostre tradizioni. Abbiamo bisogno di persone di ampia formazione e capaci di scelte autonome, e non di polli di batteria formati per una sola funzione che, col procedere tumultuoso della tecnologia, potrebbe diventare obsoleta nel giro di poco tempo. Per formare persone del genere serve anche il liceo classico. Chi gioisce per il suo declino ride mentre è segato il ramo su cui sta seduto.
Giorgio Israel
Articolo apparso -in forma leggermente diversa-
su Il Mattino e Il Messaggero, 25 agosto 2013
Anche nel liceo scientifico si dedica troppo tempo a materie “culturali” rese obsolete dai risultati più interessanti ottenuti nell’ultimo secolo. Una panoramica sui campi di ricerca che potrebbero esplodere nei prossimi decenni sarebbe più utile ed interessante del barocco
” Una panoramica sui campi di ricerca che potrebbero esplodere nei prossimi decenni sarebbe più utile ed interessante del barocco”
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Certo, per esempio una panoramica sugli studi in base ai quali “l’uomo del futuro quasi immortale nascerà nei padiglioni vuoti di expo”.
Peccato che di immortale ci fosse ben poco:
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https://www.roars.it/luomo-quasi-immortale-di-technopole-scienza-o-bufala/
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Forse è meglio studiare anche un po’ di seicento. Per capire la nascita della scienza moderna, ma anche un po’ di Barocco non fa certo male. Altrimenti, si finisce a credere ciecamente all’uomo “quasi immortale” (una tentativo di risposta al “memento mori”?) e agli indicatori bibliometrici, forse proprio perché non se ne coglie la natura artistica e barocca. Infatti, dopo tutte le invenzioni di questi anni, a buon diritto potremmo affermare che “è del valutatore Anvur il fin la meraviglia”. Anche se, di fronte a certe trovate, vedi indice di Katsaros, è difficile negare il legame con avanguardie del novecento quali surrealismo e dadaismo. Un giorno potremmo scoprire che diversi documenti Anvur erano stati stilati con il metodo del “cadavere squisito” …
L’affermazione «sarebbe più utile ed interessante del barocco» si commanta da sola. Non vorrei essere nei panni dei suoi studenti.
E come si può sapere quali sono i campi che esploderanno?
Come quando facevo l’Università, le Telecomunicazioni sembravano l’Eldorado. Poi bolla dot-com e concentrazione in grandi gruppi ha mostrato che non valevano nulla. Ericsson sembrava il re Mida, ora dov’è? Che fa? Magari oggi il grafene e i materiali 2D sono una moda che non porta da nessuna parte. E quando il cibo che aiuta a vivere più meglio? Già Piero Angela fa questo lavoro da decenni. Si è liberi di seguirlo o no.
Ancora oggi trovo molti spunti interessanti da articoli di decenni lontani (come dalla musica e dal cinema del passato), piuttosto che dalla lettura di miei colleghi coetanei, che si agitano tanto a vendere delle bazzeccole indecenti.
Creare automi, che hanno la testa piena di idee vaghe e mode, non è lo scopo della scuola. Già la stampa fa propaganda e propone una visione del mondo molto parziale e limitata.
Poi, nessuno dovrebbe fare come un mio professore del Liceo Scientifico, che entrava in aula e c’insultava perché non eravamo del Liceo Classico.
Questo commento mi pare così inverosimile che davvero penso che MarcelloGA faccia il palleggiaTore nella squadra in cui de Nicolao fa lo schiacciatore.
È un piccolo segreto: io e MarcelloGA siamo la stessa persona. Buona parte dei nostri commentatori anonimi sono fake users dietro i quali si nascondono altrettanti membri della redazione. Utilizziamo questi account proprio per fare quello che sorrenti descrive così efficacemente: ci alziamo la palla da soli per poterla schiacciare al meglio. Trucchi del mestiere. Ma non andatelo a dire in giro.
Vorrei aggiungere solo una cosa a questo bellissimo articolo.
La cultura umanistica serve anche, ma vorrei dire soprattutto, alla crescita umana e spirituale delle persone.
Ma se smettiamo di leggere i classici ci dimenticheremo anche di questo.
Emanuele Martelli
Superstizione spacciata per apodissi. Peraltro si continua ancora a confondere umanesimo con classicismo, come se quest’ultimo avesse la prerogativa di stabilire l’entità del primo, ed è proprio questo il frutto avvelenato della concezione gentiliana. Ma continuiamo pure a raccontarci le favole.
Ma quale articolo sta commentando?
“Perché se muore il liceo classico muore il paese”.
Come ho gia’ espresso altre volte, ritengo che i migliori studenti di ingegneria provengano proprio dal liceo classico. Non sono stati infarciti di matematica e fisica imparate a memoria e non comprese, come gli studenti provenienti dallo scientifico, e nemmeno dotati di abilita’ tecniche non basate sulla comprensione dei fenomeni fisici, come chi proviene dagli istituti tecnici.
lo studente proveniente dal classico arriva al primo anno di ingegneria non sapendo sostanzialmente nulla di quanto dovra’ studiare negli anni a venire, e questo a mio avviso e’ un bene: una bella tabula rasa su cui impiantare fondamenta solide, non viziate da concetti malsani.
Nello stesso tempo ha un retroterra di conoscenza storica, filosofica e artistica che gli servira’ di guida nelle scelte etiche che un ingegnere e’ chiamato a fare (quando un ingegnere sbaglia, la gente muore).
Certo anche al liceo classico ci sono cose che non funzionano, e che si potrebbero migliorare. Cose che sono via via peggiorate rispetto a quando lo frequentati io negli anni 70: allora i laboratori di fisica, chimica, biologia erano in piena funzione, e venimmo condotti per mano a sperimentare il vero metodo scientifico. Programma ridotto, ma fatto veramente bene…
Non a caso da quelle annate uscirono fior fior di scienziati…
20 anni dopo, quando lo frequentarono i miei figli, i laboratori erano chiusi per non meglio precisate “normative di sicurezza”: niente piu’ esperimenti di elettromagnetismo, reazioni chimiche coi becchi Bunsen, vivisezione delle rane, etc…
Ma basterebbe riportare il liceo classico all’eccellente livello che ho sperimentato di persona negli anni ’70 per farne, ancora oggi, il miglior percorso formativo per i futuri scienziati ed ingegneri…
Angelo Farina ha detto davvero molto bene!
Ai miei figli, classico in un istituto che aveva anche sezioni di scientifico e di altri studi, i laboratori sono stati impediti in quanto riservati agli studenti dello scientifico.
Come sempre, grazie di cuore alla redazione di Roars per ricordare a tutti quanto prezioso fosse il contributo di Giorgio Israel.
Come un vaccino da richiamare… già.
E infatti i cultori delle 3L, della bibliometria e delle “competenze” sono poi quelli da cui “allevamenti” escono fuori, sul piano metodologico e del puro ragionamento, anche i NoVax di turno.