La notizia è passata inosservata, ma è clamorosa. Nella classifica dell’impatto della ricerca (research influence) un’università tecnica nel nord Iran, la Babol Noshirvani University of Technology, è la prima del mondo davanti a MIT e Harvard. Siete perplessi? Non ne avete ragione, se date retta al Rettore dell’Università di Bologna, Francesco Ubertini, che non esita a definire “prestigiosa” la classifica di Times Higher Education. In realtà, che in quella classifica ci sia qualcosa che non funziona è cosa nota fin dalla sua nascita nel 2010, quando Times Higher Education, coprendosi di ridicolo, si complimentò con l’Università di Alessandria d’Egitto, che nella classifica citazionale della research influence si era classificata quarta nel mondo davanti a Stanford e Harvard.

Quest’anno, oltre all’exploit iraniano, c’è anche l’Università di Reykjavik che si prende il lusso di superare Harvard, Berkeley e Princeton. Ad accorgersene è stato il solito Richard Holmes, il ranking analyst che da anni sul suo blog viviseziona ogni genere di classifica internazionale. Ma come mai nessun mezzo di informazione segnala queste anomalie, tirando le debite conclusioni sulla natura pseudoscientifica di queste classifiche? Azzardiamo una risposta: quando non si conosce ciò di cui si scrive non resta che scopiazzare o riassumere i comunicati stampa. Mentre chi dovrebbe capirci qualcosa, ovvero i vertici accademici degli atenei, è comunque pronto a giudicare “prestigiosa” anche la classifica più sgangherata, purché il proprio ateneo vi si collochi in buona posizione. Secondo Richard Holmes, dopo anni di figuracce (passate inosservate in Italia ma non solo), gli “esperti” di Times Higher Education sarebbero sul punto di modificare il loro famigerato indicatore citazionale. Ironicamente, Holmes prevede che la classifica sarà un po’ più valida ma “molto meno divertente”.

  • THE World University Rankings: link
  • La definizione di Research Influence e la metodologia per calcolarlo: link

 

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