I temi dell’Open science emergono costantemente a livello europeo (e non solo), in convegni, documenti di policy, dichiarazioni di principio, articoli scientifici, agende politiche relative alla ricerca scientifica.
Una caratteristica del dibattito italiano sui temi della scienza aperta è di essere parziale (la si collega solo all’open access o, peggio ancora, ai contratti trasformativi che con la scienza aperta non hanno nulla a che fare), spesso disinformato o decontestualizzato (come dimostra un recente pezzo pubblicato come opinione proprio su questo stesso blog). Ci sembra dunque importante seguire le tappe della evoluzione del discorso sulla scienza aperta, attraverso un “osservatorio” che porterà su queste pagine e all’attenzione delle comunità disciplinari le notizie, gli eventi, i progetti, i documenti e le decisioni più importanti sia a livello globale che a livello nazionale.
La notizia di oggi riguarda un articolo di David Mills pubblicato su University World News.
Il titolo è fuorviante : Bibliometrics: Building an equitable global science system . Ci si aspetterebbe infatti un articolo dedicato alla bibliometria e ai suoi effetti distortivi, ma in realtà il tema centrale è l’editoria scientifica e la affermazione, a partire dalla seconda metà del secolo scorso di un mercato oligopolistico. L’articolo prende le mosse dalla storia di Robert Maxwell, fondatore della Pergamon press. Egli fonda il proprio impero nel contesto favorevole alla ricerca scientifica creato da Vannevar Bush nel periodo del Dopoguerra con il suo famoso report Science the endless frontier.
Vannevar was a skilled administrator, but not an entrepreneur. Robert Maxwell was one of the first entrepreneurs to realise just how profitable scientific publishing could be. For more than 30 years he convinced numerous editors and societies to sign contracts, rapidly scaling Pergamon’s journal publishing programme from six in 1951 to more than 700 at the company’s peak in the 1980s
In questo stesso periodo e nello stesso clima di rinascita e fiducia nella ricerca scientifica comincia ad operare Eugene Garfield
Amid a rapid growth in research flows, he was determined to find ways to automate and speed up information searching […] His first step was to build a database of all the references in a select group of 600 scientific journals. Launched in 1963, the number of indexed journals doubled in three years. As it grew it began to define ‘reputable’ academic knowledge.
Come è noto quattro editori monopolizzano da anni il mercato globale delle pubblicazioni scientifiche, ciascuno con più di 2000 journals (Springer, Elsevier, Wiley e Taylor and Francis) al quinto posto troviamo Sage che pubblica 900 journals. Questo gruppo di cinque editori forma un oligopolio che ha una influenza e un potere enormi nella definizione dei temi di ricerca e delle carriere dei ricercatori.
A questi colossi si aggiungono più di recente nuove iniziative interamente open access come quella di MDPI che pubblica centinaia di migliaia di articoli ogni anno.
Il mercato che si è costituito in mano a questo oligopolio è un mercato molto ricco con enormi barriere all’ingresso rappresentate dal prestigio dei loghi editoriali.
Non è un caso, dice Mills, che mentre un tempo c’era il marchio The Lancet, ora le riviste con marchio The Lancet sono 22 e mentre un tempo c’era Nature oggi sono più di 30 i journal che hanno Nature nel titolo.
Universities are ever more focused on reputation and international rankings as they compete for students, funding patronage and reputation. Many incentivise their staff to publish through financial incentives and promotion pressures, changing academic practice.
Si apre l’era del publish or perish. Se si vuole rimanere nell’accademia il target sono i journal dei cinque colossi editoriali.
In this context, it is not surprising that some academics take short cuts to survive. In China, as in other emerging economies, doctors and other professionals need to have academic publications in ‘top’ journals to get promoted. If they have no research or writing experience, the chances of getting their work into SCI journals is slim. The only option may be to purchase authorship, and there is thus a burgeoning demand for brokers and agents who can help with this process. This has led to a series of high-profile mass retractions
Questa è dunque anche l’era della frode scientifica, delle retraction e, come reazione, della enfasi posta sulla research integrity. Curiosamente, invece che concentrarsi sulle inefficienze del sistema delle pubblicazioni scientifiche che aderisce ai principi del mainstream e a quelli di una ricerca performance based valutata e premiata sulla base di indici quantitativi, si preferisce concentrarsi sulla identificazione dei comportamenti scorretti. Si cura insomma il sintomo fingendo di non conoscere la causa.
More broadly, the discourse of ‘fraudulent’ science also serves to reassert the boundaries of genuine science, and to shore up the legitimacy and value of its key currency: citation data.
In questo quadro ci sono aree del mondo completamente non rappresentate nelle banche dati utilizzate per circoscrivere la “scienza buona” distinguendola da quella fraudolenta. L’articolo porta l’esempio dell’Africa e della scarsissima presenza di riviste prodotte in Africa nelle banche dati bibliometriche, ma la situazione è simile per gran parte del mondo non anglofono.
L’autore si chiede se nella situazione descritta l’open science sia la domanda o la risposta.
Dopo il sostanziale fallimento dei principi della Dichiarazione di Berlino (firmata per l’Italia dalla quasi totalità delle istituzioni e rimasta per anni lettera morta nel nostro Paese) Coalition S sembrava poter dare un nuovo impulso alla scienza aperta attraverso la stipula di contratti a tempo che avrebbero dovuto aiutare gli editori a trasformarsi (anche qui l’Italia ha aderito con entusiasmo come dimostra un recente poster presentato dalla CRUI a ita EOSC). Niente di più sbagliato (come ha riconosciuto Coalition S recentemente) questi contratti hanno dato come risposta una crescita ulteriore dei profitti degli editori, in un sistema (quello della comunicazione scientifica) che continua a mostrare molti elementi di debolezza.
Far from helping to decolonise the publishing ecosystem, this model of open science [i contratti trasformativi] embeds the dominance of commercial publishers. At the same time, it marginalises researchers working in resource-deprived research systems and seems to be embedding acceleration and productivism as survival strategies for those on the academic periphery.
Una soluzione alle inefficienze e disfunzionalità del sistema editoriale commerciale sembra poter essere offerta da infrastrutture pubbliche gestite dalle comunità disciplinari, come raccomandano Unesco (2021) e Consiglio dell’Unione Europea.
Reindirizzare le risorse verso infrastrutture gestite dalle istituzioni richiede però una fortissima volontà politica e una grandissima capacità di comunicare il valore di scelte di questo tipo alle comunità scientifiche, a partire dalla modifica di sistemi di valutazione basati sulla bibliometria.
In alcune parti del mondo questa impresa ha già avuto successo, si pensi alla piattaforma SciELO in America Latina. Progetti come Diamas e Operas sono in corso in Europa.
A sessant’anni dalla pubblicazione del primo citation index di Garfield e a 70 anni dalla fondazione di Pergamon Press le pubblicazioni scientifiche rappresentano certamente un mercato ricchissimo che attira fondi importanti dalla ricerca. Editori di pubblicazioni scientifiche e di banche dati bibliometriche (almeno in un caso coincidenti) hanno creato a questo punto una economia delle citazioni. Le metriche non fanno altro che rinforzare il predominio degli oligopoli della scienza, quegli stessi oligopoli che sono necessari alla sopravvivenza dei ricercatori in un sistema sempre più definito dai numeri (Nefarious numbers li chiamava D. Arnold).
Is there a way out of this recursive growth loop? Open access advocates, funders and researchers offer a vision of a more equitable global research system built around community-owned publishing infrastructures and standards. The first step on this journey is weaning scholars and universities off the addictive measures of scientific credibility sold by commercially owned citation indexes.