Questo presidente del Consiglio proprio non conosce e non ama l’Università. Dire che sono i concorsi il male dell’università italiana è un depistaggio cognitivo analogo a quello che vuole che il male della politica italiana stia nella Costituzione da riformare. Depistaggi che sono altrettanti drappi sventolati davanti all’opinione pubblica, e che hanno come obiettivo il rafforzamento del governo e l’accentramento del potere a danno dei poteri costituiti e del loro normale funzionamento. Insomma, l’ideologia dell’eccezionalità contro la regola; dell’uomo solo al comando che porta in salvo la barca della repubblica; della fantasia e della giovinezza che trionfano sul vecchiume burocratico e sulla corruzione dei baroni, casta ancora più spregevole dei politici. È su questi presupposti ideologici che nascono le cinquecento «cattedre Natta»; un provvedimento che comporta lo sfregio al corpo dei professori e la rottura dell’ordinamento. Ma oltre che sull’ideologia renziana, sulle solide esigenze e sulle precise richieste di Confindustria, il provvedimento si basa anche su assunti dilettanteschi. Si vuole far credere che cinquecento professori, in un sistema non funzionante di cinquantamila addetti, possano cambiare qualcosa. Si tratta invece di costituire un piccolo «esercito di riserva» di obbedienza governativa, collocato nelle posizioni chiave del sistema.
Questo presidente del Consiglio proprio non conosce e non ama l’Università. Il punto è che il suo rapporto con la politica non è mediato dalla cultura, ma dalla gestione funambolica della contingenza e dalle esigenze dei poteri economici che lo sorreggono. Nel caso dell’Università, specificamente, Renzi si colloca in continuità con la logica della legge Gelmini, del resto condivisa dal Pd fino quasi al momento dell’ingresso in parlamento: doveva essere una «riforma condivisa», insomma, e tale è stata, ed ancora è, nelle sue linee generali. Di quella legge Renzi sposa infatti l’assunto base che l’Università deve servire al sistema economico, ovvero che non deve avere autonomia e deve articolarsi in una maggioranza di Atenei mediocri (d’insegnamento, come pudicamente si dice) e in poche isole felici di autoproclamata «eccellenza», ben finanziate e del tutto interne al sistema industriale italiano e internazionale.
A ciò si aggiunga lo specifico renziano, ovvero il talento per lo spot e l’insofferenza per i corpi intermedi: questi ultimi sono gli Atenei, i professori e in generale gli ordinamenti, le istituzioni, e anche i sistemi concorsuali. Per quanto questi possano essere fallaci, sono il modo con cui un corpo di studiosi coopta, con procedure di valutazione scientifica, i propri membri. E chi altri deve decidere sull’idoneità di qualcuno a essere fisico, giurista, filosofo se non i fisici, i giuristi, i filosofi, secondo regole note? Il loro giudizio sarà anche viziato da faide e nepotismi, ma non tanto da impedire che la ricerca italiana sia assai ben quotata nel mondo, soprattutto a fronte degli investimenti scarsi e della defatigante attività didattica e burocratica a cui i professori e i ricercatori sono costretti – con stipendi ridicoli, e per di più bloccati da sette anni –.
Dire che sono i concorsi il male dell’università italiana è un depistaggio cognitivo analogo a quello che vuole che il male della politica italiana stia nella Costituzione da riformare, o nelle indennità dei parlamentari da abbassare, e non nella crisi dei partiti e nello spostamento del baricentro della politica dal legislativo all’esecutivo, e dal territorio nazionale a dimensioni extra-territoriali e sovranazionali. Depistaggi che sono altrettanti drappi sventolati davanti all’opinione pubblica, e che hanno come obiettivo il rafforzamento del governo e l’accentramento del potere a danno dei poteri costituiti e del loro normale funzionamento. Insomma, l’ideologia dell’eccezionalità contro la regola; dell’uomo solo al comando che porta in salvo la barca della repubblica; della fantasia e della giovinezza che trionfano sul vecchiume burocratico e sulla corruzione dei baroni, casta ancora più spregevole dei politici.
È su questi presupposti ideologici che nascono le cinquecento «cattedre Natta»; un provvedimento che comporta che siano messi non in cale, e anzi vengano valorizzati, lo sfregio al corpo dei professori e la rottura dell’ordinamento; e che non si arretri davanti al fatto che con questo provvedimento – che vede i docenti «eccellenti», e superpagati, nominati da commissioni di nomina politica, cioè istituite motu proprio dal Miur e da Palazzo Chigi, e che lavorano su parametri determinati dalla politica – si ripercorra la via del fascismo, che inventò la chiamata «per chiara fama» per mostrare la superiorità del regime sulle Università, peraltro già piegate ai suoi voleri dal giuramento imposto a tutti gli ordinari.
Ma oltre che sull’ideologia renziana, sulle solide esigenze e sulle precise richieste di Confindustria, il provvedimento si basa anche su assunti dilettanteschi.
Si ipotizza che gli studiosi stranieri, che presiederanno le commissioni, siano privi di pregiudizi e più autorevoli degli italiani; e si vuole far credere che cinquecento professori, in un sistema non funzionante di cinquantamila addetti, possano cambiare qualcosa, oltre a costituire un piccolo «esercito di riserva» di obbedienza governativa, collocato nelle posizioni chiave del sistema – peraltro tutt’altro che riottoso, nel suo complesso –.
Già oggi esistono istituti giuridici che consentono il «rientro dei cervelli», dietro un giudizio delle Università, com’è ovvio; ma sono sottofinanziati. Ed è proprio il sottofinanziamento complessivo del sistema universitario che costringe i giovani ad espatriare, perché non si possono bandire per loro posizioni sufficienti; e a invertire il trend non basteranno né i milioni in più che la legge finanziaria stanzia ora per la prima volta dopo anni di tagli selvaggi, né questi cinquecento posti extra ordinem, né le risorse che i docenti italiani lasceranno libere ricoprendoli – saranno infatti in gran parte italiani, già assunti, a concorrere; le retribuzioni, benché gonfiate, non sono attraenti per studiosi stranieri affermati, e ancor meno lo sono le condizioni di lavoro –. Per ovviare al sottofinanziamento sono necessari soldi, evidentemente – e a questo proposito si pensi alle migliaia di posti da ricercatore che si potrebbero bandire con il finanziamento delle cattedre Natta –; ma ancor più è necessaria una cultura politica, oggi assente, che voglia investire nell’avanzamento e nella diffusione del sapere critico per lo sviluppo democratico del Paese, e che veda nell’Università la magistratura scientifica della nazione e non il centro studi di Confindustria; una cultura politica non dello spot ma dei tempi lunghi, non dell’intervento miracolistico ma della costruzione di istituzioni durature.
Ed è necessaria anche una presa di coscienza del mondo accademico, che non si lasci incantare da qualche beneficio marginale e da qualche promessa, e che anzi da questa vicenda tragga l’energia per rivendicare la propria autonomia, centralità e dignità; un buon modo sarebbe di delegittimare il provvedimento rifiutando di essere nominati nelle commissioni d’esame. Ma questo dovrebbe essere solo l’inizio di un percorso critico, che dovrebbe estendersi anche all’ideologia della valutazione e all’Anvur nell’attuale forma e composizione. Il lavoro da fare è enorme per un ceto docente che in passato si è crogiolato in una infondata percezione di intoccabilità, che più di recente ha subito, in totale passività, l’attacco neoliberista alla cultura e alle proprie condizioni di vita e di lavoro, e che oggi viene screditato da un atto normativo che individua la via della rinascita dell’Università italiana in un percorso che dovrebbe avvenire fuori e contro di essa.
L’articolo è uscito originariamente sul blog Ragioni politiche.
Eppure, nella mia ingenuità, mi viene da pensare che questo ennesimo attacco alle università sarà facile da sventare.
La mia prima speranza è che la CRUI prenda una netta posizione, arrivando a promettere magari di non chiamare nessuno dei vincitori (non essendo obbligatorio se non ho capito male).
E la seconda, e direi la più probabile, è che il numero delle domande sia elevatissimo. Teoricamente potremmo tutti dare domanda, e forse succederà così.
Le cattedre Natta saranno sepolte sotto una valanga di domande. Io sarei terrorizzato all’idea di fare il commissario.
Eccellente analisi di C.Galli. Da condividere in toto. Peccato che caschi l’asino quando si tratta di trarne conseguenze operative.
Prima che la CRUI prenda una netta posizione… Matteo Renzi avrà imparato perfettamente l’inglese!
Più interessante la tattica di boicottare le cattedre di nomina imperial-regia seppellendo le commissioni sotto una valanga di domande. Pensiamoci!
In realtà la CRUI ha messo in guardia il governo e gli da i consigli per evitare un numero elevato di domande … dalla lettera CRUI pubblicata qui su ROARS:
“… Insomma, selezionare l’eccellenza fra decine di migliaia di domande appare impresa titanica da scoraggiare qualsiasi commissione, anche la più selettiva ed animata da buoni propositi.
Le esperienze condotte negli ultimi anni evidenziano che è possibile il reclutamento del personale universitario, con profili di eccellenza, utilizzando i meccanismi di selezione regolati dalle normative vigenti (LEGGI SOGLIE). In ogni caso, una procedura straordinaria può essere giustificata se mira ad intercettare profili che altrimenti non sarebbero agevolmente selezionabili.
Pertanto, per garantire quest’obiettivo, è indispensabile una soglia elevata per i candidati che esige al contempo ancor più elevati requisiti (LEGGI SOGLIA) per i commissari, accademici che vanno individuati attraverso una condivisione responsabile con la comunità scientifica.” … Per la CRUI prima che un cammello passi per la CRUna di un ago deve dimostrare di avere le Gobbe giuste ;-)..
Dopo aver visto il rientro di alcuni “cervelli”, che sinceramente avrei tranquillamente lasciato all’estero, ho capito che ho sbagliato tutto. In questi anni mi sono smazzato con la didattica, la ricerca, le attività burocratiche, etc.. per tenere in piedi la barracca a tutti i costi. Fossi stato all’estero mi sarei “divertito” di più ed oggi sarei rientrato come salvatore della patria e con tutti gli onori.
Addirittura c’è chi invoca un blocco dei futuri vincitori Natta. Qui c’è una classe di strutturati che sta perdendo il lume della ragione. Invocano il fascismo e poi vorrebbero praticarlo come contromossa. Ma dopotutto c’è da avere comprensione, è comodo stare col sideB al caldo.
Con la classe che lo contraddistingue (è studioso e autore di indubbia finezza) Galli dice tutto il vero e l’essenziale non solo a proposito dell’iniziativa delle cosiddette cattedre del merito, ma anche a proposito della miserevole “visione” generale del pupazzo e del suo partito (totalmente improntata all’estrema destra neoliberista). Tanto più apprezzabile in quanto a quello spaventoso partito Galli è appartenuto (per poi prenderne, da par suo, radicalmente le distanze)
Dico proprio il contrario: quanti RTD di tipo B si potrebbero fare con i fondi delle cattedre Natta?
Quanti precari potrebbero accedere ad un ruolo permanente?
Sui precari…difficile fare un conto. Certo ben più di 500. 1000? 2000?
Meglio ancora, con i fondi delle cattedre Natta si potrebbero assumere 3000 forestali calabri, lasciando che i precari della ricerca emigrino nei paesi meritorcratici dove verranno pagati molto più che in Italia
[…] è stato pubblicato anche in «jobnews», in «roars», e nel sito della […]
cipper posta un commento privo di riscontri che cestiniamo. Alla luce delle statistiche nazionali, si direbbe che diffami i colleghi del suo dipartimento nascondendosi dietro l’anonimato (ma, nonostante questo, qualche idea ce la siamo fatta). Noi siamo abituati a metterci la faccia, anche quando scriviamo cose scomode. Chi non ha una faccia da mettere, deve quanto meno scrivere cose verificabii.