Leggere il XVII rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati è un’occasione per smentire alcuni luoghi comuni della classe dirigente più ideologica e ignorante d’Europa, quella italiana. Nel 2013, il 28% dei manager aveva completato solo la scuola dell’obbligo. In Germania, tale quota è del 5%. Il fallimento delle riforme dell’istruzione è attestato dal basso tasso dei laureati (il 22% contro una media Ue al 37%) a cui oggi si aggiunge il crollo delle immatricolazioni all’università: dal 2003 (338 mila) al 2013 (270 mila), meno 20%. Altra leggenda smontata dal rapporto: i laureati italiani costano troppo. Falso: costano la metà di un laureato tedesco e circa il 30% in meno della media dei paesi Ocse.
- Link alla XVII Indagine Almalaurea sulla Condizione Occupazionale dei laureati
- Link al Comunicato stampa Almalaurea
- Le figure sono tratte dalla presentazione di G. Gasperoni e F. Ferrante: Rapporto sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati
Secondo Roger Abravanel, gli atenei “creano schiere di giovani disoccupati”. Almalaurea mostra che – in quadro di generale peggioramento – il tasso di disoccupazione di diplomati e non diplomati è assai peggiore (Che novità: la laurea serve, dopo 5 anni di precariato).
Leggere il XVII rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati – presentato ieri all’università Bicocca a Milano — è un’occasione per smentire alcuni luoghi comuni della classe dirigente più ideologica e ignorante d’Europa, quella italiana. Cominciamo dall’imprenditore, presentato a tutti come modello di virtù. Nel 2013 il 28% dei manager aveva completato solo la scuola dell’obbligo. In Germania tale quota è del 5%. La media Eu27 è del 10%. Alle imprese dirette da questa categoria il governo Renzi ha elargito 3,9 miliardi di euro in sgravi fiscali per assumere precari «a tutele crescenti» in tre anni.
Il rapporto Almalaurea ricorda come questo ceto senza formazione terziaria avanzata abbia dato vita ad una struttura imprenditoriale a gestione familiare (il 66% contro il 36% della Spagna e il 28% della Germania), incapace di «valorizzare il capitale umano», l’innovazione del lavoro e l’internazionalizzazione dell’impresa. Più che investire sul lavoro e sulla formazione, il governo sta premiando i meccanismi di reclutamento di tipo familistico che, secondo il rapporto, sono diffusi in questa tipologia di aziende. Così la mobilità sociale resta il sogno degli illusi della meritocrazia.
La ricerca permette inoltre di comprendere il complesso intreccio tra l’arretratezza culturale, l’inesistenza delle politiche industriali, bassi salari (i laureati guadagnano mille euro in media: Figli della bolla formativa: laureati, precari e al nero) e il fallimento delle riforme dell’istruzione, a cominciare da quella del loquace Luigi Berlinguer rivendicata da Renzi (Il ventennale assalto all’istruzione (e al ceto medio)).
Un disastro attestato dal basso tasso dei laureati (il 22% contro una media Ue al 37%) a cui oggi si aggiunge il crollo delle immatricolazioni all’università: dal 2003 (338 mila) al 2013 (270 mila), meno 20%.
Invece di curarlo, queste «riforme» hanno peggiorato il basso tasso di scolarizzazione tra la popolazione. Nel 2013 gli adulti in possesso della scuola dell’obbligo erano il 64%, più del doppio della media europea al 29%, per non parlare di quella tedesca al 18%.
Altra leggenda smontata dal rapporto. I laureati italiani costano troppo. Falso: costano la metà di un laureato tedesco e circa il 30% in meno della media dei paesi Ocse.
Il rapporto offre, infine, una spiegazione della famigerata «fuga dei cervelli», interna ed esterna. Il «brain drain» è un fenomeno normale in un’economia cognitiva, ma ingigantito dalla retorica patriottarda del made in Italy. Il problema dell’Italia è che non attrae «cervelli» dall’estero. Nessuno è interessato a lavorare in un’università tagliata di 1,1 miliardi dal 2008 e con stipendi da fame.
Oggi l’emigrazione degli studenti da Sud a Nord è stata causata anche dalla riforma Gelmini che ha trasformato le università in aziende che competono per ottenere un fondo premiale. Sostiene Almalaurea che la polarizzazione Nord-Sud sia causata dall’uso del «ranking». Le famiglie iscrivono i figli nelle università prime in classifica. Al «ranking», Almalaurea preferisce il «rating», concetto discutibile che sembra alludere a una valutazione «efficiente» e a norma di Costituzione. Resta da capire chi deciderà sui criteri dell’allocazione delle risorse scarse e sulla loro valutazione. Gli stessi politici e burocrati che hanno creato il disastro neoliberista dell’istruzione-azienda?
Pubblicato sul Manifesto del 29.05.2015
E’ un articolo molto interessante. purtroppo nel nostro paese ha vinto Lucignolo, già da alcuni anni, e sarà molto difficile tornare indietro. Ora ci ammanniscono la bufala del difetto di formazione e vogliono farci credere che dando maggior potere ai presidi, immediatamente la formazione migliorerà ed i giovani troveranno sistemazione. Ben altri sarebbero gli interventi necessari. Trovo particolarmente interessante il riferimento al capitalismo familistico. In Germania ed in USA è difficile trattenere un Ph.D. in Università perché le aziende, interessate all’ innovazione, offrono contratti più competitivi. Da noi le aziende preferiscono i periti chimici, spesso bravissimi, ma senza alcuna esperienza in ricerca veramente innovativa.
>Ben altri sarebbero gli interventi necessari.
Vero! Ma ad esempio quali?
Purtroppo debbo segnalare alcune questioni che peggiorano i dati. 1) ALMALAUREA non distingue tra chi prende una seconda, terza… etc laurea e chi è alla prima; sicché più volte, essendomi rilaureato nel 2011 dopo la prima del 1980, mi è stato chiesto se fossi occupato o meno… faccio l’insegnante dal 1983! 2) Le università e il consorzio ALMALAUREA nonché ALMADIPLOMA obbligano gli studenti ad iscriversi al loro sito come conditio sine qua non per l’ottenimento del titolo; 3) quando mi sono laureata a Viterbo, nonostante fosse ben noto che fossi insegnante, mi è stato offerto via ALMALAUREA un posto di fabbricante di mattonelle. Ho chiesto più volte di dialogare con questi signori, ma non mi hanno risposto. Stando così le cose vi invito a dubitare dei dati: forse sono peggiori. Oppure prendiamo a campione degli studenti e vediamo che cosa propone loro ALMALAUREA.
Confermo! Le analisi di Almalaurea non sono attendibili!
Sarebbe così gentile da fornire qualche dettaglio? Per esempio, pmorpurgo ha spiegato che potrebbero esserci duplicazioni del sondaggio per chi consegue una doppia laurea.
Il questionario Almalaurea in molte università è obbligatorio per presentare la domanda di laurea, di qualsiasi livello essa sia. In caso di doppia laurea il questionario viene quindi compilato due volte e, nel caso di laurea triennale più doppia laurea magistrale, addirittura tre!
Nelle statistiche Almalaurea (come pure nell’indagine) i dati per la triennale e la magistrale sono sempre disaggregabili. Non ho idea di come venga gestito il caso di più lauree dello stesso livello, ma un’eventuale distorsione non dovrebbe avere un grande impatto sui dati aggregati.
“Nel 2013 il 28% dei manager aveva completato solo la scuola dell’obbligo [in Italia]. In Germania tale quota è del 5%.”
Con l’ulteriore differenza, se non sbaglio, che la scuola dell’obbligo in Italia finisce ai 16 anni, in Germania con la maturità.
Si possono confrontare i dati con l’andamento della natalità, che mi risulta in continua discesa?
Grazie
Ecco il grafico dell’andamento dei 19enni, il quale mostra che il loro numero rimane circa stabile nel periodo 2003-2013 che vede un calo del 20% delle immatricolazioni. Da notare che nelle altre nazioni la percentuale di laureati cresce e che l’Italia era già ultima in Europa.

