Fino a che punto è giusto tassare i fuori corso? Segnaliamo ai lettori l’articolo di Roberto Amabile lancia una provocazione ed un invito alla riflessione. Gli studenti universitari fuori corso pagano molte più tasse universitarie dei propri colleghi in corso per il conseguimento del titolo. Governo, ministero e università introducono meccanismi premiali (carota) o punitivi (bastone): laurearsi nei tempi prescritti sia un merito che va premiato di per sé, mentre il comportamento opposto viene punito a prescindere dalle ragioni che lo determinano. Con il risultato che si fanno pagare più tasse a chi “consuma” meno l’università e vive momenti di studio difficile. Questo è forse contrario ai principi di buona amministrazione, ma sicuramente è contrario ai principi basilari di solidarietà che animano il nostro ordinamento. Un intervento palliativo ma di semplice introduzione potrebbe consistere nel ridurre le tasse agli studenti fuori corso per ogni anno ulteriore di iscrizione, introducendo quindi un massimale complessivo di spesa da non sforare.
L’Università di Firenze torna alla carica con un aumento generalizzato delle tasse – in particolare (ma non solo!) per gli studenti “irregolari” e “improduttivi” – e in forma del tutto inedita nemmeno facendo finta di coinvolgere gli studenti ai tavoli tecnici (quindi politici) dove queste proposte vengono affrontate.
I principali promotori di questa controriforma di tassazione sono il rettore Luigi Dei e la vicerettrice Vittoria Perrone Compagni: da un lato spendono le più commosse parole per gli studenti dell’Ateneo (dichiarando di stare “dalla parte degli studenti”), e dall’altro si prestano a erodere quel poco di welfare familistico che è rimasto, mentre gli studenti devono accettare lavori umilianti pur di pagarsi l’università se di quel welfare non godono. ”Almeno 20 CFU a studente”, tanto prevede la “quota premiale” del Fondo di Finanziamento Ordinario che diverrà sempre più cospicua a discapito del finanziamento “storico”.
Per questo a San Marco, come in ogni altro Ateneo, non si rimpiange lo studente fuori corso che non rinnova l’iscrizione all’Università, mentre al contempo si tassano quelli che hanno ancora la “velleità” di di conseguire il titolo nonostante forti dissuasioni economiche, vere e proprie ”multe” per chi non si laurea in tempo. Per questo mi pareva opportuno smascherare certi imbonimenti ideologici che hanno ormai superato ogni limite della decenza. L’ho fatto in termini di proposta-provocazione, sperando di creare qualche sussulto/tumulto la prossima volta che i lettori sentiranno la parola “meritocrazia”.
Gli studenti universitari fuori corso (che tardano a laurearsi nei tempi prestabiliti) pagano molte più tasse universitarie dei propri colleghi in corso per il conseguimento del titolo.
Si va da almeno un +20% per le lauree quinquennali a ciclo unico, a un +33% per le lauree triennali, fino a un +50% per le lauree magistrali. Queste percentuali aumentano ogni anno che uno studente permane fuori corso: ad esempio, una laurea triennale in ingegneria civile che costa in corso 1.000 € complessivamente, in 6 anni (3 previsti più 3 ulteriori) verrebbe 2.000 €, cioè un aumento del 100%.
Sono cifre stimate al ribasso: non sono contati né le borse di studio per gli studenti in corso, né altri incentivi e disincentivi, altrimenti avremmo aumenti percentuali da capogiro. C’è inoltre da considerare che il tardivo inserimento nel mondo del lavoro garantisce meno possibilità allo studente, ed ogni anno da studente fuori corso è assimilabile a un anno retribuito in meno come lavoratore laureato. Un intervento palliativo ma di semplice introduzione potrebbe essere dimezzare le tasse agli studenti fuori corso ogni anno ulteriore di iscrizione, introducendo quindi un massimale complessivo da non sforare. (vedi grafici)
Invece di seguire questo ragionamento di buonsenso, governo, ministero e università introducono meccanismi premiali (carota) o punitivi (bastone): pare che laurearsi nei tempi prescritti sia un merito che va premiato di per sé, mentre il comportamento opposto vada punito a prescindere.
Eppure, far pagare più tasse a chi “consuma” meno l’università e vive momenti di studio difficile è contrario non solo ai principi di buona amministrazione, ma anche ai principi basilari di solidarietà che animano il nostro ordinamento.
Si preferisce invece fare cassa sulla pelle degli studenti più in difficoltà, senza nemmeno uno sguardo alla situazione economica, familiare, di salute, di contesto culturale e sociale particolari, nonché alle angherie didattiche di corsi strutturati male e agli impedimenti burocratici che bisogna affrontare per sopravvivere all’università.
Un analogo sarebbe estrarre energia da un tapis roulant con dinamo alimentata da un disabile in carrozzina: il manifesto della crudeltà. Per tutti questi motivi tale feccia ideologica “meritocratica”, nient’altro che darwinismo sociale e classista, va immediatamente rispedita ai mittenti.
Articolo pubblicato originariamente su: Perunaltracittà
Le tasse andrebbero ridotte per chi ha situazioni di svantaggio economico, a prescindere dal fuoricorso, secondo me.
Le difficoltà dei fuori-corso vanno studiate da ogni cds per poter porre in essere correttivi ad hoc.
Gli studenti vanno anche informati di ciò che comporta per loro e per la loro Università il fuori-corso.
Scusate, ma forse sarebbe meglio indagare sulle cause del fuori corso.
Non so se mi sbaglio, non sono completamente sicuro di quello che dirò, ma mi sembra che in tanti Paesi il problema del fuori corso non sorge perché i loro corsi universitari sono più simili alle nostre scuole superiori.
Mi spiego meglio: girando un po’ e chiedendo in giro mi sono accorto che nei corsi all’estero non ci sono “esamoni” come da noi, ma lezioni ogni giorno con “compiti del giorno dopo”, nel cui contesto si è più seguiti giorno per giorno, step by step, appunto tipo liceo. In alcuni casi, mi pare di aver sentito che se “non vai bene durante l’anno” devi ripetere l’anno (o cose simili, come appunto il liceo).
Se è cosi (attendo conferme), non sarebbe il caso di prendere esempio?
Nelle materie umanistiche, ad esempio, giurisprudenza, uno ha “l’esamone” di “procedura civile” (ad esempio), 10.000 pagine (esagerazione voluta), puoi non andare mai a lezione, rinchiuderti in casa e essere promosso oppure seguire sempre le lezioni studiare tanto ed essere bocciato. Questo per dire che, nelle facoltà umanistiche, l’impressione è che lo studente venga lasciato solo dallo Stato.
Nelle facoltà scientifiche, con la questione dei laboratori, ad esempio, lo studente è “costretto fisicamente” (e questo è un vantaggio) a frequentare di più e quindi è più stimolato ad avere contatto con la realtà e forse non si isola e si laurea in corso (o quasi).
Poi dipende da caso a caso, ma questa è la mia impressione.
Bisogna indagare sulle cause del fuori corso.
anto: «Non so se mi sbaglio, non sono completamente sicuro di quello che dirò, ma mi sembra che in tanti Paesi il problema del fuori corso non sorge»
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anto ha ragione a sentirsi poco sicuro di quello che dice. La mitologia dell”italia “unico Paese al mondo dove esistono i fuoricorso” è dura a morire. In realtà, i fuoricorso sono un fenomeno del tutto comune a livello internazionale. Lo testimonia persino quel fenomenale creatore di miti che è Francesco Giavazzi che, però, sui fuoricorso scrive:
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«Throughout the world, a large fraction of students remain in educational programs beyond their normal completion times and this tendency appears to have increased in recent years. At the undergraduate level, according to Bound et al. (2006), time to completion of a degree has increased markedly over the last two decades. Various papers and policy reports confirm these findings.(1)»
https://www.roars.it/profumo-italia-unico-paese-con-i-fuoricorso-ma-e-vero/
Giuseppe De Nicolao:
sì, infatti, attendevo conferme o smentite.
Tuttavia, come già scritto, la mia impressione è all’estero l’università sia più simile alla nostra scuola superiore, con i “compiti del giorno dopo”, nel cui contesto si è più seguiti giorno per giorno, step by step, appunto tipo liceo. In alcuni casi, mi pare di aver sentito che se “non vai bene durante l’anno devi ripetere l’anno” (o cose simili, come appunto il liceo).
L’essere seguiti e controllati con regole rigide probabilmente crea meno fuori corso.
Può confermare o smentire questa mia impressione?
Non ho dati per confermare o smentire, ma potrebbe essere verosimile.
precisazione “se non sei promosso agli esami dell’anno in corso, devi ripeter l’anno”.
I fuori – corso sono un peso morto per la comunità accademica italiana anche in considerazione del fatto che le Università Italiane non fanno una selezione severissima agli esami di profitto (avere studenti “in corso”, infatti, aumenta la quota premiale degli FFO).
Quindi propongo due soluzioni (alternative).
1) cacciamo definitivamente lo studente quando va fuori corso (e quindi liberiamolo dalle gravose tasse).
oppure
2) aumentiamo di 10 volte la rata massima delle tasse previste ( e quindi, automaticamente lo demotiviamo dal continuare il suo infruttuoso percorso, specialmente se poco facoltoso, o riempiamo le casse degli atenei se lo studente è ricco e decide di continuare)
“avere studenti “in corso”, infatti, aumenta la quota premiale degli FFO”
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Non proprio. L’8% della quota premiale viene ripartito in base al numero di studenti regolari che hanno acquisito almeno 20 CFU. I fuoricorso non incidono (in positivo o negativo) sulla quota ripartita in base al costo standard, mentre contribuiscono con le tasse che pagano (e da tempo qualcuno ha pensato bene di alzarle per i fuori corso). Io continuo a non capire perché ci sia questa demonizzazione dei fuoricorso. Mi sembra giustificato preoccuparsi per gli studenti che trovano difficoltà a procedere con regolarità e predisporre interventi che favoriscano una progressione regolare (migliorare la didattica, supporto per colmare eventuali lacune, tutoring, interventi di sostegno al diritto allo studio, …). Ma continua a sfuggirmi la ragione per cui dovremmo colpevolizzarli.
Mi pare opportuno ricordare l’esistenza di una, magari molto ridotta, categoria di studenti che divengono fuori corso: quelli che studiano molto bene, magari colmando lacune pregresse, fino al punto – incredibile dictu – di non dimenticare gli argomenti studiati il giorno dopo l’esame. Questi spesso non sono proprio capaci di presentarsi all’esame senza aver assimilato tutti gli argomenti. Sembrerebbero meritevoli di apprezzamento, ma pare che “tanti cfu anche male compresi” sia preferibile…
Su un sito del governo USA con un po’ di statistiche interessanti, si trovano anche i tassi di laurea in 4, 5 e 6 anni, da cui si può rilevare che i fuoricorso esistono:
https://nces.ed.gov/programs/digest/d15/tables/dt15_326.10.asp
Dovremmo colpevolizzarli …… perché il sistema universitario italiano è, già di per se, molto virtuoso per l’organizzazione e l’erogazione della didattica (compreso di tutoring, intervento di sostegno al diritto allo studio e quant’altro). Per questo motivo restare “fuori corso” in Italia è una scelta autonoma e consapevole (e bisogna pure impegnarsi molto per rimanere fuori – corso). Infatti, la maggior parte dei fuori corso (95%) (capisco che non bisogna fare, sempre, di tutta l’erba un fascio…. ma resterebbe fuori solo il 5%) percepisce il percorso universitario come una sorta di parcheggio (ovviamente a pagamento ……. – mediante le tasse – …. )
Francesco1408: “Il sistema universitario è già di per sé molto virtuoso per l’organizzazione e l’erogazione della didattica”
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La mia esperienza è che la variabilità della qualità dell’erogazione dei servizi didattici è enorme tra corsi di studio dentro atenei e tra atenei. Accanto a corsi virtuosi ci sono corsi organizzati in modo disastroso.
Francesco1408: “virtuoso” ….”per il diritto allo studio”.
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Annovererei tra i comportamenti virtuosi l’invenzione della figura dello studente “idoneo, ma non beneficiario” di borsa di studio (e ricordo che quesi la metà di questi si trova nelle regioni del Sud, in particolare in Sicilia.) Più in generale si veda a: https://www.roars.it/category/diritto-allo-studio/
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Francesco1408: “Per questo motivo bisogna impegnarsi molto per restare fuori corso in Italia”.
Oltre la metà dei laureati italiani si laurea fuori corso. Evidentemente si impegnano molto.
Francesco1408 sostiene che “Dovremmo colpevolizzarli” i fuori corso. I proporrei punizioni corporali per i fuori corso, da affidare alle CEV di ANVUR durante le visite agli atenei per il processo di accreditamento.
Rispondo ad Alberto Baccini. Sicuramente la situazione cambia da corso di laurea a corso di laurea, ma per andare fuoricorso, almeno dove insegno io, ti assicuro che serve una tenacia incredibile.
Da dove iniziare? Innanzitutto, quest’anno più del 60% degli iscritti al corso di laurea si è iscritto con debiti formativi (non ha superato il test d’ingresso, basato su semplici domande di cultura matematica generale). Gran parte degli studenti (sicuramente più della metà), non sa risolvere equazioni di secondo grado, a volte neanche di primo. Non sanno scrivere l’equazione di una retta. Non conoscono il teorema di Pitagora. Stiamo parlando di cose che si studiano il primo anno di scientifico o addirittura alle scuole medie (geometria euclidea). Ad una studentessa ho chiesto di determinare l’intersezione di due rette, ed era convinta che l’intersezione fosse una circonferenza (ok, una volta mi hanno risposto “una parabola”).
Ti assicuro che un bravo studente del liceo potrebbe superare il mio esame praticamente senza studiare. Eppure la percentuale di successo è imbarazzante (è un corso del primo anno: ebbene a giugno un solo studente del primo anno si è presentato a sostenere l’esame, gli altri erano alcuni del terzo anno e in gran parte fuoricorso!).
Questa è la situazione. Nonostante le ore spese in tutoraggio, ricevimenti, precorsi, etc. Poi possiamo far finta di niente, ma molti studenti sono semplicemente fuori posto. Sicuramente non per colpa loro (sarà peggiorata la scuola dell’obbligo), ma non ci si può iscrivere all’Università non avendo imparato nulla alle medie o al liceo (il teorema di Pitagora!). Platone diceva, parafrasando, che non è degno di essere chiamato uomo chi non sa che la diagonale di un quadrato è incommensurabile con il suo lato. Vogliamo fare un sondaggio per vedere quanti dei nostri laureati sono “degni del nome dell’uomo”.
Per la classe di laurea L-23 (triennale) la durata *media* degli studi è di 6.4 anni e l’età media di laurea è maggiore di 26 anni. La durata media della magistrale (LM-24) è di quasi 4 anni, e l’età media oltre 28 anni. E stiamo parlando di medie!
Non si può far finta che il problema non esista.
Per quel che vale l’esperienza individuale, posso confermare che il livello delle Università all’estero è pari ad un liceo, neanche particolarmente buono.
E’ vero che, sempre per la mia esperienza, una piccola percentuale degli iscritti alle nostre università ha la preparazione, motivazione, determinazione, per affrontare gli studi universitari, che cercano in mille modi di portare al loro livello, senza mai sollevare l’asticella in modo da migliorare. Come già accaduto nella scuola, una parte del corpo docente è complice (30 e 30 e lode abbondano e, di conseguenza, l’apprezzamento del docente…)
Due guerre mondiali, la cacciata degli Ebrei, i processi di sostituzione culturale con modelli improntati al livellamento, alla socializzazione, al pragmatismo e al commercio, i tagli alla scuola superiore, l’autosvalutazione della classe docente, il culto della contemporaneità non sono passati invano sull’Europa. Godiamoci i buoni frutti.
Molto interessante questo intervento sulla tassazione dei fuori corso.
Forse bisognerebbe anche parlare dei possibili modi per incoraggiare gli studenti a laurearsi in corso.
Più precisamente, credo che si debba anche parlare delle tasse che un ateneo percepisce indebitamente dagli studenti che si laureano a marzo, cioè nella sessione straordinaria dell’anno accademico precedente, e che poi non restituisce. Eppure, questi studenti “non esistono’’, come studenti, nell’anno accademico nuovo, e quindi le tasse pagate, e non restituite, non corrispondono ad alcun servizio.
Qualche dettaglio. Mi sono laureato in Matematica nel marzo del 2016 presso l’Universita` degli Studi dell’Aquila. Come e` noto, cio` significa che mi sono laureato nell’anno accademico 2014-15. Eppure, quell’ateneo mi ha chiesto la prima rata dell’anno accademico 2015-16. Io l’ho pagata, ma ora non vuole restituire quei soldi, anche se il regolamento allora vigente diceva il contrario. Hanno anche cambiato la norma … con effetto retroattivo!
In segreteria mi hanno detto che non sono l’unico in quella condizione. In quanti siamo? Forse un centinaio? Vediamo: 500 euro per 100 fanno 50 mila euro. Ma mi sembra difficile che chi amministra un ateneo sia pronto a comportarsi in modo, a dir poco, discutibile, al fine di guadagnare 50 mila euro. O mi sbaglio?
Naturalmente, sono in grado di documentare tutte queste mie affermazioni.
Daniele Tiberio
No. Non mi stupisce.
Io invece sono stupito assai. Nel mio ateneo scorrettezze di questo tipo non si verificano, perché, in situazioni simili, la segreteria studenti restituisce i soldi. Ma il caso tipico è dato dal mio ateneo o da quello aquilano? Il Ministero ha qualcosa da dire? Poi, cambiare le norme con effetto retroattivo è incredibilmente arrogante: non eravamo la patria del diritto?