Prosegue il dibattito sull’importanza della cultura umanistica e il suo rapporto con i saperi scientifici, iniziato a proposito dell’appello pubblicato da Esposito, Della Loggia e Asor Rosa in cui si paventava un definanziamento e una emarginazione degli studi letterari ed umanistici. L’intervento di Daniele Scalea è stato già pubblicato da Huffington Post il 18-12-2013.
Redazione di Roars
L’università in Italia non va più di moda.Quasi quotidianamente i media, di qualsiasi colore, c’informano di quanto l’università italiana sia inefficiente, corrotta, inutile. Questi attacchi il più delle volte si rivelano ingiustificati perché basati su assunti e affermazioni palesemente falsi, anche se innegabilmente diversi problemi ci sono realmente.
Vi sono alcuni neoliberali che auspicano un generale ridimensionamento dell’università italiana, di per sé già molto ridotta (la percentuale di laureati in Italia è sotto la media OCSE, e sotto paesi come Polonia, Grecia, Ungheria, Slovacchia, Portogallo o Messico). È il caso di Francesco Giavazzi, il quale si chiede se all’Italia servano davvero quei laureati in più necessari a riallinearci con la media dei paesi civili e avanzati. O di Luigi Zingales, per il quale è inutile investire nel progresso tecnologico quando l’Italia potrebbe trasformarsi in un immenso villaggio turistico per cinesi e indiani.
Ma a parte questi casi estremi, in genere la critica risparmia le cosiddette scienze esatte per scagliarsi invece contro lettere, filosofia e scienze umane: talvolta sintetizzate nella parola “cultura“, la quale ormai nell’immaginario comune sta perdendo la sua accezione nobile per essere identificata con qualcosa d’inutile e superfluo. Qualcosa con cui “non si mangia”, per usare celebri parole dell’allora ministro Giulio Tremonti.
Vogliamo qui spezzare una lancia a favore della tanto bistrattata cultura umanista, e non ricorrendo ai pur ragionevoli argomenti di chi, numeri alla mano, dimostra che gl’investimenti culturali danno un ritorno economico. Perché ricorrere a tali argomentazioni significa restare all’interno della gabbia concettuale imposta dall’egemonia del totalitarismo neoliberale, per cui il mercato diviene onnipresente e onnipervasivo, metro e misura di ogni cosa. E così abbiamo “l’industria culturale”, o “l’università-azienda“.
Rammentiamo invece, una volta tanto, che il mercato non è l’unica realtà, l’incontro di domanda e offerta l’unica legge naturale; ricordiamo che non esistono solo produttori e consumatori, ma anche individui, che nella società divengono cittadini.
La cultura umanista è un elemento imprescindibile per formare individui coscienziosi, profondi, rispettosi del prossimo. Con ciò non si vuol certo affermare che le persone incolte siano necessariamente grette; ma è pur vero che una persona arida di spirito difficilmente troverà utile irrigarlo con letture e conoscenze, mentre persone svantaggiate, ma feconde nell’animo, hanno da sempre dimostrato di poter divenire da autodidatti individui più colti di chi aveva maggiori mezzi di loro per studiare e ricercare la conoscenza.
Un buon romanzo, una buona trattazione filosofica, una poesia profonda, non sono semplici passatempi cui guardare alla stregua di altri modi per impiegare il tempo libero. Perché un film, un videogioco, la musica pop, un’attività sportiva sono tutti impieghi più che legittimi, e spesso positivi, del proprio tempo (nessuno negherà mai il diritto alla distrazione e alla leggerezza), ma mai potranno indurre quella riflessione interiore, quello sviluppo della propria sensibilità, che provengono da un buon libro o da una buona discussione dotta. Sono quest’ultime attività che inducono a cercare dentro di sé quelle verità forse parziali, ma che non si possono trovare altrove. “Conosci te stesso”, era la sentenza iscritta sul Tempio d’Apollo a Delfi. E alcuni secoli dopo, Leonardo da Vinci ricordava che non si può avere maggiore signoria che quella su sé medesimi.
In quest’epoca la cultura letteraria e filosofica è più che mai necessaria, anche come forma di educazione civica. Perché se in epoche piagate dall’analfabetismo, supplivano la presenza d’una ristretta élite colta e, tra le masse incolte, l’elemento nobilitante della religiosità, oggi, nell’epoca dell’alfabetizzazione di massa, si è giunti a quello che Marcuse definì “l’uomo a una dimensione”: il consumatore euforico ma ottuso. Significativamente, quest’inaridimento dell’individualità umana procede parallelo all’analfabetismo di ritorno e, ancor più, a quello funzionale. Tra l’altro, le ricerche quantitative dei sociologi hanno dimostrato una correlazione diretta tra analfabetismo funzionale (saper leggere ma non comprendere i testi scritti minimamente complessi) e criminalità.
Sono ormai lontani i tempi in cui i ricchi erano anche i più acculturati, e in cui i ceti subalterni vedevano nell’istruzione e nella cultura dei mezzi di ascesa ed emancipazione sociale. Ascesa ed emancipazione non solo e non tanto perché ci si aspettasse da esse una retribuzione più alta, ma innanzi tutto perché radicata era la convinzione che “sapere è potere”, come scrisse Bacone, e che “la verità rende liberi”, secondo il detto evangelico. Oggi che i ricchi preferiscono ben altri passatempi alla cultura, e che i figli e figlie dei poveri cercano la fortuna nei casting dei reality show, non si nota anche una volgarità, una mancanza di rispetto per il prossimo, un’inconsistenza etica, molto più diffusi d’un tempo?
Ma la cultura umanista serve non solo all’individuo ma pure alla collettività. Il sapere umanistico è la prima e fondamentale forma d’educazione civica, ben più preziosa di quella stantia e vuota che si studia nelle scuole. Sono le scienze e le lettere umane a fornire sia quel senso d’identità condivisa che cementa una società, sia quel bagaglio di conoscenze che permette ai cittadini di selezionare i decisori e ai decisori di prendere le decisioni giuste. La storia è davvero la ciceroniana magistra vitae, che fornisce modelli comportamentali e permette di comprendere il presente dal passato. Sociologia ed economia sono strumenti fondamentali per gestire la cosa pubblica.
È sotto gli occhi di tutti quali sono stati i risultati d’una società, quella italiana, il cui grado d’istruzione è relativamente basso (poco più d’un laureato ogni dieci adulti, dati OCSE) e in cui si legge poco o nulla (più della metà della popolazione non legge alcun libro, dati ISTAT). I cittadini hanno selezionato una classe dirigente (politica ma anche imprenditoriale e finanziaria) la cui qualità e i cui fallimenti sono oggetto di discussione quotidiana. Il nostro paese sta attraversando un’acuta fase di declino in cui la crisi economica segue, e non precede, la crisi politica, la crisi morale, la crisi culturale.
La verità è che il problema di questo paese non è la troppa cultura, le troppe lettere, le troppe scienze umane. Semmai, questo è il momento in cui l’Italia avrebbe il massimo bisogno di cittadini e decisori che sappiano davvero cosa fanno. Di un’istruzione che, come diceva Mackinder, fornisca gli strumenti critici per gestire una democrazia.
Solo così si potrà discutere del futuro di questo paese e del da farsi di fronte a questioni drammatiche che non si possono esorcizzare ignorandole. Altro che parlare di leggi elettorali o, peggio, di cani Dudù, mentre la nave affonda.
(Articolo Pubblicato su l’ Huffington Post)
[…] Apologia della cultura umanistica […]
Non vi è dubbio che l’articolo meriti attenzione. Il problema è che si resta sul generico in quanto cultura umanistica in sè senza indicare i campi di ricerca non ha futuro. Se l’oscuramento dei significati che catterizzano tale cultura tende ad aumentare vuol dire che tale oscuramento è accettato.
Penso che siano necessari nuovi processi di coinvolgimento nella ricerca della storia antica e delle manifestazioni artistiche del nostro passato classico. Al riguardo deve riprendere con forza la critica testuale sulle opere di autori greci e latini e sulla letturatura greca e latina e il greco antico e il latino bisogna che vengano offerte possibilità di apprendimento fuori dalle aule universitarie e dei licei classici.
Approvo incondizionatamente. Quanto alla critica fatta direttamente sui testi, sarebbe il prerequisito minimo di ogni umanesimo che non sia aria fritta.
le solite lacrime di coccodrillo. una scenetta …all’italiana. gira voce nel mio settore (umanistico) che alcuni nuovi abilitati abbiano avuto giudicati positivamente anche articoli o interventi fatti su siti internet. va bene la modernità, va bene la modernizzazione… ma a volte è troppo.
Sarò vecchio? Per me esiste una sola cultura, la cultura degli uomini. Si declina in declinazioni dei nomi, equazioni delle onde, ipotesi sul funzionamento della società, etc. etc. Divide et impera…
[…] [1] Cfr. https://www.roars.it/apologia-della-cultura-umanistica/. […]
[…] [1] Cfr. https://www.roars.it/apologia-della-cultura-umanistica/. […]
“Il nostro paese sta attraversando un’acuta fase di declino in cui la crisi economica segue, e non precede, la crisi politica, la crisi morale, la crisi culturale”.
da ventitreenne: siamo in stallo (globalmente?), ben venga la crisi.
Stiamo dissipando tutte le nostre energie verso un unico modello (e parlo di quello economico);
esempio di ciò che vedo:
la tanto decantata rivoluzione informatica che deriva verso applicazioni per smartphone,
primari ospedalieri che divengono manager aziendali;
matricole universitarie (e sono in molti) che sognano un posto come contabili ecc ecc.. in grandi aziende o banche (posti dall’impiego Sicuro!).
L’errore di fondo è uno. Dio era immortale, poi è morto.
Una dimensione per l’uomo, ri-citando Marcuse, può essere una proiezione di rischio; forse sta realizzandosi ma ho il presentimento che non durerà in eterno. E’ solo un presentimento.
e non avendo il presentimento “solide basi scientifiche” non è funzionale, o meglio, Utile.
Anch’io vedo (alcuni) colleghi atteggiarsi a manager e a castigamatti perché ora il sistema li favorisce e li premia. Fanno ridere (o piangere): hanno smesso di credere nello studio e nella didattica, o forse non ci hanno mai creduto. Andranno in pensione lasciando macerie.