Girano insistenti voci che la discussione del testo unificato dei progetti di legge C. 783 (Torto ed altri) e C. 1608 (Melicchio) sarebbe stata calendarizzata alla Camera dei Deputati nel mese di settembre. Entrambi i progetti di legge hanno destato forti perplessità e preoccupazione. Nessuna delle criticità rilevate è stata risolta con l’accorpamento nel testo unificato che, anzi, risulta di gran lunga peggiore dei due articolati separati. Ho provato a immaginarne gli effetti fra cinque anni, attraverso le amare parole di uno dei pochi professori del vecchio sistema sopravvissuti alla catastrofe.
Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi … Università pubbliche in fiamme al largo dei bastioni del MIUR. E ho visto RTD B balenare nel buio vicino alle porte di Trastevere. Ho visto concorsi pubblici su base nazionale e graduatorie nazionali per professore junior bloccati per anni dai ricorsi al TAR, con conseguente paralisi di tutto il sistema universitario, cose che tra l’altro avevamo già visto con i concorsi nazionali alla fine degli anni ’90. Ho visto i danni della trasformazione dell’abilitazione scientifica nazionale in abilitazione alla docenza nazionale, con l’introduzione di indicatori e soglie non solo sui titoli e sulle pubblicazioni, ma anche sulle attività didattiche e gestionali. Ho visto l’ANVUR affrettarsi a proporre nuovi indici per tali scopi: come il D-index espresso dal logaritmo dei CFU diviso per la radice quadrata delle ore di didattica frontale, o il CdD-index definito dal rapporto fra il quadrato delle presenze ai consigli di dipartimento e il cubo della differenza fra le assenze non giustificate e quelle giustificate. Ho visto la catastrofe e l’annientamento dell’intero sistema universitario nazionale. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”.

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Girano insistenti voci che la discussione del testo unificato dei progetti di legge C. 783 (Torto ed altri) e C. 1608 (Melicchio) sarebbe stata calendarizzata alla Camera dei Deputati nel mese di settembre.

Si tratta delle “norme in materia di reclutamento e contratti del personale non permanente nell’università e negli enti pubblici di ricerca, di reclutamento e stato giuridico dei professori junior e dei professori universitari, nonché dell’istituzione dell’abilitazione alla docenza universitaria, di un collegio disciplinare presso il consiglio universitario nazionale e della programmazione del fabbisogno organico delle università”.

Entrambi i progetti di legge hanno destato forti perplessità e preoccupazione, sia durante le audizioni in Commissione (vedi ad esempio quella di Roberta Calvano), sia da parte delle associazioni (vedi ad esempio ADI), sia dalla redazione e dagli opinionisti di ROARS.

Nessuna delle criticità rilevate è stata risolta con l’accorpamento nel testo unificato che, anzi, risulta di gran lunga peggiore dei due articolati separati.

L’assenza di interlocuzione con la comunità accademica e scientifica e la sospetta accelerazione impressa all’iter parlamentare destano particolare apprensione.

Nemmeno la Gelmini usò questi metodi per far approvare la sua deprecabile riforma.

Purtroppo, anche nei contenuti, questa risulta ben peggiore.

Ho provato a immaginarne gli effetti fra cinque anni, attraverso le amare parole di uno dei pochi professori del vecchio sistema sopravvissuti alla catastrofe.

“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi …

Università pubbliche in fiamme al largo dei bastioni del MIUR.

E ho visto RTD B balenare nel buio vicino alle porte di Trastevere.

Ho visto l’inutilità delle borse pre-dottorali, che nessuno aveva chiesto e di cui nessuno sentiva il bisogno, e che hanno avuto come unico effetto l’ennesima riduzione delle borse di dottorato.

Ho visto ricercatori junior chiedersi che differenza c’era con gli oscuri RTD-a della Gelmini; almeno RTD-a non lo capiva nessuno mentre junior è servito solo a rendersi ridicoli al mondo intero.

Ho visto premi Nobel essere esclusi dalle selezioni per ricercatore junior solo perché non erano in possesso di un dottorato di ricerca.

Ho visto docenti e studenti sbigottiti chiedersi per quale strano motivo le università possano stipulare un numero di contratti di ricercatore universitario in misura non superiore al 20 per cento del totale dei professori junior.

Ho visto il sistema universitario nazionale che una volta era organizzato in maniera cilindrica (con egual numero di professori ordinari, associati e ricercatori), e poi dopo la Gelmini in modo piramidale, riorganizzarsi in una stravagante foggia ottaedrica, malferma sulla base.

Ho visto Pitagora discutere sconcertato con Euclide, nelle triste lande dell’Ade, sull’uso distorto che gli umani hanno fatto dei solidi platonici.

Ho visto Platone scuotere sconsolato la testa mormorando: «E questi hanno il coraggio di chiamarla Accademia!».

Ho visto funzionari universitari trascorrere la loro breve esistenza mortale a pubblicare bandi sugli innumerevoli portali pubblici per la trasparenza.

Ho visto Atenei condannati a scrivere e riscrivere per l’eternità i regolamenti sul reclutamento e le chiamate, per recepire i princìpi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, in cui il legislatore non ci aveva capito proprio nulla.

Ho visto bandi di selezione per ricercatore universitario vincolati all’esclusiva designazione del settore concorsuale, senza l’indicazione di alcun profilo delle competenze richieste, per cui Atenei che avevano necessità di assumere esperti di raggi B per espugnare i bastioni di Orione sono stati costretti a ingaggiare conoscitori del punto G localizzato alle porte di Tannhäuser (che tanto per la pseudoscienza di governo fa lo stesso).

Ho visto il principio dell’uno vale uno presto trasformarsi nell’uno vale l’altro.

Ho visto TAR crescere all’infinito per affrontare l’immane contenzioso generato dall’attribuzione dei bizzarri punteggi alle pubblicazioni e ai titoli dei ricercatori.

Ho visto selezioni universitarie per ricercatore e professore condotte da replicanti amministrativi con il solo ausilio di un foglio excel.

Ho visto i giganteschi disastri prodotti dalla formazione di graduatorie nelle selezioni pubbliche per ricercatore e professore, manco fossero concorsi per le Poste (con tutto il rispetto delle Poste).

Ho visto umani chiedersi la differenza fra i contratti di ricercatore junior e quelli di ricercatore universitario, proprio come dopo la Gelmini si chiedevano la differenza fra RTD-a e RTD-b.

Ho visto tutti i popoli dell’Universo domandarsi che bisogno c’era d’introdurre l’ennesima figura accademica e denominarla pittorescamente “professore junior”.

Ho visto ricercatori junior lamentarsi con i professori junior sugli acciacchi dell’età che avanza inesorabile.

Ho visto convinti sostenitori del governo giallo-verde, che era in carica cinque anni fa, chiedersi con quale logica sia stato prima concesso il tempo definito ai ricercatori a tempo determinato di tipo b con il “decreto crescita”, per poi rimpiazzarli con i professori junior con divieto di tempo definito.

Ho visto concorsi pubblici su base nazionale e graduatorie nazionali per professore junior bloccati per anni dai ricorsi al TAR, con conseguente paralisi di tutto il sistema universitario, cose che tra l’altro avevamo già visto con i concorsi nazionali alla fine degli anni ’90.

Ho visto persone di buon senso chiedersi con quale logica il governo giallo-verde di allora ripristinò i concorsi e le graduatorie nazionali per le Università, abolendo quelli locali sui quali si basa il reclutamento in tutto il mondo civile, per poi contemporaneamente abolire i concorsi e le graduatorie nazionali per la Scuola per procedere al regionalismo differenziato.

Ho visto commissioni nazionali di selezione – che dovevano essere composte da almeno undici professori sorteggiati per ciascun settore concorsuale, escludendo coloro che avevano fatto parte delle precedenti commissioni – non riuscire a costituirsi a causa del diluvio di rinunce, della miriade di incompatibilità e delle sospensive dei TAR.

Ho visto le commissioni degli undici professori sorteggiati sfidarsi in partite di calcio fra settori concorsuali con in palio i fondi PRIN, perché è noto che, parafrasando Kipling, un Italiano è un bel tipo, due Italiani un litigio, tre Italiani tre partiti politici … e undici Italiani una squadra di calcio.

Ho visto gli undici commissari misurarsi vicendevolmente l’H-index per decidere chi dovesse stare in porta.

Ho visto persone normali sostenere che, se proprio uno doveva valere uno, tanto valeva sorteggiare i candidati invece che i commissari, facendo semplicemente coincidere le selezioni per professore con le estrazioni del lotto.

Ho visto altrettante persone normali e dotate di ragionevolezza chiedersi cosa volesse dire: “determinazione di una soglia minima di idoneità per il superamento del concorso” per professore.

Ho visto Iosif Stalin all’Inferno commentare, sogghignando, i contingenti nazionali dei professori junior stabiliti per decreto ministeriale sulla base della programmazione triennale degli Atenei: «Almeno io la programmazione la concepii quinquennale, per non oberare il Paese con la burocrazia, e i contingenti dell’Armata Rossa li facevo reclutare dai Soviet per rispetto della loro autonomia».

Ho visto lo stato giuridico dei professori junior disciplinato dalla Legge 240/2010 (cd. Gelmini) e tutto il corpo accademico chiedersi all’unanimità: «e allora c’era proprio bisogno di un’altra riforma?».

Ho visto l’Autonomia universitaria – solennemente introdotta dai Padri costituenti all’art.33 della Costituzione, riconosciuta in tutti i Paesi democratici evoluti, faticosamente conquistata in Italia con la Legge 168/1989 (cd. Ruberti) – oggi mortificata e calpestata dagli improvvisati riformatori che l’hanno ridotta al giudizio di valutazione per il passaggio dei professori junior al ruolo unico dei professori.

Ho visto Atenei invasati dal sacro zelo della programmazione triennale, programmare il fabbisogno di personale in base a improgrammabili esigenze didattiche e di ricerca, perché le immatricolazioni sono grazie a Dio liberamente decise dagli studenti e i progetti di ricerca liberamente proposti dai ricercatori.

Ho visto gli Atenei della cosiddetta eccellenza (Normale, Sant’Anna, Politecnici del Nord) essere esentati dalla programmazione in salsa sovietica perché altrimenti non avrebbero potuto competere a livello internazionale, mentre ho visto tutte le altre Università italiane affondare nella palude burocratica e competere solo a livello provinciale o circondariale.

Ho visto l’ex direttore della STASI laggiù negli Inferi commentare entusiasticamente l’istituzione di un collegio disciplinare nazionale: «Vedi che i nostri metodi servivano a qualcosa!».

Ho visto il Presidente cubano telefonare meravigliato al collega della Corea del Nord: «Ehi! ma lo sai che quei comunisti di Italiani hanno abolito i professori associati introducendo il ruolo unico con fascia unica dei professori universitari?».

Ho visto il Presidente della Corea del Nord rispondere: «Era immaginabile! Queste sono le paradossali conseguenze di chi ancora pensa che uno vale uno».

Ho visto Jimbo Wales, il fondatore di Wikipedia, bloccare incredulo gli editori della pagina sugli Academic Ranks: «No via ragazzi! Controlliamo meglio! Non è possibile che in Italia abbiano abolito i professori ordinari e associati. Ci sono in tutto il mondo! Anche in Zimbabwe e in Venezuela! Non possono aver fatto una simile sciocchezza!».

Ho visto molti dei più convinti sostenitori del ruolo unico urlare disperati: «Fermatevi! Non avete capito nulla! Noi intendevamo ruolo unico articolato in due fasce con ricostruzione della carriera al passaggio di fascia, come era con il DPR 382/1980 prima dello scempio della Gelmini».

Ho visto i migliori giovani del Paese, terrorizzati dall’infernale sequenza predottorato – dottorato – ricercatore junior – ricercatore – professore junior – professore, dai concorsi nazionali, dalle graduatorie, dai contingenti ministeriali, dalla valutazione perenne, fuggire nelle università all’estero dove venivano semplicemente assunti con l’invio del curriculum e con un colloquio su skype.

Ho visto persone qualunque domandarsi perché prima c’erano i professori ordinari e adesso ci sono gli scatti stipendiali ordinari.

Ho visto autorevoli economisti interrogarsi sul perché non lasciare il trattamento economico dei professori alla libera contrattazione, come in tutto il mondo civile, invece di imporre per legge un burocratico sistema articolato in scatti stipendiali di livello ordinario e di livello superiore.

Ho visto i rettori della Scuola Normale Superiore, della Scuola Superiore Sant’Anna, dell’IUSS di Pavia, della SISSA, rivendicare l’esclusivo diritto agli scatti di livello superiore perché c’è chi la “superiorità” ce l’ha scritta nel nome, mentre tutti gli altri non sono un c***.

Ho visto il colossale contenzioso amministrativo prodotto dalle procedure valutative per la concessione degli scatti stipendiali di livello superiore, solo lontanamente paragonabile a ciò che successe con la scellerata valutazione del principal investigator nel PRIN 2017.

Ho visto l’avvelenamento dei rapporti nelle comunità scientifiche, la lotta ai coltelli fra colleghi, le tonitruanti folgori della valutazione a vicenda continua e perenne, le profonde nebbie delle istanze di revisione al CUN, dei ricorsi al TAR e delle impugnazioni innanzi al Consiglio di Stato.

Ho visto il nuovo sistema di progressioni stipendiali dei nuovi professori congegnato in modo tale che con gli scatti ordinari si poteva arrivare al massimo, previa valutazione, allo stipendio attuale di un professore associato, mentre con quelli di livello superiore si raggiungeva al massimo, tramite ulteriore e più severa valutazione, solamente lo stipendio attuale di un ordinario.

Ho visto gli strali e udito le imprecazioni di tutto il mondo accademico quando si accorse che ciò significava, in parole povere, solo una cosa: taglio lineare delle retribuzioni.

Ho visto Monti confabulare con Tremonti: «Ehi, come mai a questo noi non avevamo pensato!».

Ho visto l’ANVUR precipitarsi a elaborare statistiche e indicatori, soglie e percentili, formule magiche e algoritmi per la definizione delle “mediane retributive” per la valutazione del “livello superiore ai livelli qualitativi e quantitativi normalmente raggiunti dai membri della comunità universitaria”.

Ho visto molti degli undici commissari delle selezioni per professore junior di cui sopra offrirsi spontaneamente per il ruolo di mediano, pur di non doversi confrontare con le mediane.

Ho visto i danni della trasformazione dell’abilitazione scientifica nazionale in abilitazione alla docenza nazionale, con l’introduzione di indicatori e soglie non solo sui titoli e sulle pubblicazioni, ma anche sulle attività didattiche e gestionali.

Ho visto l’ANVUR affrettarsi a proporre nuovi indici per tali scopi: come il D-index espresso dal logaritmo dei CFU diviso per la radice quadrata delle ore di didattica frontale, o il CdD-index definito dal rapporto fra il quadrato delle presenze ai consigli di dipartimento e il cubo della differenza fra le assenze non giustificate e quelle giustificate.

Ho visto l’abilitazione alla docenza universitaria acquisire durata illimitata, il che è la sola e unica cosa condivisibile nel gran pasticcio del testo unificato dei due progetti di legge.

Ho visto tutti quelli che dicevano: «E allora il PD?» ricredersi e rimpiangere la Giannini e la Fedeli che almeno ebbero la buona educazione e il buon senso di risparmiare al Paese l’ennesima sciagurata riforma del sistema universitario.

Ho visto la Consulta accorgersi che tutta la riforma era palesemente anticostituzionale … troppo tardi.

Ho visto la catastrofe e l’annientamento dell’intero sistema universitario nazionale.

E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia.

È tempo di morire”.

“Bella esperienza vivere nel terrore, vero?

In questo consiste essere uno schiavo”

(il replicante Roy Batty in Blade Runner, 1982)

#MaiPiùRiforme

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3 Commenti

  1. Anche ANDU manifesta perplessità:
    http://www.andu-universita.it/2019/08/07/piu-fasce/
    =============
    Da: ANDU
    Inviato: ‎07/‎08/‎2019 14:27
    Oggetto: Nuova pessima legge su reclutamento e docenza

    ANDU – Associazione Nazionale Docenti Universitari

    […]

    1. NUOVA LEGGE SU RECLUTAMENTO E DOCENZA: PIU’ PRECARIATO E PIU’ FASCE
    A settembre sarà depositato in Commissione Cultura della Camera il
    testo* unificato (cliccare qui) delle due Proposte di Legge Melicchio
    (1608) e Torto (783). Queste due proposte sono state già riportate* e
    commentate* dall’ANDU anche in Commissione.
    La PdL unificata è per tanta parte la somma delle due precedenti PdL e
    introduce la figura del docente “unico”.
    Si tratta di una proposta che, se approvata, riuscirebbe perfino a
    peggiorare non poco l’attuale pessimo assetto del reclutamento e della
    docenza universitaria.
    Infatti:
    a. Si amplia la giungla delle figure precarie introducendo il
    pre-dottorato (art. 2); si mantengono sostanzialmente gli assegnisti di
    ricerca chiamandoli “ricercatori junior” (art. 3); i RTDa vengono
    sostituiti con i “ricercatori universitari” (art. 4), con la novità
    positiva del contingentamento dei posti; si trasforma il RTDb in
    “professore junior” con accesso per concorso nazionale (art. 5), senza la
    sicurezza per i vincitori di prendere servizio (comma 6).
    In questo modo si disegna un percorso “normale” di 15 anni (più gli
    intervalli) prima di arrivare (chi ci arriva) al ruolo docente.
    Invece andrebbero eliminate TUTTE le figure attuali (eccetto il
    dottorato) introducendo una sola figura di pre-ruolo di durata massima di 3
    anni, in numero rapportato agli sbocchi in ruolo, e si dovrebbero prorogare
    tutti gli attuali precari fino all’espletamento dei bandi.
    b. Si mantiene il localismo (cooptazione personale) delle prove a
    tutti i livelli (eccetto per l’ingresso nei professori junior e per i super
    scatti) invece di prevedere SEMPRE (dal dottorato in poi) prove nazionali
    con commissioni di soli sorteggiati.
    Si mantiene l’abilitazione per continuare a coprire, malamente, il
    potere del singolo maestro di scegliere chi vuole. E tutto questo
    nonostante gli “scandali” ricorrenti, l’ultimo dei quali ha portano alla
    richiesta di commissariare l’ateneo di Catania proprio da parte di coloro
    che propongono leggi che mantengono i meccanismi localistici, proprio
    quelli che producono gli “scandali”. V. il documento* dell’ANDU
    “Università. Commissariare Catania o de-commissariare tutti gli Atenei?”.
    c. Si introduce un docente “unico” (art. 11) sottoposto, per gli
    scatti stipendiali, a valutazione locale (comma 2 lettera a), invece di
    ritornare agli scatti automatici, e si aggiungono i super scatti biennali
    (comma 2 lettera b) destinati ai professori eccellenti (comma 4 lettera c)
    valutati tali dalla commissione per le abilitazioni (comma 4 lettera a). La
    “cultura” americaneggiante dell’iper-meritocrazia ad ogni costo è così
    riuscita a immaginare una docenza frantumata in decine di trattamenti
    economici diversi (fasce), accentuando-imponendo logiche di competizione
    insensate e dannose.
    Invece andrebbe previsto un ruolo unico (uguali mansioni e poteri) in
    tre fasce (con progressione economica automatica all’interno di ogni
    fascia) e passaggio automatico da una fascia all’altra attraverso un
    giudizio nazionale individuale da parte di una commissione di sorteggiati.
    Sul docente unico da decenni l’ANDU ha elaborato una articolata proposta
    contenuta nel documento* “Come ricostruire l’Università tutta” al punto c.
    d. Si prevede il passaggio automatico dei professori associati e
    ordinari (comma 1 dell’art. 14) nel ruolo “unico”, mentre per i RTI, che
    svolgono anche da decenni le stesse mansioni dei professori, si prevede lo
    stesso trattamento dei professori junior (comma 4), cioè l’abilitazione
    nazionale e una valutazione locale di livello internazionale (comma 1
    dell’art. 8).
    e. Si abolisce il collegio di disciplina locale (art. 15) senza nulla
    prevedere sulla composizione di quello nazionale che era formato in modo
    insensatamente gerarchico.
    – Non si prevede alcun bando straordinario di almeno 20.000 posti di
    ruolo, perpetuando così l’espulsione dall’università di oltre il 90% dei
    precari “usa e getta”.
    – Si rafforza l’ANVUR, invece di abolirla, e si mantiene il CUN,
    invece di sostituirlo con un Organo di autogoverno del Sistema nazionale
    universitario, interamente elettivo e non frammentato in categorie e
    settori scientifici.
    – Non si prevede nessun cambiamento della governance degli atenei che,
    insieme al localismo delle prove, consente una gestione padronale degli
    stessi atenei che finisce per coinvolgere, a livelli e con interessi
    diversi, gran parte dei docenti.

  2. Lo dico con assoluta sincerità… Da quando siamo diventati prigionieri degli esperti di statistica, ricerca operativa, aziendalisti, economisti e altri “costruttori” di “indici”, “algoritmi”, “mediane”, e altri più o meno complicati criteri numerici, l’Università è tutta “vocata” (si fa per dire) al soddisfacimento di quegli obiettivi, senza minimamente tener conto della ragione per cui esistono gli Atenei, ricerca e didattica in primis…
    Sono sempre meno a mio agio e sempre più prigioniero di logiche incomprensibili…
    Mentre poco si dice e nulla si fa sui deprecabili episodi di corruzione e malaffare che pervadono le nostre selezioni…

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