Riceviamo e volentieri pubblichiamo un comunicato stampa dell’ADI (Associazione Dottorandi e dottori di ricerca Italiani) relativa ai dati dell’ultima edizione dell’Indagine Annuale su Dottorato di Ricerca e Post-Doc.

Il 6 ottobre 2016 l’ADI ha presentato presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, a Roma, la sua VI Indagine Annuale su Dottorato di Ricerca e Post-Doc. L’Indagine ADI è ormai un appuntamento fisso per l’analisi dei processi di trasformazione dell’università italiana, in particolare per quanto riguarda il dottorato di ricerca e il post-doc. Nel corso degli anni l’indagine si è arricchita di sezioni tematiche sulla tassazione dei corsi di dottorato, sulle politiche di reclutamento accademico, sulla valorizzazione del titolo di dottore di ricerca e sulle condizioni lavorative quotidiane di migliaia di giovani ricercatori italiani. Quest’anno l’Indagine ADI comprende anche i risultati di un questionario sulle condizioni lavorative dei dottorandi in Italia, che ha registrato una straordinaria partecipazione, con più di 5000 questionari compilati da tutti i dottorandi italiani.


Del declino e delle occasioni mancate: il Dottorato in Italia dal 2006 al 2016 (vedi le SLIDE)


Nella sezione riguardante il dottorato di ricerca, l’Indagine ADI analizza i bandi di dottorato di 65 università pubbliche, 5 scuole superiori e istituti di alta formazione, e 10 università private. L’analisi dei bandi ha consentito di determinare la consistenza numerica e la tipologia dei posti banditi per ciascun corso di dottorato.

dottoradiIl primo dato da evidenziare è il crollo dei posti di dottorato banditi. In dieci anni assistiamo ad una contrazione del 44.5% dell’offerta dottorale italiana, passando dai 15832 posti banditi nel 2007 agli 8737 banditi nel 2016. I dati evidenziano due momenti chiave in questa riduzione: la legge 133/2008 (“Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico”), che ha determinato un calo dei posti a bando del 15%, e le “Linee guida per l’accreditamento dei corsi di dottorato” (nota MIUR 436/2014) che, imponendo la copertura con borsa di studio del 75% dei posti a bando senza prevedere maggiori finanziamenti, hanno determinato un calo del 25% dei posti a bando. Una volta di più, questo dimostra che misure che possono apparire progressive possono, nei fatti, diventare fortemente regressive, se non accompagnate dai mezzi economici necessarie ad attuarle.

Il crollo dell’offerta dottorale non è avvenuto in maniera omogenea sull’intero territorio nazionale. Si assiste piuttosto ad un processo di “compressione selettiva”, che ha determinato una marcata redistribuzione nella percentuale dei posti di dottorato tra le varie zone del paese. Dal 2006 al 2016, infatti, le regioni del nord passano dal 43.6% al 49.1% dei posti banditi a livello nazionale, mentre le regioni del sud passano nello stesso periodo dal 27.7% al 21.7%. Il processo di concentrazione territoriale è ancora più evidente analizzando i dieci atenei che bandiscono più posti di dottorato, e assommano il 42% dell’offerta dottorale italiana (dati 2016): 8 di essi sono concentrati nelle regioni del nord Italia (fanno eccezione l’università di Roma “La Sapienza” e la “Federico II” di Napoli).

L’Indagine ADI evidenzia come la tipologia dei posti banditi sia frammentata in un ventaglio di figure molto differenti, ciascuna con sue caratteristiche peculiari. Alle due classiche figure di “borsista” e “non borsista”, infatti, si aggiungono i dottorati in apprendistato di alta formazione e i dottorati industriali. Le nuove figure – dalla consistenza numerica esigua, almeno fino al 2016 – non risultano in un reale arricchimento dell’offerta formativa; piuttosto, la proliferazione delle tipologie di posti banditi sembra rispondere all’esigenza di “parare il colpo” inferto dai tagli ai fondi pubblici, senza peraltro riuscire nell’intento.

La VI Indagine si arricchisce dei risultati di una rilevazione su un nutrito campione di dottorandi italiani, promossa da ADI da febbraio ad aprile 2016. La rilevazione evidenzia una decisa mancanza di informazione dei colleghi rispetto alle possibilità di accesso a fondi per la mobilità e la ricerca: il 56.4% dei rispondenti, infatti, non è al corrente delle modalità di erogazione del budget del 10% per le attività di ricerca, previsto dal DM 45/2013.

Malgrado la nota MIUR 436/2014 garantisca al collegio dei docenti la facoltà di decidere in merito alla compatibilità del dottorato con attività lavorative retribuite, l’indagine evidenzia che in molti casi, e in maniera del tutto illegittima, l’incompatibilità tra dottorato e lavoro è assoluta. Tale situazione è particolarmente odiosa per i dottorandi non borsisti che, nel 14.4% dei casi, si trovano a non poter svolgere alcuna attività lavorativa mentre sono costretti a pagare tasse per frequentare i corsi di dottorato. Una preoccupante percentuali di colleghi, poi, dichiara che nel suo corso non sono previste attività formative obbligatorie (11.8%).

Infine, si evidenza che l’aspettativa di svolgere un periodo di ricerca all’estero è molto diffusa tra i rispondenti del primo e secondo anno dei corsi di dottorato, ma non trova riscontro nel tasso effettivo di mobilità registrato tra i colleghi al terzo anno.

Del deserto che avanza: i ricercatori non strutturati nel desolante panorama dell’università italiana (vedi le SLIDE)

Un corposo capitolo dell’Indagine è dedicato ai numeri e alle prospettive di carriera per assegnisti e ricercatori a tempo determinato.

In primo luogo l’Indagine evidenzia la forte concentrazione a livello territoriale delle posizioni di assegnisti, RTDa ed RTDb, con disuguaglianze crescenti fra Centro-Nord e Sud: il 50,3% degli RTDa, ad esempio, è concentrato in 5 regioni: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e Lazio. Dalle stime dell’Indagine, il piano straordinario RTDb (DM 78/2016) risulta del tutto insufficiente a invertire la tendenza alla contrazione delle possibilità di reclutamento per i giovani ricercatori. Infatti, a fronte di 1.800 pensionamenti annui medi, meno di 1.000 ricercatori verranno inseriti in ruolo, numeri ben lontani da quelli prefigurati dal CUN per la messa in sicurezza del sistema universitario italiano. Oltretutto, il piano straordinario è – al pari di quanto si prefigura per le cosiddette “Cattedre Natta” – una misura contingente ed emergenziale.

Un secondo dato su cui riflettere è relativo alla contrazione del numero di assegnisti di ricerca, che passa dal record storico di 16000 nel 2013, ai circa 12000 di quest’anno (dato settembre 2016), con un calo del 25%. Questa contrazione è particolarmente allarmante, in quanto relativa alla componente più precaria del personale universitario, e conferma le stime sull’espulsione dal sistema accademico proposte nelle Indagini ADI degli scorsi anni.

L’annuale proiezione sul reclutamento si arricchisce di una stima derivata da dati ANVUR e relativa al tasso di superamento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN). Tale proiezione conferma un elevato tasso di espulsione per i post doc: nei prossimi anni solo il 6,5% di chi attualmente è assegnista di ricerca riuscirà ad accedere ad una posizione di professore associato negli atenei italiani. Ancora una volta, dunque, gli effetti dei tagli e del blocco del turn over si scaricano sulla componente più debole della comunità accademica.

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Ringraziamenti

ADI ringrazia Alessandro Agostini, Marco Calaresu, Andrea Claudi, Ilaria Colazzo, Giuseppe Montalbano, Matteo Piolatto, Ludovica Rossotti, Alessio Rotisciani, Giada Maria Rotisciani e Stefano Salvia per il fondamentale contributo nella realizzazione di questa edizione dell’Indagine.

L’ADI è l’associazione che rappresenta e tutela dottorandi, assegnisti di ricerca e ricercatori non strutturati e lavora per dare più valore al titolo di Dottore di Ricerca. L’ADI è indipendente dai partiti, ed è fatta da giovani ricercatori che dedicano in maniera volontaria e non retribuita il proprio tempo per migliore le condizioni di vita e di lavoro per tutti i ricercatori. Attualmente ADI è presente sul territorio nazionale con più di 20 sedi locali.

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5 Commenti

  1. segnalo che il secondo link dell’articolo ” Del deserto che avanza: i ricercatori non strutturati nel desolante panorama dell’università italiana (vedi le SLIDE)” non e’ relativo ai postdoc ma e’ nuovamente il link ai dottorandi.

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