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Università, cosa hanno fatto i governi Pd? Il genio guastatori al lavoro

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La strategia operativa del Pd sembra essere esattamente la stessa in ogni campo, portata avanti con la decisione di un reparto del genio guastatori: mentre si cerca sempre più di ridurre gli spazi di autonomia della ricerca e si trasforma il lavoro docente in una variante soffocata dalla burocrazia e dagli adempimenti barocchi, i “datori di lavoro” (così si sono autodefiniti i rettori) ridacchiano soddisfatti mentre, con i soliti burocrati ministeriali, scrivono le norme. Prendiamo l’ultima legge di bilancio. I docenti chiedevano semplicemente di rimuovere un’intollerabile discriminazione sui tagli degli stipendi. Il Pd invece si inventa un sistema per cui le progressioni stipendiali verranno assegnate come un premio, con regolamenti diversi da sede a sede. Un errore, come ha detto la ministra? No, la linea politica di chi, al posto del sistema universitario vuole 4 o 5 “hub della ricerca”; magari fondazioni private, amici di amici cui regalare – anche se poi non li usano e accumulano “tesoretti” – quanto sottratto agli stipendi dei docenti e senza l’ombra di un investimento per ridurre il precariato. Cattedre Natta, il neopotere dell’Anvur, i  “ludi dipartimentali”: si vuole migliorare il sistema o distruggerlo, “asfaltando” (come qualcuno ama dire) la strada per i privati che verranno e per la gioia di Confindustria?

Alla fine della legislatura può essere utile fare il punto su come i governi a guida Pd si sono comportati sull’Università, lasciando sotto la sabbia trappole esplosive in grado di far saltare il sistema.

Ascoltare in un recentissimo incontro Pd sull’università il senatore Francesco Verducci dire “in questa legislatura abbiamo fatto molto, e molto faremo ancora in futuro”, non suona come una rivendicazione di “avere fatto bene”, bensì sembra quasi – fuor d’ironia – una minaccia per chiunque lavori negli atenei. Verducci svolge da pochissimo il ruolo di coordinatore del suo partito per l’Università e la Ricerca e finalmente appare persona competente e disponibile ad ascoltare i suoi colleghi universitari (Verducci è infatti, oltre che senatore, anche ricercatore universitario). Il problema è però che a fronte delle volonterose intenzioni di Verducci, il suo partito non solo continua a mostrare apertamente di averli in uggia, gli universitari, ma continua a pettinare le bambole col vetriolo, con sperimentalismi che deprimono l’idea stessa di sapere pubblico e di ricerca aperta.

La strategia operativa del Pd sembra essere esattamente la stessa in ogni campo, portata avanti con la decisione di un reparto del genio guastatori: mentre si cerca sempre più di ridurre gli spazi di autonomia della ricerca e si trasforma il lavoro docente in una variante soffocata dalla burocrazia e dagli adempimenti barocchi, i “datori di lavoro” (così si sono autodefiniti i rettori) ridacchiano soddisfatti mentre, con i soliti burocrati ministeriali, scrivono le norme.

Prendiamo l’ultima legge di bilancio. I docenti chiedevano semplicemente di rimuovere un’intollerabile discriminazione sui tagli degli stipendi, avviata da Berlusconi-Tremonti e spensieratamente prorogata da tutti i governi successivi. Il Pd invece si inventa un sistema per cui le progressioni stipendiali, che un tempo erano legate all’anzianità in ruolo, verranno assegnate come un premio, con regolamenti diversi da sede a sede. Alla faccia dell’autonomia…

Non contenti di cotanta innovazione (proclamata ovviamente in nome della meritocrazia), con un carpiato con triplo avvolgimento che manco la Gelmini si sarebbe sognata (poveretta, le mancava la fantasia creativa), si aggiunge che i premi (leggi “adeguamenti stipendiali”) non concessi ai docenti passano direttamente nella cassa gestita dagli establishment. I rettori potranno quindi fare regolamenti assai restrittivi per l’assegnazione degli scatti in modo da utilizzare tali fondi a loro piacimento, senza più neppure il limite di una quota obbligatoria da investire in adeguamenti salariali, principio respinto dai “democrats”. Si sa che il Pd non è molto avvezzo a risolvere i conflitti di interesse, ma bisogna riconoscere che a generarne di nuovi è oggettivamente insuperabile.

Siamo quindi rimasti esterrefatti quando la ministra, con tutta la leggerezza del mondo, ci ha detto, in un recente incontro, che si trattava di un mero errore tecnico formale, di una banalità “già risolta” che sarebbe stata prontamente rimossa.

Non era un errore, è l’effetto di una vera e propria linea politica, seguita sistematicamente da chi ha pubblicamente detto che al posto del sistema universitario devono rimanere 4 o 5 “hub della ricerca”; magari mettendo al posto del pubblico fondazioni private, amici di amici cui regalare – anche se poi non ne hanno bisogno e non li usano: così è più divertente! – quanto sottratto agli stipendi dei docenti e senza l’ombra di un investimento per ridurre il precariato, vera e propria peste bubbonica dell’università italiana.

In chiusura, allora, e in vista delle elezioni, sarà utile un rapidissimo promemoria solo su alcune delle varie mine disseminate dal genio guastatori Pd nel sistema.

Le geniali cattedre Natta prima di tutto, inventate da altrettanto geniali sottosegretari Pd alla presidenza del Consiglio. Se confermate come idea daranno al prossimo Presidente del Consiglio, naturalmente con la scusa del merito, la libertà di nominare delle Commissioni di concorso speciali, profumatamente pagate, e selezionare i “propri” professori universitari. Un colpo mortale al sistema: due fasce di docenza tutte nuove, con stipendi maggiorati, selezionate da Commissioni costosissime scelte personalmente dal Presidente del Consiglio. Un sistema “à la bocconienne” che stabilisce un principio falsamente liberale e che invece è profondamente corruttivo per un sistema già sottoposto da anni a tensioni fortissime. Sin dall’inizio abbiamo chiesto di trasformare questo obbrobrio – per il quale sono stati stanziati soldi pubblici: 75 milioni di euro l’anno – in reclutamento di quei giovani che agli establishment fa comodo mantenere nel precariato ma, naturalmente, senza ricevere il minimo ascolto. Volete davvero fare per una volta “la cosa giusta”? Bastano poche parole nella legge di bilancio per trasformare, dal 2018 in poi, i fondi per le cattedre Natta in fondi per l’assunzione di una porzione del grande mare di attuali precari, che state spingendo con forza all’estero o ad altri lavori. Un segnale “di sinistra” (oddio, ci è scappato…) a favore di un’università pubblica, libera e aperta e non popolata da quarantenni trattati come bambini minorati.

Altro esempio: i governi Pd sono quelli che più hanno rafforzato il neopotere dell’Anvur.

Sono lontani i tempi in cui un Bersani segretario tuonava contro una “riforma” che “noi, ragassi, rifaremo da capo”. Invece no: il Pd ha accompagnato per la mano, come una bimbetta titubante e pasticciona, la neonata Agenzia di valutazione dell’Università e della ricerca, che a forza di tentativi, di pasticciate figure, di approssimazioni, alla fine ha conquistato il lecca-lecca: si è installata nel sistema ed è diventata la “camera oscura” dell’Università italiana. Una miriade di numeretti e di formulette matematiche per valutare tutto, infliggendo carichi esorbitanti di inutili scartoffie burocratiche nascoste dietro arcani e sempre nuovi acronimi. Ebbene, neanche l’Anvur, con il lecca-lecca di traverso, aveva mai osato arrogarsi il diritto di valutare e mettere in fila i singoli individui con i suoi algoritmi e le sue formule, dichiarando che ciò sarebbe stato impossibile e sbagliato. Ma ecco che il Pd, zio affettuoso, le viene in soccorso, e si inventa un nuovo gioco: con la scusa di assegnare mancette domenicali per la ricerca, inventa l’indicatore FFABR (solo per ricercatori e professori associati, mica per gli ordinari…) che verrà usato – in prima battuta, poi si vedrà – per far mettere gli uni contro gli altri in corsa per un magro gruzzoletto di un migliaio di euro di “fondi per la ricerca”. Giusto il costo di una giornata di studi con tre invitati e rinfresco a base di pizzette e coca-cola.

Identico sistema, ma su una scala diversa, è quello giustamente definito da Roars dei “ludi dipartimentali”: in questo caso il “tutti contro tutti” si sposta al livello dei Dipartimenti, dal lecca-lecca alla fabbrica di caramelle, generando un meccanismo perverso. A chi è considerato un po’ più “bravo” si prova a dare ciò che dovrebbe essere normale – milioni di finanziamento e capacità assunzionale – relegando i non promossi nella serie B, ovviamente per demerito: non sei dipartimento eccellente? Amen, una prece e avanti un altro. In questo modo si incentivano soltanto le realtà già forti a scapito di quelle in crescita e si abbandona il principio della distribuzione delle risorse pubbliche a favore del territorio, affossando un sistema che, tra i suoi elementi di positività, aveva una qualità diffusa della quale tutti, da Bolzano a Messina, potevano sperare di beneficiare.

Si vuole migliorare il sistema o distruggerlo, “asfaltando” (come qualcuno ama dire) la strada per i privati che verranno e per la gioia di Confindustria? Caro Partito Democratico, se questa domanda vi pare retorica, e se vi sembra che chiunque la legga conosca già la risposta, dovreste iniziare a farvi delle domande e ad ascoltare (davvero!) chi in Università ci lavora e studia, non solo chi pensa di comandarla come fosse cosa sua e liscia il pelo al governo di turno in previsione dei suoi augurabili incarichi futuri.

Rete 29 Aprile

Pubblicato sul Fatto Quotidiano del 13 dicembre 2017

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9 Commenti

  1. Veramente non vedo innovazioni di fondo nella legge di bilancio, rispetto alla legge Gelmini.
    .
    Art. 8, comma 3, della L.240:
    “Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo adotta un regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per la rimodulazione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, della progressione economica e dei relativi importi, anche su base premiale, per i professori e i ricercatori assunti ai sensi della presente legge, secondo le seguenti norme regolatrici….”
    .
    Inoltre, Art. 6, c.14:
    “La valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale ai fini dell’attribuzione degli scatti triennali di cui all’articolo 8 e’ di competenza delle singole università secondo quanto stabilito nei regolamenti di ateneo. In caso di valutazione negativa, la richiesta di attribuzione dello scatto può essere reiterata dopo che sia trascorso almeno un anno accademico. Nell’ipotesi di mancata attribuzione dello scatto, la somma corrispondente e’ conferita al Fondo di ateneo per la premialità dei professori e dei ricercatori di cui all’articolo 9. ”
    .
    Quindi, dove sta la novità nella Legge di bilancio? Tutto scritto dalla Gelmini&Co. Ovviamente scritto anche male perche’ l’applicazione automatica del sistema degli catti (triennali nell L.240) a professori e ricercatori reclutati precedentemente non era assolutamente evidente nel testo della 240 (ma poi ci hanno pensato i decrti applicativi).
    .
    Conclusione: il PD ha pesanti responsabilità su quel che ha fatto e anche su quel che non ha fatto sull’ Università. Tuttavia se non si coglie la continuità inquietante della politica PD con quella berlusconiana, si rischia di non comprendere il vero problema: la politica universitaria di questo Paese e’ eterodiretta da un pezzo. Se si vuole capire la direzione di certe riforme o le ragioni sottostanti, molto meglio dare un’occhiata ai documenti Confindustria soprattutto dell’ epoca Rocca.

  2. Veramente i giochini sull’ università li hanno fatti tutti i governi a partire dagli anni 90. Per esempio la finanziaria 2004 bloccò lo’ assunzione di 1500 ricercatori
    http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2003/11_Novembre/08/cervelli.shtml
    Tagli operati dal Governo Prodi II
    http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/universita-troppi-tagli-e-poco-dialogo?page=3
    Insomma mi pare che tutti da destra a sinistra abbiano fatto dell’ attacco all’ università lo sport preferito. Quanto ai 5stelle hanno messo in rete un programma desolante , in cui i problemi si risolvono con il cartellino ai docenti. Se dovessi esercitare il mio voto sulla base dei programmi e delle cose fatte sull’ università, dovrei smettere di votare.

  3. Osservazione quasi giusta ma non giustissima. Infatti è stata la sedicente sinistra a fare i guai peggiori. Ad ogni modo, l’affermazione di Marcati conferma ciò che è già stato osservato con acume da Badiale e Bontempelli nei libri La sinistra rivelata.
    e Civiltà occidentale. Una difesa contro la barbarie che viene, e nei libri di Bontempelli L’agonia della scuola italiana
    e Nichilismo, verità, storia.

    Il concetto è che viviamo in un totalitarismo, in cui a dominare non è la logica del partito o dello stato, ma quella mercantile del profitto aziendale.

    Come corollario di questo concetto, la politica, vista come scelta tra alternative, ha ceduto il passo alla amministrazione. Quelli che chiamiamo ”politici” sono amministratori, cioè amministrano la implementazione di scelte di fondo già prese altrove.

    Non riesco in questo angusto margine a dar conto delle analisi di Bontempelli, e dei suoi collaboratori, ma raccomando caldamente la lettura dei suoi libri.

    Mi limito a citare un brano di Bontempelli, del 2000, tratto dal suo libro ”L’agonia della scuola italiana”


    L’odierna stupidità crede che l’epoca dei totalitarismi sia ormai trascorsa, in quanto dà per scontato che i totalitarismi siano soltanto fascismo, nazismo, comunismo. Ma cosa significa totalitarismo? Significa che i diversi ambiti e livelli della vita collettiva hanno perduto la loro specifica autonomia, ed obbediscono ad una medesima ed unica logica di potere. Questa logica di potere è rappresentata nel totalitarismo politico dallo Stato e dal partito unico variamente intrecciati (nell’Italia fascista, ad esempio, il totalitarismo, peraltro assai incompleto, faceva perno sullo Stato, mentre nella Germania nazista soprattutto sul partito). Ma quello politico non è l’unico totalitarismo concepibile, e neanche quello compiuto. Noi oggi viviamo dentro un totalitarismo economico, gradualmente impostosi da un quarto di secolo, rispetto al quale quello di un qualsiasi Stato fascista è un totalitarismo all’acqua di rose. Certo, un totalitarismo economico non appare visibile come tale alla stessa stregua di un totalitarismo politico, e risulta anzi del tutto invisibile ai più, ma, proprio in ragione di questo suo rimanere ben nascosto, esso penetra molto più profondamente nelle anime, instupidendole ed anestetizzandole spiritualmente come nessun dittatore avrebbe mai potuto fare, e diventando così totalitario al massimo grado.

    • Quanto mi convince! L’unica parola che per me veramente manca è “conformismo”, concetto che viene applicato o realizzato, da chi è conformista, con consapevolezza più o meno piena, per convenienza, al di là dell’anestetizzazione e dell‘istupidimento. Il conformismo ha varie manifestazioni, sofisticate e rozze, con tutte le sfumature e miscidanze intermedie. A noi interessa soprattutto quello accademico, i cui confini, rispetto a quello non accemico chiaramente non sono netti, ma anche quelli sono sfumati, stemperati nel generale conformismo sociale. Guardo a quelli che si dichiarano di sinistra, soprattutto nel PD (la destra per me si autodefinisce con maggiore nettezza e rozzezza). In che cosa sono di sinistra? È una sinistra che guarda , chi di più chi di meno, verso destra, come la destra guarda e agisce, di fatto, ancor più verso destra. Predicare implicitamente la pace sociale (attraverso i vari tipi degli 80 euro oppure con la mancia selettiva dei tremila euri) è pura ipocrisia al momento attuale. Se è vero che il divario tra ricchi e poveri si sta allargando, la ‘povertà‘ accademica e scolastica pubblica, non (ancora) paragonabile a quella della società circondante, viene perseguita attraverso investimenti importanti, impoverendo così sia le istituzioni obiettivo sia la società in generale. Quindi sprechi sfacciati, immorali ma istituzionlaizzati per impoverire e indebolire, sottomettere, altre istituzioni , quelle che producono, o megli dovrebbero produrre, pensiero indipendente.

    • Correzione.
      “Quindi sprechi sfacciati, immorali ma istituzionalizzati per impoverire e indebolire, sottomettere, altre istituzioni, quelle che producono o, meglio, dovrebbero produrre, pensiero indipendente.”

    • di biase@ parole di Bontempelli meravigliose vere e profonde. Grazie.
      Una piccola annotazione a latere… Ho visto che oggi GAS (GA Stella) spara contro Boschi… E’ proprio il segno del tempo, vuol dire che costei è finita..Come con l’università pubblica Stella.. forte coi deboli e debole con i forti. Rizzo è già vicedirette di Repubblica, al sole24 aspettano GAS
      viva roars

  4. A me più che strategia operativa sembra bipolarismo, in senso politico e psichiatrico del termine.

    Da una parte autorevoli esponenti del PD hanno portato avanti politiche di saccheggio e burocratizzazione: potenziamento della ridicola agenzia di valutazione (ANVUR), cattedre Natta, gran premio dei dipartimenti di eccellenza, distribuzioni di elemosine a pioggerellina (FFABR), piano ANAC per l’Università e la Ricerca, mercati elettronici di Stato (CONSIP) e altre stravaganze.

    Dall’altra altrettanto autorevoli esponenti del PD hanno faticosamente condotto battaglie giuste e sacrosante, che segnano un deciso cambiamento di rotta (anche rispetto all’altra anima del PD): risorse per il reclutamento dei ricercatori, borse di studio, diritto allo studio, detassazione e aumento delle borse di dottorato, interventi a favore del precariato, tentativi di risoluzione dell’annoso e assurdo problema degli scatti stipendiali.

    La principale differenza è che i primi usano gli acronimi, gli altri no.

    La palese dimostrazione di questo bipolarismo è lo psicodramma che si consuma ogni anno in fase di approvazione della legge di bilancio, con esponenti di governo e presidenti di commissione PD impegnati nel tiro al piccione per abbattere gli emendamenti, spessissimo giusti e sacrosanti, proposti dai loro colleghi PD.

    Psico-Dramma appunto: acronimo PD.

    Sembra di rivivere l’agonia dell’iter parlamentare della Legge Gelmini. Ai tempi governavano quelli della Casa della Libertà impegnati contemporaneamente sui due fronti del maldestro riformismo del sistema universitario e del cercare di salvare il salvabile a forza di emendamenti riparatori.

    Il prodotto finale è stato un disastro (L.240/2010). Ed è stato un vero peccato che in questa legislatura sia stato fatto pochissimo per mitigarne gli effetti e per cambiare verso per davvero, a parte le generiche dichiarazioni e le cure palliative.

    Peccato Davvero: acronimo PD.

    Forse il bipolarismo destra-sinistra come lo abbiamo conosciuto è tramontato per sempre, distrutto dal trasformismo e dalle inadeguate leggi elettorali.

    Forse esso potrebbe essere sostituito da un nuovo bipolarismo politico.

    Da una parte i “Popolari-riformisti-neoliberisti-parasovietici” per la continuazione della devastazione e della burocratizzazione dell’Università pubblica statale, così come di ogni altro servizio dello Stato. Acronimo P.

    Dall’altra i “Democratici-conservatori-liberali-progressisti“ per la difesa a oltranza dello Stato sociale e delle Istituzioni pubbliche così come le abbiamo sempre conosciute nella loro tradizione millenaria. Acronimo D.

    Io non avrei dubbi da che parte stare.

    #MaiPiùRiforme #ReazionariperlaLibertà #ConservatoriperilProgresso #LaBuonaUniversitàeraQuelladiPrima #Risorgimento #Resistenza

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