Mario Castagna (Unità del 7 settembre 2012)
Doveva rappresentare la rivoluzione del merito, ma il treno dell’abilitazione scientifica nazionale rischia di deragliare subito, sulla della definizione dei parametri per misurare la qualità oggettiva di ogni ricercatore. Ieri il Tar del Lazio esaminando il ricorso dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, che contestava il decreto che disciplinava i criteri e i parametri per la valutazione dei candidati alla carica di professori universitari, ha rinviato al 23 Gennaio la discussione di merito. Nell’ordinanza di rinvio però si fa esplicito riferimento al possibile accoglimento del ricorso con il rischio, serissimo, che a gennaio tutto il processo debba ricominciare da capo. Ma facciamo un passo indietro. La legge Gelmini, approvata tra le proteste nel dicembre del 2010, prevedeva che, per accedere ai concorsi indetti dalle singole università, ogni candidato dovesse superare un’abilitazione nazionale che avrebbe finalmente cancellato ogni concorso farsa. Via le selezioni vinte a tavolino da concorrenti senza lo straccio di una pubblicazione, largo al merito che sarebbe stato misurato oggettivamente grazie al calcolo di indici numerici sulla rilevanza di ogni prodotto di ricerca presentato dai concorrenti.
A risolvere tutti i problemi ci avrebbe pensato la nuova procedura concorsuale prevista dall’ex ministro Gelmini. Come previsto da molti ricercatori, misurare oggettivamente la qualità di una pubblicazione scientifica è tutt’altro che semplice. «L’uso di parametri bibliometrici, dal numero di citazioni alla classifica delle riviste scientifiche, per misurare oggettivamente la qualità della ricerca scientifica è una cosa che non si fa da nessuna parte – commenta Francesco Sylos Labini, ricercatore di fisica al Cnr e animatore della rivista telematica Roars – al massimo si può utilizzare per misurare in maniera aggregata la qualità della ricerca di un insieme di ricercatori, ma non del singolo». I rischio che tutto il processo si bloccasse a causa delle fragilissime fondamenta sul quale si basava l’edificio della riforma gelminiana era ben chiaro a tutti, anche al ministro Profumo. Tanto chiaro che nel provvedimento sul merito, apparso e presentato in pompa magna ma poi scomparso dopo critiche unanimi, si chiedeva che fosse sospesa l’applicazione della procedura concorsuale prevista dal governo Berlusconi in modo da avere tutto il tempo per costruire un sistema della valutazione efficiente ed efficace.
Purtroppo così non è stato e il treno della valutazione gelminiana ha incominciato a correre sui binari di una valutazione tanto facile da proclamare quanto difficile da applicare. L’abilitazione nazionale si è via via trasformata in vero e proprio concorso, con il rischio di creare una situazione simile a quanto avvenuto con i concorsi per la scuola e cioè una massa di abilitati in attesa di un posto. La palla è quindi passata all’Anvur che ha emanato le linee guida per la valutazione ma l’Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca sembra non essere in grado di dipanare la matassa. Prima, il 27 agosto, ha ritrattato i parametri che la stessa agenzia aveva emanato qualche settimana prima, ora non riesce a far uscire l’elenco delle riviste scientifiche di qualità per alcune discipline, perché il giudizio non è unanime. Insomma un bel pasticcio. Sullo sfondo l’impossibilità per l’Anvur di garantire la terzietà e l’indipendendenza della propria azione, tanto che ancora non è riuscita ad essere accreditata presso l’Enqa, l’Associazione Europea delle Agenzie di Valutazione.
Mario Castagna (Unità del 7 settembre 2012)
Tutto comprensibile, compresa la insoddisfazione (condivisa) per il modo di operare e di comunicare di Anvur.
Però non facciamo dire giornalisticamente al TAR del Lazio ciò che non ha detto.
Ecco cosa ha detto: “Considerato che […] le esigenze sia dell’Associazione sia dei professori ricorrenti possono essere adeguatamente tutelate con la fissazione dell’udienza di merito, non sussistendo, allo stato, alcun danno grave ed irreparabile, […] Fissa per la trattazione di merito del ricorso l’udienza pubblica del 23 gennaio 2013.”
In altre parole, non c’è alcun danno irreparabile e si può attendere. Ma non c’è stato nessun giudizio sulla fondatezza del ricorso in sé. Al massimo non è manifestamente infondato, ma (come sa qualsiasi avvocato amministrativista) il TAR non rigetta praticamente mai nel merito un ricorso in prima udienza, al massimo rigetta perché un ricorso è proceduralmente inammissibile (ma non entra nel merito).
Se si accetta di stare ai fatti, in termini calcistici tra AIC e Anvur è zero a zero e palla al centro.
non è del tutto esatto. Il punto è l’art. seguente richiamato nell’ordinanza TAR. Il punto importante è quello fra due asterischi:
Art. 55 c. 10 CPA: “Il tribunale amministrativo regionale, in sede cautelare, **se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente** e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data della discussione del ricorso nel merito.
Non concordo con l’interpretazione di Depolo. Nè credo che “qualsiasi avvocato amministrativista” si esprimerebbe in questi termini, Codice del processo amministrativo (e relativi commenti di dottrina) alla mano.
Rinvio sul punto a precedenti commenti
https://www.roars.it/?p=11847#comments
se il TAR non avesse ravvisato alcun fumus boni iuris avrebbe semplicemente respinto ogni esigenza cautelare.
A scanso di equivoci: abbiamo riportato un articolo con titolo esattamente come è stato pubblicato.
Sarebbe forse il caso di pubblicare e di far commentare anche la recensione recente di Tullio De Mauro:
http://www.internazionale.it/opinioni/tullio-de-mauro/2012/09/06/la-paga-dei
-poveri-prof/
Ancora con questa storia! Ma è un’ossessione: quello studio è stato screditato in tutti i possibili modi, ma ecco che risalta fuori, come ogni buona leggenda metropolitana.
Secondo me c’è un ulteriore problema che è messo nel dimenticatoio: quello dei ricercatori TD in base alla legge Gelmini. Questi ultimi hanno tempo 3 anni (o 3+2 eventuali per contratti di tipo A) per abilitarsi e sperare di essere chiamati. Con le asticelle ANVUR siffatte poer le mediane, (parlo dei settori bibliometrici cui appartengo), non è affatto facilissimo nei 3 anni riuscirvi. Ma il problema maggiore è che quand’anche il ricercatore TD vi riesca rischia di trovarsi davanti una pletora di abilitati, lui però al termine del contratto è SENZA LAVORO.
In sintesi, tra i poveri ricercatori TD, magari tutti novelli Einstein, solo pochi saranno gli abilitati al termine dei 3 anni e di questi solo uno potrà avere la fortuna della chiamata (chissà quando). Il restante….tutti A CASA….
Mio Dio, siamo arrivati proprio sull’orlo del precipizio…..
Condivido quanto scritto da Depolo.
Sono un amministrativista, ricercatore, idoneo associato. Al di là dell’esegesi della norma del cpa (in effetti un pò equivoca), che qui non è il caso fare, è l’esperienza personale a portarmi a tale conclusione scettica. Nel ricorso che ebbi a fare contro il diniego di chiamata del mio Ateneo (poi finito, con esiti infausti, sino all’Adunanza Plenaria…) il Tar rinviò al merito ex art. 55, co. 10, e poi tranquillamente respinse il ricorso.
Dunque nella prassi del giudice amministrativo l’uso di tale disposizione non indica una propensione all’accoglimento del ricorso. Che, beninteso, ci potrà pur essere, ma appunto non è affatto scontato.
Colgo l’occasione per segnalare – sfuttando l’autorevolezza di questo sito così ben documentato ed aggiornato – la kafkiana situazione degli idonei dei bandi 2008 ancora non chiamati. Non se ne parla molto (forse perché orami siamo rimasti in pochi…), ma si tratta di un’altra forte criticità del sistema, se possibile aggravata della partenza delle abilitazioni nazionali…!
“Al di là dell’esegesi della norma del cpa (in effetti un pò equivoca), che qui non è il caso fare”.
“Nella prassi del giudice amministrativo l’uso di tale disposizione non indica una propensione all’accoglimento del ricorso”.
Approfitterei della cortese disponibilità al dialogo del Prof. Tropea per formulare due domande.
(1) L’art. 55, comma 10, del Codice del processo amministrativo implica che il giudice riconosca (in sede cautelare) il fumus boni iuris, ossia apprezzi favorevolmente (con la sommaria cognizione tipica della fase cautelare) la fondatezza dei motivi di ricorso?
Spiego la ragione della domanda.
Se la “esegesi” dell’art. 55, comma 10, del cpa è “equivoca”, ciò significa che, in un esame universitario di diritto processuale amministrativo, posti di fronte alla domanda (1), risponderebbero correttamente e verrebbero promossi tanto gli studenti che rispondano NO (l’art. 55, comma 10, non implica che il giudice riconosca il fumus boni iuris), quanto gli studenti che rispondano SI’ (l’art. 55, comma 10, implica che il giudice riconosca il fumus boni iuris).
Proprio la “equivocità” dell’articolo, infatti, non consentirebbe di escludere né il SI’ né il NO.
E’ così? O invece la risposta corretta, sempre nell’immaginario esame universitario, sarebbe solo una, vale a dire il SI’, mentre il NO darebbe luogo ad una risposta errata?
Assumo l’esempio dell’esame universitario perché postulo che nell’università si apprenda il diritto per come esso è, non un diritto inutilmente “astratto” che poi viene totalmente smentito in fatto dalla prassi.
(2) Tra la “prassi del giudice” (di tutti i giudici amministrativi?) e la “esegesi della norma” quale delle due deve preferibilmente guidare il corretto operato di un’amministrazione pubblica che intenda interpretare il significato di un’ordinanza cautelare, per assumere, fino alla data dell’udienza di merito, le decisioni più corrette e prudenti?
Ovviamente nulla quaestio sul fatto che il giudice possa cambiare idea dalla fase cautelare alla fase di merito (questo accade, a volte, anche quando la vittoria in sede cautelare è piena, con l’ottenimento della sospensiva).
Tuttavia il punto per MIUR e ANVUR è ora (poiché nessuno può prevedere gli esiti del merito) proprio e solo la corretta interpretazione, sul piano oggettivo, del significato giuridico dell’ordinanza cautelare laddove essa fa riferimento espresso all’art. 55, comma 10, del Codice.
Provo a rispondere alla garbata replica di Jus, rispetto al quale, a ben guardare, il mio pensiero non si discosta poi così tanto.
Due brevi considerazioni: di metodo, prima, e poi di merito.
1) Si parla del rischio di un “diritto inutilmente astratto”, “che poi viene totalmente smentito in fatto dalla prassi”.
Il caso in questione mi pare che dimostri il contrario. L’art. 55, c. 10, codifica una prassi diffusa (il c.d. merito veloce) in base alla quale in camera di consiglio il giudice è chiamato a valutare, in contraddittorio tra le parti, se occorra trattare subito il merito accordando priorità alla causa.
Dunque in questo caso, come in molti altri, il legislatore ha codificato una prassi giurisprudenziale molto diffusa. Ciò conferma come – nonostante il cpa – la giurisprudenza pretoria del g.a., che in passato ha edificato il sistema (specie in materia processuale), non venga affatto meno. Del resto, solo un ingenuo positivismo legalista potrebbe portare a tale conclusione.
2) E vengo al merito. A mio avviso lo scopo del legislatore è quello di trasformare la fase cautelare in una fase necessariamente prodromica e preliminare al giudizio di merito, al fine di una sua definizione in un tempo ragionevolmente utile. In casi del genere, le esigenze della domanda di misura cautelare possono trovare piena realizzazione in una decisione del ricorso in tempi ravvicinati (si pensi al caso di un ricorso proposto contro un provvedimento la cui esecuzione non sia imminente).
E’ vero che la norma – lo ribadisco: di non felicissima fattura – parla di “esigenze del ricorrente apprezzabili favorevolmente”, ma io soffermerei l’attenzione sulla II parte della stessa: “…e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito”.
Questo non vuol dire che una delibazione sul fumus non vi sia, ma, appunto, si tratta di mera delibazione, come peraltro finisce per ammettere il mio stesso interlocutore, che fa riferimento – non a caso – alla possibilità (non così infrequente) del giudice in sede di merito di ribaltare la decisione in sede cautelare (rafforzando ulteriormente la mia opinione laddove scrive: “nessuno può prevedere gli esiti del merito”). A fortiori ciò può ben accadere in questa sede.
Quanto poi alla questione dell’interpretazione dell’ordinanza da parte dell’amministrazione – senza voler entrare nella valutazione sulla bontà del ricorso, non era questa la mia intenzione sin dall’inizio – credo che abbia ben risposto Celenteron, riportando le autorevoli dichiarazioni di Onida.
Ringrazio il Prof. Tropea, al quale va la mia massima stima, trattandosi di uno studioso di valore e molto apprezzato nel settore giusamministrativistico.
Mi sembra che, in definitiva, siamo entrambi d’accordo sul fatto che l’ordinanza del TAR abbia per ora “delibato” (per i non giuristi: nel lessico dei giuristi significa, in sostanza, “valutato a prima vista”) la sussistenza del fumus boni iuris (ossia la fondatezza del ricorso).
Così come concordiamo sul fatto che, nell’udienza del merito del 23 gennaio 2013, il TAR non sarà vincolato a confermare necessariamente questa delibazione, potendo cambiare idea.
Ribadisco però che, a mio giudizio, questa delibazione cautelare del TAR rappresenta, ad oggi, un “campanello d’allarme” che il MIUR e l’ANVUR farebbero meglio a non ignorare, responsabilmente.
Ho anche un’altra convinzione personale.
Al di là delle intenzioni soggettive dei ricorrenti, il ricorso oggettivamente chiede al TAR di annullare in parte il D.M. 76/2012, che ha natura di regolamento (atto normativo, “efficace erga omnes” come amano dire i giuristi).
Il ricorso chiede, in particolare, di annullare il regolamento nella parte in cui quest’ultimo prevede la classificazione delle riviste di fascia A per il calcolo della mediana “qualitativa” (terza mediana dei settori non bibliometrici).
Se il 23 gennaio 2013 il D.M. 76/2012 verrà parzialmente annullato, che ne sarà della procedura di abilitazione per i settori non bibliometrici, qualora essa sia stata già svolta?
Prevedere che la procedura resterà perfettamente valida anche dopo la sentenza di eventuale annullamento del TAR, come se la sentenza sia del tutto “neutra” rispetto alle abilitazioni, onestamente, mi sembra opinabile.
La procedura di abilitazione, infatti, si sarà a quel punto svolta selezionando sia i commissari (ai fini del sorteggio) sia i candidati (ai fini del giudizio di idoneità) anche grazie alla mediana qualitativa, basata sulla classificazione delle riviste di fascia A.
Se quella mediana dovesse “saltare”, perchè un TAR la riterrà illegittima (a causa della retroattività della classificazione delle riviste di fascia A), temo che la procedura di abilitazione non potrà non risentirne, anche oltre le intenzioni degli autorevolissimi promotori del ricorso.
Per questo credo che sarebbe preferibile, da parte del MIUR, una sospensione dei bandi (quello di abilitazione e quello dei commissari) ai sensi dell’art. 21-quater, c. 2, L. 241/1990, fino alla pubblicazione della sentenza del TAR.
Questo consentirebbe di evitare il rischio che un’intera procedura di abilitazione venga celebrata e conclusa tra novembre e gennaio per poi scoprire, il 23 gennaio 2013, che occorre rinnovarla perchè viziata dall’applicazione di una mediana (quella “qualitativa”) illegittima.
Durante il periodo di sospensione, il MIUR potrebbe stimolare ANVUR a lanciare una consultazione pubblica on line sulle liste delle riviste di fascia A, per acquisire i suggerimenti della comunità scientifica “dal basso” e pervenire a liste finali che siano, per il futuro, il più possibile partecipate e condivise.
Un’ultima annotazione.
I giuristi sono spesso dipinti come “azzeccagarbugli” (in altri post qualcuno ha ripetuto questo termine spregiativo). Anche il diritto è un settore scientifico, prima che concorsuale: come altri, è complesso, a volte non lineare, e non vi sono certezze assolute. Arricchire la discussione allargandola a un dibattito sulle questioni giuridiche mi sembra perciò utile, soprattutto in questo momento di confusione.
Anche per questo ringrazio, di nuovo, il Prof. Tropea e il tenore cortese, aperto e puntuale della sua risposta.
In ogni caso, l’effetto “politico” di questa ordinanza è degno di nota: se il Tar avesse concesso la sospensiva, l’Anvur avrebbe potuto trovare un motivo per fare a meno di diffondere la lista delle riviste di fascia A e salvare un po’ di faccia, dando la colpa ai giudici. Senza la sospensiva, ha dovuto render pubblica la lista e prendersi le sue responsabilità.
Nel mio settore, per esempio, in soli quattro mesi riviste di serie B e C sono passate in A e una rivista di serie A è addirittura sparita dalla lista – disegnando un sistema per quale quanto passava per buono, discreto o così-così per la valutazione della ricerca viene trattato in modo completamente diverso quattro mesi dopo. Si diceva che questo esercizio sarebbe servito a orientare le nostre scelte di pubblicazione sulle riviste col bollo dell’eccellenza. Ebbene, in questo caso si sono ottenute delle indicazioni schizoidi, tali da mettere in imbarazzo perfino il ricercatore più ligio. Credo che anche questa incoerenza possa essere materia di riflessione per il TAR.
E aspetto, naturalmente, a gloria la lista delle riviste scientifiche: saranno davvero riusciti – mettendo a rischio la seconda mediana – a escludere qualche rivista perché ha cadenza annuale o perché, essendo on-line, pubblica il materiale man mano che viene approvato, per evitare attese che vengono percepite come dannose perfino dai più tradizionalisti? Sentire il Tar pure su questo sarà molto interessante.
Ringrazio Tropea per il commento. Penso che Castagna sull’Unità si sia fatto troppo prendere dall’ “ottimismo della volontà”.
Non sono un giurista, ma tempo fa lessi il libro di Onida sulla costituzione e ne considero l’autorevolezza.
Tra l’altro, penso che sperare che il sistema di valutazione deragli non sia una cosa salutare per il nostro sistema accademico. Anche se non si condividono al 100% i criteri ANVUR, il tanto peggio tanto meglio non è l’atteggiamento giusto.
Il punto non è il tanto peggio tanto meglio, il punto è pretendere un sistema di valutazione che sia accettabile in un consesso civilizzato.
Si capisco le obiezioni.
Il nostro sistema di valutazione è solo agli albori e siamo nel 2012.
Ti elenco delle semplici date. La Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG) è stata fondata nel 1920 e poi ricostituita nel secondo dopoguerra. Nel 1999 è stata sottoposta ad un primo processo di revisione. Il più recente Research Council of Norway (RCN) si è stabilito nel 1993. L’FWF in Austria è stato fondato 40 anni fa.
Siamo in forte ritardo nei contesti civilizzati si valuta la ricerca (tutta pure quella umanistica) da svariati decenni. E qui siamo ancora a discussioni sull’imponderabilità della ricerca.
Io quindi, per prima cosa, saluterei con favore che finalmente in Italia si inizi ad accettare la cultura della valutazione. Senza essere etichettato come il Brunetta di turno. E non me la sentirei di dare addosso all’ANVUR più di tanto. Contribuirei ad una discussione costruttiva per migliorarne le procedure ed i criteri. Evitando la solita via italiana burocratico-amministrativa di ricorsi al TAR, polemiche, dietrologie ed ipotesi complottistiche.
Caro Celenteron, senza riaprire le nostre polemiche, non paragonerei in alcun modo la DFG a ANVUR. La DFG esercita valutazione, per quanto ne so, solo in quanto attribuisce fondi. Colleghi tedeschi mi dicono che da loro non esiste nulla di simile a RAE/REF, per non parlare di ANVUR.
Comunque, per gli interessati: http://www.dfg.de/en/dfg_profile/mission/who_we_are/index.html
Proprio perché il sistema è agli albori ed in altri paesi sono già state fatte sperimentazioni era il caso di muoversi dopo aver studiato la copiosa letteratura internazionale che ovunque dice che non si debba usare la bibliometria per la valutazione del singolo. Qui da noi ad esempio (https://www.roars.it/?p=6024) … Andrea Bonaccorsi, membro del consiglio direttivo Anvur e vice coordinatore della Vqr, riporta una comunicazione personale anonima che attribuisce il ritiro della classifica delle riviste nella valutazione nazionale australiana non a debolezze metodologiche, ma a pressioni politiche esercitate da influenti ricercatori ed opinion-maker. Tuttavia, alla luce della letteratura internazionale, la lettura di Bonaccorsi, non priva di una sfumatura cospirativa, appare scientificamente isolata e alquanto irrituale per un documento ufficiale.”
Questa maniera di procedere è semplicemente inaccettabile. Inoltre il punto non è SE valutare ma COME valutare. Se si introduce la valutazione non è accettabile che qualsiasi maniera di introdurla vada bene perché si è introdotta la valutazione! Ma insomma quando scrive un articolo scientifico lei che fa ci dedica un po’ di cura, si legge la letteratura, cerca di chiarire i punti oscuri o si scrive che 2+2=5?
Penso che l’autore dell’articolo apparso sull’Unità giunga a conclusioni ed interpreti lo spirito e l’esito del ricorso ben aldilà dei suoi promotori.
Riporto, copiando ed incollando, le conclusioni dell’articolo di Valerio Onida apparso sul sole24ore
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-08-24/abilitazioni-giusto-ricorso-ranking-063902.shtml?uuid=AbYfzpSG&fromSearch
“Questa sostanziale “retroattività” del ranking delle riviste è stata denunciata nel ricorso come illegittima e irragionevole. Ma è ovvio che l’annullamento (o comunque la non applicazione) della clausola concernente l’indicatore di produzione scientifica in questione lascerebbe per il resto integra la procedura e non avrebbe alcun effetto di “blocco” delle abilitazioni. Ed è questa la ragione sostanziale per la quale l’Associazione ha avuto cura di circoscrivere attentamente la portata del proprio ricorso, senza cedere alla “irresistibile tentazione” di porre in sede giudiziaria tante altre questioni che pur sono state o avrebbero potuto essere sollevate.”
E perché mai la critica basata sulla retroattività della lista delle riviste nel 2012 non dovrebbe, se accolta, far cadere addirittura anche le procedure basate sui settori bibliometrici, interamente basate sulle riviste indicizzate da SCOPUS e WoS tra il 2002 e il 2012?
Non lo dico io lo dice uno dei promotori del ricorso.
La mia opinione personale sull’argomento della retroattività è che il concetto è totalmente incosistente.
Nel caso dei settori bibliometrici non c’è nulla da discutere. Le riviste indicizzate non sono migliori di quelle non indicizzate, ma semplicemente sono le uniche da considerare.
Il resto sono cose assimilabili agli atti delle conferenze a cui partecipa lo Scilipoti o il Di Bella di turno…….
L’articolo di Onida era anche una risposta, non in contrapposizione, all’articolo di Dario Braga (l’irresistibile tentazione al ricorso, ne Il Sole 24 Ore del 19 agosto). Consultabile al link in basso
http://www.dariobraga.it/web/uploads/anno2012/mercato%20del%20lavoro%20e%20abilitazioni%20sole%2024%20ore%207-9-2012.pdf
Riporto (copiando ed incollando) il testo dell’articolo di Dario Braga
La irresistibile tentazione al ricorso (Sole 24 Ore)
Lo spettro del ricorso ammnistrativo si aggira permanentemente nei corridoi delle Università.
Alcuni esempi recenti. E’ stato pubblicato da poco il “Regolamento recante criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica per l’accesso alla prima e alla seconda fascia”. Finalmente le abilitazioni nazionali! Le aspettano tantissimi ricercatori e associati. Certo il regolamento non sarà perfetto, i tempi a disposizione delle commissioni si preannunciano molto stretti, e qualcosa da dire sull’impianto degli indicatori di produttività scientifica, cruciali per il processo di selezione, ci sarebbe. Ma siamo tutti abituati a ripeterci che “l’ottimo è nemico del meglio” e poi è un tassello importante della L 240 e c’è bisogno di promuovere chi merita da tempo di andare avanti. Ma ecco che, puntualmente, qualcuno già pensa al ricorso sulle modalità di computo della produzione scientifica di riferimento. Si rischia di bloccare tutto, ma che importa?
Non solum sed etiam … Al termine del complesso percorso di prevalutazione dei progetti di ricerca nazionali (PRIN e FIRB) ogni ateneo ha una lista di ricercatori “soddisfatti” (i cui progetti passeranno alla seconda fase di valutazione gestita dal Consiglio Nazionale dei Garanti per la Ricerca, CNGR, da poco costituito) e la lista, in genere più ampia, di non selezionati. Che ci siano iinsoddisfatti non è sorprendente: il meccanismo di valutazione è stato complesso, alcune aree si sono sentite penalizzate dal budget e dagli obiettivi, i tempi sono stati molto stretti, ma gli Atenei si sono adeguati e molti hanno fatto uso di valutazioni internazionali per le loro scelte. Anche qui c’è chi pensa a ricorsi che potrebbero bloccare l’intera erogazione di finanziamenti per la ricerca.
Altro esempio recente è l’annuncio del ricorso di docenti del Politecnico di Milano contro la decisione del Senato accademico dello stesso ateneo di svolgere tutti i corsi magistrali in lingua inglese. Che il “modello PoliMi” non sia facilmente trasferibile agli atenei generalisti dove si insegnano e studiano anche le scienze umane, economiche, giuridiche, sociali, ecc. è un aspetto del problema che abbiamo già commentato, ma che una decisione del Senato accademico di quel Politecnico – certamente ben meditata e figlia delle regole di governance – sia oggetto di ricorso al TAR deve far riflettere.
Insomma, che si tratti del figlio bocciato alla maturità, delle norme per il reclutamento, del progetto di ricerca non selezionato o di una decisione innovativa di un Ateneo, la tentazione di ricorrere contro il risultato o la decisione sgradita è irresistibile. E’ purtroppo vero che il Diritto è stato troppe volte il solo efficace strumento per risolvere le controversie accademiche italiane, ma è anche vero che il “ricorso al ricorso” andrebbe usato con parsimonia e avendo a mente l’impatto che ha sulla macchina amministrativa, che tutti vorremmo snella ed efficace. Non solo questo. Troppe volte gli stessi processi decisionali, i regolamenti e le procedure sono condizionati, quando non dominati, dalla necessità di prevenire i ricorsi (… impresa per altro quasi impossibile).
Dario Braga
@ Banfi
Si è vero la DFG non ha un ruolo tipo ANVUR si occupa di valutare per i finanziamenti. Conosco bene la cosa in quanto sono coordinatore per la parte italiana di un progetto ancora in corso finanziato da loro.
A differenza nostra, in Germania, a parte la terribile “parentesi” del nazismo, non si sono mai trovati ad affrontare un sistema di reclutamento che soffre di chiare “anomalie”. Spesso parlando con i miei colleghi tedeschi o di altri paesi civili il nostro sistema accademico viene descritto come corrotto. Credimi non è per niente piacevole sentirselo dire.
@ Sylos Labini
Io penso che già il fatto che si sia introdotto un qualcosa sia positivo per abituarci ad una mentalità più europea. Dei modi in cui farlo si può discutere. Ma eviterei approcci “nichilisti” che non farebbero altro che favorire chi vuole che non si faccia niente per restare nelle acque torbide del pantano.
Non si introduce “qualcosa di positivo” adotattando metodi di valutazione che non hanno pari in Europa o nel resto mondo, e giustificandoli oltretutto, come ha fatto Bonaccorsi, con fonti anonime e voci di corridoio. Proprio perche’ in altri paesi europei (e non) di discussioni di questo livello semplicemente non esistono, pretendiamo che anche in Italia vengano superate. Dopidiche’ abbia la buona abitudine di firmarsi con nome e cognome altrimenti non ricevera’ piu’ nessun’altra risposta.
Guardi che mi sono già firmato varie volte, si vedano le risposte a De Nicolao nei post passati.
mi scusi ma qui non abbiamo tempo per giocare alla caccia al tesoro.
Labini ho modificato il profilo contento? Ho visto tanti altri pseudonimi in giro su questo blog, non capisco perchè il mio sia così fastidioso.
A proposito di nichilisti mi viene in mente una citazione dal grande Lebowski…..
“Nihilists! Fuck me. I mean, say what you like about the tenets of National Socialism, Dude, at least it’s an ethos”
In molti commenti traspare solo opportunismo: non c’è alcuna volontà di riconoscere che tutta la procedura si muove nell’opacità, oltre che ai limiti della legalità vista l’introduzione dell’hc e il diniego dei dati grezzi da parte di ANVUR. Si è conviti che l’ordalia della mediana sia in grado di depurare l’Accademia delle sue colpe: non ha importanza quale prezzo si debba pagare. Una sola cosa mi pare certa: le fazioni si stanno delineando.
In generale, sarebbe meglio non enfatizzare la prospettiva di un imminente scontro tra “fazioni”.
Non credo che radicalizzare le logiche del “muro contro muro” porterà, alla fine, risultati positivi a chi ne sarà rimasto, anche involontariamente, prigioniero.
Piuttosto, penso che adesso sia urgente sforzarsi di costruire ponti di idee tra le opposte visioni; formulare costruttivamente proposte dirette anche a coloro che, nell’ANVUR o nel MIUR, spero consultino questo sito per confrontare le loro opinioni con punti di vista diversi.
Io, fino a prova contraria, credo nella buona fede di tutti gli attori e gli osservatori di questa complicata vicenda delle abilitazioni: da noi lettori di ROARS, all’ANVUR, al MIUR, ai GdL, ai GEV e quant’altri.
Nessuno dovrebbe essere aprioristicamente accusato di perseguire interessi personali, di casta o politici: vale per tutti.
Anche la redazione di ROARS spesso subisce, del tutto ingiustamente, questo tipo di accuse “a parti invertite”. Io vedo un acceso scontro tra opinioni, frutto di impostazioni metodologiche differenti: questo è un bene, un arricchimento per tutti, a patto però che le amministrazioni pubbliche investite del potere di decidere (ANVUR sul piano della responsabilità tecnica e MIUR sul piano della responsabilità politica) non si arrocchino in una difesa “a catenaccio” di quanto hanno sinora fatto, per timore di “perdere la faccia”, di dover dare ragione a chi ha espresso critiche.
Qui non si tratta di rallegrarsi, alla fine, con i “visto che avevamo ragione noi?” o “visto che figura hanno fatto quelli?”. Qui non ci saranno vincitori e vinti: perderemo tutti, dal livello politico al livello amministrativo, dagli ordinari ai ricercatori, se il sistema imploderà o si rivelerà insostenibile. E purtroppo temo che andrà a finire così, se non si interviene ora, per modificare la rotta finché si è in tempo.
Correggersi, se ci si convince di poter migliorare quanto fatto, è segno di forza e di intelligenza: sul piano del diritto, è doverosa applicazione dei principi di buona amministrazione, di precauzione, di correttezza procedurale. Penso naturalmente (augurandomi che il messaggio nella bottiglia varchi il mare che divide i due lidi) ad ANVUR e MIUR.
Io, come tanti, apprezzerei moltissimo se le due amministrazioni tendessero una mano, mostrassero un segno di apertura a quella parte della comunità scientifica che, in questo momento di confusione, sta protestando e si sta preoccupando. Per dialogare, senza riserve mentali.
Se questo non accadrà, chi rifiuta il dialogo dovrà assumersi delle gravi responsabilità di fronte al mondo universitario, innanzitutto di fronte ai “giovani meritevoli” che tutti proclamano di voler valorizzare. Ed anche, ovviamente, le connesse responsabilità sul piano giuridico.
Negare il nichilismo non è sufficiente. La doppia negazione non basterà per giustificare l’equipaggio che dovesse decidere di mandare avanti la nave a tutti i costi, chiudendo gli occhi e correndo il rischio del naufragio per gli incolpevoli passeggeri, come il Titanic in un oceano costellato di iceberg.
Non era, ne è, mia intenzione sobillare alcuno scontro tra “fazioni”. Invece concordo pienamente con lei sulla necessità, da parte degli attori di questo processo, di giungere ad una soluzione concordata ai problemi che si stanno delineando sullo sfondo di questa procedura di abilitazione nazionale. Tuttavia, per quanto si possa auspicare ciò, a me pare che questo accadimento sia molto lontano da venire. La mia visione pessimistica trova giustificazione da ciò che al momento emerge dai fatti, che vede che vede l’ANVUR determinata nel procedere sino in fondo alla procedura di abilitazione, senza alcun ripensamento per ciò che riguarda la fallace architettura del meccanismo che lei stessa ha messo in piedi. Una intenzione accompagnata da un atteggiamento di sostanziale “apatia” da parte delle istituzioni accademiche (tranne rarissime eccezioni). Tutto ciò dominato dalla discussione sulla questione “mediana sì, mediana no”, senza tenere di conto delle premesse che stanno alla base di quello che molti pensano sia, finalmente, la panacea per i mali che affliggono l’Accademia.
l’articolo lascia credere che l’abilitazione significhi assunzione (W la Gelmini!), invece tutto è rimasto più o meno come prima. Ci saranno i soliti concorsi locali (con commissioni un po’ variate ma…), aperti a tutti gli abilitati. Ci sarebbe la chiamata diretta (fruttata dalla protesta dei RU) nei primi 6 anni dall’entrata della legge, ma voglio vedere…
L’art. 55 cpa effettivamente prevede, quale presupposto della fissazione a breve della udienza di merito, una positiva valutazione del fumus. Il punto debole è che, in questo caso, la fissazione non è stata affatto davvero a breve, in quanto una sentenza arriverebbe solo a procedura ormai avviata (se non avanzata), e quindi in una situazione in cui lo stesso TAR si troverebbe presumibilmente “a disagio” ad annullare gli atti concorsuali compiuti. Tuttavia, per evitare possibili futuri danni erariali (e conseguenti personali responsabilità), se io fossi tra i responsabili a livello ministeriale della procedura, un pensierino a favore del congelamento lo farei.
Giuridicamente la posizione di IUS è inattaccabile ed oggettiva. Se il Ministro non sospendesse le procedure in attesa degli esiti dei ricorsi al Tar farebbe un errore madornale a livello etico, politico, economico, ed anche a livello di immagine personale.
In realtà sono certo che sospenderà, appena ci metterà la testa e qualcuno gli spiegherà cosa sta succedendo, sospenderà.
Intervengo in questo vostro dibattito, pur non essendo direttamente coinvolta dalla materia del contendere perché non appartengo al mondo accademico. Sono avvocato dello Stato e da oltre venticinque anni frequento le aule giudiziarie, in particolare quelle del giudice amministrativo. Il mio intervento è a titolo rigorosamente personale e non nella mia qualità professionale (peraltro la mia sede di servizio non è Roma e non sono quindi coinvolta nella difesa dell’amministrazione nel giudizio di cui si discute).
Se, da un punto di vista teorico la dottrina non è giunta a soluzioni appaganti circa l’interpretazione del decimo comma dell’art. 55 CPA con particolare riferimento al concetto di “esigenze favorevolmente apprezzabili”, vi è concordia (e gli interventi giuridici su questo sito sono espressione di tale unanimità) su un dato: l’applicazione di tale norma da parte del giudice lascia inalterata l’efficacia del provvedimento oggetto di impugnazione (per il quale sopravvive la presunzione di legittimità, che assiste l’atto amministrativo). Il provvedimento impugnato non è cioè cautelarmente sospeso.
Ciò che possiamo ancora dire, con ragionevole sicurezza, è che il meccanismo previsto dalla norma in questione è uno strumento a disposizione del giudice per “barattare” la pronuncia cautelare con il merito (da ultimo, M.V. Lumetti, “Processo amministrativo e tutela cautelare”, CEDAM, 2012). Si tratta di uno strumento acceleratorio del processo e non l’unico all’interno del D.Lgs n 104/2010.
Quando? Quando le esigenze del ricorrente “siano tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito”. Ciò accade talvolta in ragione del tipo di provvedimento, quando la tutela cautelare con i suoi limiti va stretta. Nella pratica giudiziaria ciò accade anche quanto le questioni giuridiche sottese al ricorso sono molto complesse e, se non emergono ragioni di danno immediato tale da richiedere una tutela cautelare immediata, consigliano la riflessione e l’approfondimento tipico della fase di merito, con l’accelerazione imposta dalla norma.
Ecco, a me sembra che questo solo si possa desumere dall’ordinanza di cui state parlando, tenuto conto della norma applicata e della motivazione esplicitata: che non c’era danno immediato per i ricorrenti (assenza del periculum in mora) e che la materia del contendere è meglio affrontabile in sede di merito.
Inoltre (elemento estrinseco certamente, ma ben noto agli assidui frequentatori del giudice amministrativo), l’ordinanza è stata resa in una udienza feriale, con un ruolo appesantito dalla massa di ricorsi che in quel periodo si scatena come se il mondo dovesse fermarsi, contesto poco propizio agli approfondimenti…
Il dibattito si sta arricchendo sempre più di competenze e si fa interessante e proficuo.
State Lawyer fornisce un punto di vista molto prezioso e, giustamente, cita il più recente studio della dottrina giuridica sulla tutela cautelare nel processo amministrativo: la monografia di M.V. Lumetti, “Processo amministrativo e tutela cautelare”, CEDAM, 2012.
Cito testualmente da pag. 121 della monografia di Lumetti (Capitolo VI, paragrafo 9: i maiuscoli sono miei, per evidenziare alcune parti):
“9. La misura intermedia prevista dall’art. 55, comma 10: IL FUMUS QUALIFICATO DALLE ESIGENZE APPREZZABILI FAVOREVOLMENTE e la pretesa tutelabile adeguatamente solo con la fissazione sollecita del giudizio di merito
Il comma 10 dell’art. 55 introduce per la prima volta una misura intermedia: la possibilità per il TAR di fissare con ordinanza collegiale la data di discussione del ricorso di merito, nel caso in cui ritenga che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita fissazione del giudizio di merito. Nello stesso senso può provvedere il Consiglio di Stato, motivando sulle ragioni per cui ritiene di riformare l’ordinanza cautelare di primo grado. In tal caso la pronuncia di appello è trasmessa al TAR per la sollecita fissazione dell’udienza di merito.
La concessione della suddetta misura richiede, oltre al periculum, LA SUSSISTENZA DI UN FUMUS QUALIFICATO da esigenze apprezzabili favorevolmente e, dunque, da UNA PROGNOSI SOMMARIA ACCENTUATA SULLA FAVOREVOLE CONCLUSIONE DEL RICORSO A FAVORE DEL RICORRENTE. Richiede altresì un terzo requisito: la necessità che le ragioni del ricorrente possano essere tutelate in maniera adeguata solo in sede di merito”.
Mi sembra perciò che non vi sia alcuna incertezza della dottrina sul fatto che l’art. 55, comma 10, del Codice richiede “una prognosi sommaria accentuata sulla favorevole conclusione del ricorso a favore del ricorrente”, per usare le parole di Lumetti.
Si potrebbero citare altri autori.
Sempre per limitarsi a studi recenti, si legga ad esempio FRENI F. [a cura di], “La tutela cautelare e sommaria nel nuovo processo amministrativo” (con premessa di Alberto De Roberto, Presidente Emerito del Consiglio di Stato), Giuffrè, 2011, pag. 133:
“Questa attività di prima delibazione fatta dal Giudice in fase cautelare, tuttavia, si può spingere fino ad ingenerare in esso la convinzione del favorevole apprezzamento delle pretese del ricorrente, anche in via definitiva. In tal caso e qualora non vi sia un imminente pregiudizio alle ragioni dell’istante, il Collegio potrà fissare direttamente l’udienza di merito per la definizione del processo. L’IPOTESI È NORMATA NEL COMMA 10 DELL’ART. 55 … In pratica, IL COLLEGIO GIÀ IN SEDE CAUTELARE RITIENE IL RICORSO FONDATO ma, non rilevando il periculum in mora, dovrebbe respingere la misura cautelare richiesta; in tal caso, anziché emanare un provvedimento negativo di rigetto, fissa con priorità la data di discussione del ricorso”.
Insomma, la dottrina, nel commentare l’articolo 55, comma 10, si divide semmai sul requisito del periculum in mora, ma non su quello del fumus boni iuris che è un punto fermo da cui deve partire il giudice per poter applicare legittimamente questo articolo.
Bisogna allora ipotizzare che il TAR Lazio fosse “stanco” o “oberato” di lavoro e, per questo, abbia applicato in modo improprio l’art. 55, comma 10, senza cioè valutare positivamente la fondatezza del ricorso?
Nulla si può escludere, per carità: il problema è, però, che né il MIUR né l’ANVUR, nell’interpretare l’ordinanza, possono partire da simili ipotesi.
Le due amministrazioni, parti del giudizio, devono interpretare ed eseguire l’ordinanza per quello che oggettivamente essa è, attenendosi a come è formulata testualmente. Non si può presumere che il giudice volesse dire altro rispetto a quello che ha detto, in base alle leggi sul processo amministrativo.
Concludo ringraziando State Lawyer e le pongo una domanda, proprio in ragione della sua esperienza e dell’equilibrio che emerge dal suo intervento.
In una situazione simile a quella in cui oggi si trovano ANVUR e MIUR, di fronte a un’ordinanza ex art. 55, comma 10 come quella del TAR Lazio, consiglierebbe alle pubbliche amministrazioni di far celebrare e concludere, tra dicembre e gennaio, una procedura di abilitazione con centinaia di aspiranti commissari da sorteggiare e migliaia di candidati da valutare, con costi ingentissimi a carico delle casse dello Stato, senza aspettare l’udienza del 23 gennaio?
Nessuno dotato di buon senso, anche se non giurista, potrebbe consigliare una strada diversa dal congelamento delle procedure (a partire da quelle per i commissari) fino al 23 gennaio 2013.
Attendiamo di conseguenza che il ministro provveda prima che il tutto si trasformi in un clamoroso boomerang per tutti (ministero in primis) con danno soprattutto per quelli che contano che le procedure partano per arrivare a buon fine e non per essere spazzate poco prima di essere conclusee.
[…] Resta, poi, irrisolto nei provvedimenti del MIUR il nodo del conflitto d’interesse tra chi stabilisce i criteri e parametri di valutazione e chi valuta applicandoli. Finché l’ANVUR resterà titolare di entrambe le prerogative, la procedura è oggettivamente non valida, essendo l’organismo deputato tutto fuorché terzo tra le parti e per questo non ancora accreditato a livello europeo. […]