In relazione al nostro articolo “Dietro la retorica dei ranking rispunta la voglia di serie A e serie B“, riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera di Giuseppe Valditara, relatore della Riforma Gelmini e Capo Dipartimento Università del MIUR nel Governo Conte I. Il tema della lettera è il controverso decreto ministeriale sull’Autonomia Responsabile, messo in cantiere e poi abbandonato nel 2019, che avrebbe dato attuazione all’articolo 1 comma 2 della L. 240/2010. Come osservato nel nostro articolo, la proposta di superare “un sistema universitario in cui tutti gareggino alle stesse regole“, proveniente dal Rettore del Politecnico di Milano, sembra preludere a un tentativo di rilancio di quel decreto. Nella sua lettera, Valditara rivendica la paternità del comma e chiarisce il ruolo di Gaetano Manfredi, come Presidente CRUI e Ministro, sia nella preparazione del decreto sia nel ritocco chirurgico del comma 2, effettuato nel 2020. Spiega anche perché, secondo lui, riprendere quella iniziativa sarebbe “cosa buona e giusta”. Infine, oltre a ribadire che il presunto litigio con l’allora Direttore Generale Daniele Livon fu una “invenzione giornalistica“, precisa che fu “probabilmente in buona fede indotta da qualche fonte della struttura ministeriale che in prossimità delle elezioni aveva interesse a creare polemiche“. Come si vede, il contenuto della lettera è di grande attualità e può aiutare a ricostruire genesi, tappe e anche alcuni retroscena del progetto. Buona lettura.
Su Roars del 15 agosto si ridà voce ad un articolo di Corrado Zunino del maggio 2019 relativo alla pubblicazione di una bozza di decreto di attuazione dell’articolo 1 comma 2 della legge 240/2010. Spiace che si pubblichi anche la parte “fantasiosa” del pezzo già ampiamente smentita dal sottoscritto e da Daniele Livon.
Faccio dunque un poco di chiarezza.
L’articolo 1 comma 2 è uno dei passaggi più importanti della legge 240 che ho fortemente voluto quando fui relatore di quel provvedimento. La concessione della autonomia, per volontà del ministro dell’epoca, fu purtroppo limitata agli atenei “che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonchè risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca”. Se il primo punto è corretto (un ateneo con i bilanci dissestati dovrebbe prima essere risanato), il secondo è frutto di una visione elitaria e di fatto non particolarmente favorevole alla autonomia, che ispirava certi ambienti che condizionavano le politiche del MIUR del tempo, nonché del timore da parte del Ministero dell’epoca di perdere il controllo sulla vita degli atenei. Il testo era poi ritenuto eccessivamente “rivoluzionario” anche da alcuni colleghi parlamentari che quindi cercarono di limitarne il più possibile l’ambito di applicazione.
L’autonomia è infatti a mio avviso presupposto per la crescita di un ateneo e non invece premio per i risultati già da esso raggiunti. Ovviamente deve trattarsi, come ho avuto in più occasioni modo di ribadire (cito per esempio il mio intervento alla inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Torino del dicembre 2018), di una autonomia responsabile. Tuttavia l’articolo 1 comma 2 rappresentò all’epoca una prima tappa significativa in un sistema rigidamente centralistico come era quello italiano fino a quel momento e come poi purtroppo si riaffermò con le modalità di costruzione dell’Anvur che avrebbe dovuto valutare i risultati non il rispetto delle procedure.
Per certi aspetti l’articolo 1 comma 2 fu la premessa per una potenziale, autentica rivoluzione del sistema in senso più liberale, peraltro mai attuata. D’altro canto il testo legislativo -“risultati di elevato livello”- era sufficientemente generico da poter essere certamente interpretato in senso ampio senza troppi problemi.
Grazie a questa norma e ad altre contenute negli articoli 1 e 2 della legge, che rendevano meno vincolanti le prescrizioni statali in materia di organizzazione degli atenei, l’Italia è significativamente cresciuta nel ranking dell’European University Association del 2017 sul grado di autonomia organizzativa dei sistemi universitari europei. Tanto per fare un paragone, un Paese che invece è precipitato nel ranking è l’Ungheria dello statalista Orban che ha addirittura inserito un cancelliere di nomina statale che controlla la vita degli atenei.
La proposta di cui Roars al tempo fece cenno venne elaborata su mio input da un gruppo di consulenti ministeriali fra i quali vi erano alcuni rettori, fu vista e informalmente approvata pure dall’allora presidente della Crui Gaetano Manfredi, che non casualmente avrebbe poi fatto modificare dal Parlamento l’articolo 1 comma 2, togliendo i riferimenti a vincoli di bilancio e risultati raggiunti per poter finalmente applicare l’autonomia. Ebbi a suo tempo a commentare negativamente l’eliminazione dei vincoli di bilancio e positivamente la cancellazione dei risultati di elevato livello.
Morale, su mia precisa indicazione, il testo normativo fu interpretato in modo sufficientemente lasco dal gruppo di lavoro che avevo costituito, tanto che condizioni di autonomia sarebbero state concesse alla gran parte degli atenei italiani, e fra questi molti del Sud.
Il testo venne trasmesso a Manfredi da Daniele Livon, che aveva apportato alcune semplici correzioni tecniche, ma che non aveva partecipato alla redazione dell’atto. Si trattava di una prima bozza che doveva rimanere riservata perché da me non ancora rivista, nè ancora discussa con altri interlocutori istituzionali (con il presidente del Cun, per esempio) e dunque non ancora ufficialmente licenziabile. Il testo, come si accertò successivamente, venne passato ai media da un dirigente di un ateneo del Nord a cui era stato sottoposto per un parere dal suo rettore.
Tutto il resto, e in particolare il presunto litigio fra me e Livon, è frutto di una invenzione giornalistica, probabilmente in buona fede indotta da qualche fonte della struttura ministeriale che in prossimità delle elezioni aveva interesse a creare polemiche.
Ciò premesso, nel luglio 2019 su Federalismi.it pubblicai quello che per me poteva essere un testo definitivo con un mio ampio commento. Ritornai pure sull’argomento nel 2020 con un articolo pubblicato su Nuova Secondaria.
Riprendere dunque ora il tema dell’autonomia universitaria è cosa buona e giusta che potrebbe rappresentare una svolta importante nel nostro sistema.
Per fare solo qualche esempio non esiste che una università debba attendere dall’Anvur e dal Cun il via libera all’apertura di un nuovo corso di laurea, che debba avere il nulla osta del Ministero per chiamare direttamente un professore straniero, che non possa scegliere i profili più confacenti alle proprie esigenze per le chiamate di una parte dei professori, che non possa decidere da sé le forme di incentivo dei propri docenti, o le modalità di impegno in ricerca, didattica, ovvero terza missione, concordandole ovviamente con i ricercatori/docenti medesimi.
L’università post Humboltiana ha necessità di poter decidere da sé come incoraggiare il proprio sviluppo.
Giuseppe Valditara
Una università… una specie di parlamento o addirittura un esempio di democrazia diretta.
Ahimè, siamo vessati più che governati da un sistema di pochi scelti dai direttori dei dip., legati da rapporti clientelistici.
Autonomia sta per arrogante oligarchia?