“The first rule of the Dashboard, in other words, is that you never talk about the Dashboard“: no, non stiamo parlando di un sequel di Fight Club, il film che aveva Brad Pitt come protagonista, ma di una “regola” in vigore in un università statunitense. Non rivelare mai agli studenti i criteri secondo i quali essi vengono ammessi ai programmi speciali per prevenire gli abbandoni. Fa parte di una strategia psicologica:
Select the students who are least likely to do well, but in all your communications with them, convey the idea that you have selected them for this special program not because you fear they will fail, but because you are confident they can succeed.
Sul Magazine del New York Times, Paul Tough dedica un’inchiesta, intitolata Who Gets to Graduate?, ai programmi di prevezione degli abbandoni universitari messi in campo dall’Università del Texas ad Austin. Il primo passo consiste nell’individuare gli studenti maggiormente a rischio, un compito che si avvale della cosiddetta “Dashboard”
an algorithm, in spreadsheet form, that would consider 14 variables, from an incoming student’s family income to his SAT score to his class rank to his parents’ educational background, and then immediately spit out a probability, to the second decimal place, of how likely he was to graduate in four years.
Ma non bisogna pensare che la chiave sia la statistica o l’informatica, quanto invece il tentativo, apparentemente riuscito, di mettere a fuoco le ragioni psicologiche per cui gli studenti provenienti dalle famiglie meno abbienti hanno una probabilità molto maggiore di arrendersi di fronte a quegli ostacoli altrimenti superabili da chi dispone di un retroterra che lo rassicura sulle sue capacità intellettuali e sulla possibilità di farcela.
L’articolo alterna efficacemente le storie personali degli studenti, ma anche dei docenti impegnati nel programma, con un resoconto assai informativo sul problema dei fuori corso e degli abbandoni negli Stati Uniti. Non mancano i numeri ed anche qualche grafico che da solo varrebbe la lettura dell’articolo, come il seguente.
La figura, basata sulle statistiche nazionali USA, mostra che, persino a parità di punteggio nel test di ammissione, chi proviene da una famiglia più povera vede enormemente ridursi la probabilità di conseguire un titolo universitario quadriennale entro i 24 anni di età. Un chiaro segno di diseguaglianza delle opportunità a cui viene dato il nome di graduation gap.
L’esperienza della squadra all’opera ad Austin ha messo in evidenza alcuni risultati degni di nota:
- La probabilità di completare gli studi universitari con successo è in larga parte predetta dal reddito famigliare. In particolare:
- gli studenti provenienti da famiglie ad alto reddito fronteggiano meglio le difficoltà e finiscono per laurearsi;
- gli studenti provenienti da famiglie a basso reddito sono più facilmente soggetti a sentirsi isolati e inadeguati con una conseguente maggior probabilità di abbandono.
- Anche studenti che conseguono buoni punteggi nei test di ammissione standardizzati (SAT) possono boccarsi davanti ai primi esami universitari.
- Gli effetti negativi del punto 1.2 possono essere sensibilmente ridotti attraverso ingegnosi interventi psicologici a basso costo.
A chi fosse interessato ad approfondire il tema raccomandiamo la lettura diretta dell’articolo. Vale però la pena di aggiungere un paio di considerazioni finali.
Il successo degli studenti nei corsi non sembra dipendere dal docente: gli studenti delle famiglie ricche passano, quelli delle famiglie povere incontrano molte più difficoltà.
Alla luce di tutto ciò, sembra avere ben poco fondamento l’idea di classificare o valutare le università mediante test standardizzati che misurino l’apprendimento degli studenti o attraverso il confronto delle percentuali di completamento degli studi. L’unico effetto potrebbe essere quello di penalizzare le università che immatricolano un maggior numero di studenti provenienti da famiglie a basso reddito ed avvantaggiare quelle che in un modo o nell’altro ne ostacolano l’iscrizione.
Leggi l’articolo su New York Times – Magazine: Who Gets to Graduate?
“Il successo degli studenti nei corsi non sembra dipendere dal docente: gli studenti delle famiglie ricche passano, quelli delle famiglie povere incontrano molte più difficoltà”. Redazione ROARS
Che il successo universitario di uno studente dipende non dal docente ma dalla ricchezza della propria famiglia è una frase sconcertante da leggere in un forum solitamente molto intelligente, soprattutto quando l’articolo del NYT dimostra il contrario. All’affermazione della redazione di ROARS vi vorrei contrapporre la dichiarazione del vice-Preside di King Solomon Academy di Paddington (Londra), che ha fatto il seguente commento a proposito dei risultati ottenuti dai suoi studenti agli esami nazionali quest’estate:
“They show that all pupils, irrespective of background, can achieve success academically, if they have the right support and teaching”.
https://witness.theguardian.com/assignment/53ce6ab1e4b012be69215c32/1115918
E adesso vi racconto la storia. King Solomon Academy è una scuola statale dove 65% degli studenti non parlano inglese come prima lingua, 50% hanno un reddito familiare talmente basso da essere esenti da tutte le tasse scolastiche e 12% sono stati diagnosticati con “special educational needs” (traduzione: difficoltà di apprendimento). Il sindacato nazionale degli insegnanti britannici, seguendo la linea “i ricchi passano, i poveri incontrano piu’ difficoltà”, ha ritenuto che coloro che partono con troppi svantaggi economico-sociali non dovrebbero affrontare gli esami nazionali ritenuti troppo difficili, e dovrebbero invece essere indirizzati su materie piu’ facili. La scuola ha risposto picche a questa posizione rinunciataria e i loro studenti “poveri” hanno affrontato tutte le materie piu’ difficili, ottenendo risultati eccellenti, persino migliori della media delle scuole d’elite private (“i ricchi”, appunto). 93% hanno raggiunto i livelli migliori in Matematica e Letteratura Inglese e 75% hanno ottenuto il benchmark di rendimento stabilito dal governo per le altre materie fondamentali.
Come mai questa scuola è riuscita a smentire coloro che dicevano che il loro svantaggio economico-sociale fosse incolmabile? Il motivo del suo successo, oltre ovviamente all’impegno di questi ragazzi, è dovuto sia alla qualità dei loro docenti e preside e alle loro aspettative alte nei confronti degli studenti, sia alle riforme delle scuole statali, iniziate dal governo laburista (Blair) e continuate da quello liberal-conservatore (Cameron), secondo le quali qualsiasi scuola statale puo’ cambiare autonomamente regolamento, dando piu’ liberta ai presidi sia nei programmi che possono proporre agli studenti sia nel reclutamento dei docenti.
I risultati ottenuti presso L’University of Texas, in perfetta sintonia con quelli del King Solomon Academy, smentiscono l’idea che per ottenere buoni risultati conta solo la ricchezza. Al contrario, i due casi dimostrano che sono proprio i docenti che possono fare la differenza. Infatti è bastato che un docente texano analizzasse il problema del drop out presso la sua università e proponesse un programma innovativo di orientamento insieme ad altri colleghi per invertire il trend dell’abbandono.
Proabilmente la sintesi è andata a detrimento della chiarezza. Senza un intervento speciale e mirato, quello che si osserva è il “graduation gap” della figura. Secondo quanto spiega l’articolo del NYT, per colmare il gap non basta intervenire sull’insegnamento, ma bisogna intervenire anche a livello psicologico:
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“… students were often blocked from living up to their potential by the presence of certain fears and anxieties and doubts about their ability. These feelings were especially virulent at moments of educational transition — like the freshman year of high school or the freshman year of college. And they seemed to be particularly debilitating among members of groups that felt themselves to be under some special threat or scrutiny: women in engineering programs, first-generation college students, African-Americans in the Ivy League.”
Per inciso, non attribuirei il motivo del successo della King Solomon Academy “alle riforme delle scuole statali, iniziate dal governo laburista (Blair) e continuate da quello liberal-conservatore (Cameron)”. La King Solomon Academy non è un’academy qualsiasi. Infatti è una “ARK school” con grandi disponibilità finanziarie:
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“ARK is a registered charity under English law and is based in London. In 2009–10 it had a gross income of £14.5m. ARK was co-founded by a group of hedge fund financiers including Paul Marshall and Ian Wace of Marshall Wace and Arpad Busson of EIM Group, who is founding chairman of its board of trustees.”
http://en.wikipedia.org/wiki/Absolute_Return_for_Kids
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In altri casi i successi delle riforme sembrano assai meno evidenti:
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“E-Act, one of the largest chains of primary and secondary academies and free schools in England, has been lambasted by Ofsted inspectors for the poor performance of the schools it manages.
In its first mass inspection of an academy trust chain, Ofsted placed five out of the 16 E-Act schools inspected into special measures with its lowest grade of inadequate. They included Hartsbrook in Tottenham, north London, one of the government’s flagship free schools.
Ofsted said 11 of the 16 E-Act schools had failed to provide good quality education. Only one was rated as outstanding, Ofsted’s highest grade, compared with about one in five schools nationally.”

http://www.theguardian.com/education/2014/mar/25/academy-free-school-trust-e-act-ofsted
@de Nicolao
Lo scopo del mio post iniziale è stato di sottolineare il mio disaccordo con la vostra conclusione che conta solo la ricchezza della famiglia e non la qualità del docente. Prima di rispondere alle tue ulteriori obiezioni volevo dare un po’ di contesto ai lettori su cosa sono gli academy schools (fonte Wikipedia):
“Academy schools are state funded schools in England which are directly funded by central government (specifically, the Department for Education) and independent of direct control by the local authority.The majority of academies are secondary schools, but some primary schools also have academy status. Academies are self-governing and all are constituted as non-profit charitable trusts.[1] They may receive additional support from personal or corporate sponsors, either financially or in kind. They must meet the same National Curriculum core subject requirements as other state schools and are subject to inspection by Ofsted.”
@De Nicolao – “La King Solomon Academy non è un’academy qualsiasi. Infatti è una “ARK school” con grandi disponibilità finanziarie”
Gli ARK schools sono academies che mirano, tramite l’investimento privato a scopo filantropico, a “close the achievement gap between children from disadvantaged and more affluent backgrounds. Its academies focus on raising attainment with the aim of every pupil going into higher education when they complete school”. Non ho dati su quanti fondi ha ricevuto la King Solomon da ARK (tu li hai?) ma personalmente ritengo che l’investimento privato nelle scuole statali a scopo filantropico sia lodevole e da incoraggiare. Il punto cruciale è che bisogna investire nella didattica.
@De Nicolao – “Per inciso, non attribuirei il motivo del successo della King Solomon Academy “alle riforme delle scuole statali, iniziate dal governo laburista (Blair) e continuate da quello liberal-conservatore (Cameron)”.
Direi che a volte bisogna riconoscere quando una riforma scolastica funziona e imparare da essa. Sono state proprio le riforme Blair a permettere alle scuole statali di diventare academies/free schools, con maggiore autonomia e possibilità di accedere a fondi esterni tramite partnerships come ARK: http://www.newstatesman.com/education/2012/03/free-schools-labour-academies
De Nicolao – “In altri casi i successi delle riforme sembrano assai meno evidenti”
Sicuramente ci sono degli academies che non hanno avuto buoni risultati come King Solomon (e il Guardian è sempre puntuale a sottolinearli) e mi ricordo bene come gli academies sono stati molto criticati nei primi anni. Ma ora che i risultati si cominciano a vedere, le critiche sono molto meno e gli academy schools vengono considerati dalla società britannica come un’innovazione interessante e produttiva.
Per i piu’ giovani lettori di ROARS volevo anche sottolineare che il preside di King Solomon School ha 28 anni.
“Ma ora che i risultati si cominciano a vedere, le critiche sono molto meno e gli academy schools vengono considerati dalla società britannica come un’innovazione interessante e produttiva”
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La notizia del Guardian è del 25 marzo scorso e riguarda ““E-Act, one of the largest chains of primary and secondary academies and free schools in England”.
In ambito scolastico il Guardian fa sempre cherrypicking. Per motivi ideologici, ogni volta che trovano qualche risultato di academies che non vanno bene li sbattono in prima pagina e non pubblicano mai le buone notizie. Per una visione un po’ meno miope della situazione dei maintained schools (academies sotto il diretto controllo del ministero), le statistiche delle ispezioni Ofsted si trovano qui: http://www.ofsted.gov.uk/resources/latest-official-statistics-maintained-schools-and-academies-inspections-and-outcomes
Citare un singolo caso (King Solomon Academy) a sostegno di una tesi non è cherry-picking?
Con un certo “understatement” mi sono limitato ad osservare che “In altri casi i successi delle riforme sembrano assai meno evidenti” citando ispezioni non proprio favorevoli che riguarderebbero “one of the largest chains of primary and secondary academies and free schools in England”. Cito il Guardian:
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John Nash, the schools minister, wrote a stern letter to E-Act’s chief executive, telling him to “take immediate action to address the weaknesses Ofsted have highlighted”.
“Ofsted’s findings are hugely disappointing and we are extremely concerned about the number of your academies that are not yet ‘good’. As Ofsted’s letter makes clear, the majority of pupils attending an E-Act academy are not receiving a good education. This is unacceptable,” Nash wrote.
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La notizia è di qualche rilievo anche perchè il Ministro John Nash è
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“a wealthy Tory donor, venture capitalist and enthusiastic sponsor of academies,”
http://www.theguardian.com/education/2013/jan/10/gove-appoints-john-nash-education-minister
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Insomma, una delle più grandi catene di academies e free schools riceve una lettera di fuoco da un ministro ideologicamente favorevole alle academies. Se è cherry-picking, la ciliegia è bella grande, direi.
Sono d’accordo che la ciliegia E-Act è bella grande ma sempre una ciliegia rimane. Per avere un’idea del frutteto intero, bisogna studiare bene le statistiche Ofsted che ho citato nell’altro post, che offrono un quadro della situazione di tutti i grant-maintained schools ispezionati, con alti e bassi.
Citare qualcosa per illustrare una posizione in un forum non è cherrypicking (altrimenti molti di quelli che rispondono a ROARS sono cherrypickers). Cherrypicking implica escludere deliberatamente altri casi simili ma contrastanti con la propria posizione. Ho cercato di argomentare tutto e ho indicato le relazioni e statistiche Ofsted. Piu’ di questo in un forum è difficile fare.