La scuola italiana ha ripreso le lezioni in presenza da circa un mese, tra disagi e difficoltà più o meno preoccupanti nelle diverse zone del paese. Ai problemi endemici si sommano quelli contingenti di un’emergenza sanitaria senza precedenti. Mai come oggi la geografia scolastica italiana è frastagliata e frammentata, ed è difficile ipotizzare un’evoluzione in senso di una maggiore omogeneità. Solo uno sembra essere il punto di riferimento: i test INVALSI. Nell’attesa di conoscere le date di inizio dei futuri Esami di Stato, a sole due settimane dall’apertura delle scuole (almeno in alcune regioni) l’Istituto di Valutazione ha pubblicato il calendario dei test per i 2,5 milioni di studenti italiani, dai 7 anni in avanti. Un senso di” scollamento”, di “disallineamento” dalla realtà, di cecità spacciata per oggettività avvolgono il nostro dibattito pubblico e scientifico in tema di valutazione. Nel panorama internazionale, la pandemia ha rappresentato un’occasione unica di analisi critica dell’impianto del sistema di valutazioni standardizzate degli apprendimenti. In Italia, in un clima provincialmente ovattato, si continua invece ostinatamente nella stessa direzione, programmando test uguali per tutti e discettando di “learning loss” misurabili. Un dibattito povero, ideologicamente orientato e compiacente continua a raccontarci, anche in piena emergenza, di voler fronteggiare temi cruciali come l’uguaglianza o la cittadinanza con dosi massicce di test standardizzati. Con l’espressione “the elephant in the room” gli inglesi indicano un problema talmente grande e consolidato da non esser più messo nemmeno in discussione né visto. I test INVALSI sono il nostro gigantesco elefante nella stanza.
La scuola italiana ha ripreso le lezioni in presenza da circa un mese. Moltissimi i disagi e le difficoltà registrate, più o meno preoccupanti nelle diverse zone del paese: è di pochi giorni fa la notizia della chiusura delle scuole campane, a seguito di un aumento di contagi e della preoccupante pressione sulle strutture servizio sanitario regionale. Non si escludono analoghe decisioni altrove. Alle difficoltà endemiche di inizio anno – cattedre vacanti e lezioni a singhiozzo, situazione dei posti di sostegno, precariato e reclutamento – si sommano quelle contingenti, dovute ad un’emergenza sanitaria senza precedenti. La situazione è in continua evoluzione: il Ministero ha chiesto a tutte le istituzioni scolastiche di procedere ad un monitoraggio della situazione epidemiologica, acquisendo dati relativi ai contagi e alle misure adottate, settimana dopo settimana. La differenziazione in termini di gestione e organizzazione didattica è più che mai variegata, pur nel quadro generale delle disposizioni emanate quest’estate. Tra rientri differenziati, mancanza di tempo pieno, orari ridotti, turnazioni, didattica mista o interamente a distanza per assenza di spazi, la geografia scolastica è quanto mai frastagliata e pare difficile ipotizzare un’evoluzione nel senso di una maggiore omogeneità. Tra le nuove misure al vaglio del governo, spunta l’ipotesi di un ritorno alla didattica a distanza.
Non sembra essere un caso, quindi, che lo stesso Ministero, nell’ordinanza annuale in cui si definisce il calendario scolastico, con le festività nazionali uguali per tutte le scuole, non abbia reso note le date di inizio degli esami di Stato del primo e secondo ciclo.
La scuola ha ricominciato- è vero – ma con lo sguardo sempre puntato sulle curve di crescita dei contagi, con enormi difficoltà di gestione, sia di tutti quei casi con sintomatologie che non consentono l’accesso in classe, che dei casi monitorati di positività e quarantena; con i disagi legati ad un’organizzazione didattica “acconciata” come meglio si poteva – in termini di personale, di spazi e dotazioni -, con uno stato dei trasporti pubblici assolutamente inadeguato. Si respira un clima di sospensione e di incertezza, si avverte una sorta di consapevolezza che lo stato attuale delle cose non durerà.
E mentre si susseguono i confronti del ministro con il Comitato Tecnico Scientifico e l’Istituto Superiore di Sanità, quelli con le Regioni e il Ministero dei trasporti, mentre si scrivono i provvedimenti governativi (DPCM 13 Ottobre e 18 Ottobre) che introducono nuove regole di condotta sociale, intervenendo anche sull’organizzazione scolastica (Nota M.Bruschi 19 Ottobre), sembra essere uno solo il punto fermo a cui aggrapparsi: i test INVALSI.
Pare proprio che, a dispetto di ogni dato di fatto, il nostro “Santuario della cultura del dato” (definizione del suo Direttore Generale, vedi qui), ovvero l’ Istituto Nazionale di Valutazione, abbia già fissato le date dei test di quest’anno, che dunque si svolgeranno regolarmente.
A parte un breve accenno, doveroso, all’eventuale “cambiamento concordato con il Ministero dell’istruzione”, dovuto alla situazione sanitaria, che potrebbe far subire variazioni alle “date e all’organizzazione”, il quadro dei test per gli oltre 2,5 milioni di studenti italiani è perfettamente sovrapponibile a quello degli anni precedenti.
1. Il dibattito sulla valutazione durante la pandemia
L’“INVALSI è un istituto di ricerca che contribuisce al dialogo della comunità scientifica sulla valutazione”.
Questo leggiamo nella sezione “Ricerca” del rinnovato sito invalsiopen.it, dedicato alle prove standardizzate e all’universo della valutazione e misurazione degli apprendimenti della scuola italiana.
Eppure, chi di noi scorresse le pagine di quel sito resterebbe colpito dalla pressoché totale assenza di riscontro con la realtà materiale che la scuola sta affrontando e ha affrontato in questi mesi. Non tra le principali pubblicazioni, né nelle sezioni dedicate alle “Prove”, ai “Risultati” e alle “Risorse”.
Nella sezione “News” di questo mese – ottobre – ad esempio, leggiamo:
Solo scorrendo indietro tale sezione del sito, tra i circa 60 articoli raccolti dall’inizio della pandemia ad oggi, trova spazio “l’attualità” in un Editoriale a firma della Presidente dell’Istituto – di cui parleremo più avanti – e alcuni commenti: la sintesi di uno studio dell’ INDIRE [1], quella di uno studio del CENSIS [2], il richiamo ad un’analisi di Save the Children [3] e una rilettura dell’indagine OCSE sulla didattica a distanza basata sui dati PISA 2018 [4]. In tre articoli (qui, qui e qui) sono poi raccolte esperienze e voci di lavoratori della scuola sull’anno scolastico appena conclusosi.
Nessun tipo di approfondimento scientifico originale, nessun raffronto con ciò che accade negli altri paesi, alle prese con la stessa emergenza. Anche sul fronte dell’informazione pubblica, oltre che su quello scientifico, in Italia non è all’orizzonte alcuna messa in discussione o confronto in tema di valutazione.
Eppure, nel panorama internazionale non si esaurisce quel dibattito già acceso durante lo scorso anno scolastico e accademico, sul senso e sull’opportunità di mantenere immutato l’impianto delle valutazioni e delle qualifiche nazionali.
Negli USA, nell’estate appena trascorsa, più di 400 college hanno deciso di cancellare come requisito di ammissione i test SAT e ACT. Alcuni hanno annunciato addirittura una pausa triennale.
“The coronavirus pandemic, by forcing the cancellation of in-person test-taking, prompted elite universities including Harvard, Yale and the University of California system to join, at least temporarily, the list of schools that aren’t requiring the ACT and SAT entrance exams.”
“In 2020 alone, more than 300 schools have gone testing-optional, albeit temporarily, as the coronavirus has forced the closure of testing centers, many of which are located at high schools.”
Intanto, mentre il segretario per l’Educazione dell’amministrazione Trump, Betsy DeVos, annuncia con una lettera inviata ai capi di Stato che quest’anno verranno svolti normalmente i test standardizzati previsti in base all’ Every Student Succeds Act (ESSA) , il confronto e il dibattito continuano (vedi qui, qui, qui o qui) su posizioni anche conflittualmente aperte.
In Inghilterra, dopo la spettacolare retromarcia da parte del governo sull’attribuzione algoritmica di valutazioni assegnate agli studenti a fine II ciclo in sostituzioni di quelle degli insegnanti, la messa in discussione dell’impianto valutativo del sistema di istruzione è più che mai attuale [5]:
“A coalition of private and state schools is expected to launch a campaign to end GCSEs, as growing numbers of schools look at alternatives to the exams following the summer algorithm debacle.”[6]
In Scozia, il governo nei mesi scorsi commissionava al Prof. Mark Priestly (University of Stirling) un’analisi indipendente sui processi di qualifica nazionale svoltisi nel 2020 e nella data del 7 Ottobre (tweet ripreso in foto) annunciava la cancellazione dei 5 Esami Nazionali previsti dal Curriculum of Excellence.
In tema di didattica e apprendimento a distanza in Francia, risale al 13 Ottobre la presentazione da parte del CNESCO (Centre national d’étude des systèmes scolaires) del rapporto “Numérique et apprentissages scolaires”, sull’impiego del digitale nelle discipline fondamentali, sui suoi effetti sull’apprendimento e sulla relazione scuola-famiglia.
In Italia, nulla di tutto questo.
Al contrario. In un’atmosfera provincialmente ovattata, continuano a susseguirsi sulle colonne dei principali organi di stampa – persino sui rotocalchi femminili – e sui social i piagnistei sull’importanza dei test non svolti in periodo di lockdown, che addirittura avrebbero permesso di misurare quantitativamente il “learning loss” degli studenti, anche quantificato in termini di percentuali di PIL.
In questo panorama, l’ editoriale dal titolo: “A proposito di valutazione in tempi di Covid-19”, a firma della Presidente A.M. Ajello, sul sito dell’INVALSI, che lo (auto)definisce “una interessante riflessione sulla valutazione nella didattica a distanza” – rappresenta, ad oggi, l’analisi disponibile per il lettore che desideri approfondire il tema, svolta dal nostro Istituto di Valutazione (ricordiamo: un “Ente di Ricerca”).
Come è possibile – sarebbe opportuno chiedersi – che l’INVALSI continui a procedere ostinatamente nella stessa direzione, stabilendo a due settimane dall’apertura delle scuole (30 Settembre) il calendario primaverile dei test, indipendentemente dallo stato frammentato, disomogeneo e dalle condizioni di emergenza in cui lavorano le scuole?
Un senso di” scollamento”, di “disallineamento” dalla realtà, di cecità spacciata per oggettività coglie chiunque – studente, insegnante o genitore – si trovi a leggere e ad appuntare sulla propria agenda le date dei futuri test, da Marzo a Maggio 2021: da svolgere rigorosamente in classe, dalla seconda “elementare” in avanti.
Probabilmente, proprio quell’editoriale sulla valutazione in tempi del Covid, potrebbe aiutare a ricordare meglio il perché di tale posizione, all’apparenza ottusamente corporativa (un istituto di valutazione non avrebbe ragion d’essere, senza la somministrazione di test standardizzati), ma a nostro avviso più propriamente idologica, ovvero frutto di una precisa “concezione del mondo”.
In quell’editoriale, infatti, è resa evidente ancora una volta e con estrema chiarezza la visione che l’Istituto di Valutazione INVALSI ha dell’insegnamento e della professionalità docente.
Pur non contenendo la riflessione alcun punto di novità, vale la pena ripercorrere i suoi passi fondamentali. Scrive la Presidente dell’INVALSI, a proposito di Valutazione e Didattica a distanza:
1) L’insegnamento è una procedura
Un intervento didattico, ovvero un’attività di insegnamento, che si svolga essa in presenza o a distanza, è per la Presidente INVALSI sostanzialmente assimilabile ad un processo chiuso, fondato sul problem solving, ovvero sulla messa in opera di un successione di passi che condurranno lo studente alla “soluzione” (obiettivo di apprendimento) predefinita dal docente, al quale spetta il compito di documentare le “evidenze”.
Tale idea di insegnamento, perfettamente in linea con quella contenuta in tutti i documenti metodologici ministeriali degli ultimi anni, risponde ad un paradigma meccanicistico/deterministico estremamente povero dal punto di vista culturale, oltre che disumanizzante da quello relazionale e reale.
La stessa professione docente, in tale quadro, destituita dalla sua valenza intellettuale e interpretativa, risulta schiacciata su compiti di analisi dati e documentazione di “evidenze”.
2) Non esiste apprendimento che non sia “visibile”
Le “evidenze” – esito del processo di insegnamento – possono essere rese visibili anche per mezzo delle “ricche potenzialità del digitale”. Ad esempio:
I “prodotti” dell’apprendimento possono dunque essere valutati anche a distanza, sulla base di “criteri discussi tra colleghi e intersoggettivamente condivisi”. E’ questa la valutazione che l’INVALSI definisce “a validità locale”, ossia riferita “allo specifico gruppo classe”, agli specifici “strumenti e modalità proposti” a quella “situazione di tempo e spazio”.
3) Le valutazioni degli insegnanti sono autoreferenziali
Arriva qui il nodo cruciale. Nonostante quella negoziazione e condivisione di criteri e di esperienze professionali che avviene collegialmente e anno dopo anno si rinnova – condivisione che in premessa lo stesso INVALSI riconosce – proprio la caratteristica di specificità “locale” della valutazione renderebbe autoreferenziale quel giudizio. Quindi poco significativo:
4) Non si può fare a meno della valutazione standardizzata
Sulla base di tale affermazione che più che una posizione scientificamente supportata suona come un verdetto senza appello, non c’è che un solo destino per la scuola, con o senza Coronavirus: test standard per tutti.
2. Un enorme elefante nella stanza
Attraverso una catena di inferenze il cui fondamento suona puramente ideologico, ovvero basato su una certa idea e funzione della scuola – quella che Baldacci chiama “formula pedagogica” dominante [7] – somministrare test INVALSI equivarrebbe dunque a garantire un diritto di cittadinanza, al cui pieno godimento non possono più bastare le valutazioni dell’insegnante e del Consiglio di Classe.
Anche in piena pandemia, in presenza di una situazione di eccezionale disomogeneità e frammentarietà, in condizioni storiche senza precedenti, i vertici dell’istruzione e il dibattito pubblico continuano a discutere con compiacenza di cittadinanza e uguaglianza, attenzione alle differenze, inclusione.
Nel frattempo, non si smette di alimentare quell’ enorme, macroscopico imbroglio che sta alla base di ogni valutazione standardizzata: non c’è alcuna uguaglianza e alcuna “cittadinanza” nel misurare tutti gli studenti con uno stesso metro.
Gli inglesi lo chiamano “elephant in the room”. Un “problema” talmente grande e consolidato da non esser più messo nemmeno in discussione. Nemmeno visto. Persino in piena crisi sanitaria.
Sono i test INVALSI, il nostro gigantesco elefante nella stanza.
———————————–
[1] 22/09/20: Breve sintesi dell’Indagine INDIRE sulla percezione della didattica a distanza da parte dei dirigenti scolastici.
[2] 4/9/20: Breve sintesi dell’indagine CENSIS sui principali aspetti che dal punto di vista dei dirigenti scolastici hanno influenzato la scuola nell’emergenza.
[3] 3/7/20: Breve sintesi dell’analisi di Save the Children sul nesso pandemia e povertà educativa.
[4] 12/6/20:
[5] https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/oct/02/abolish-school-exams-league-tables-assessment
[6] https://www.theguardian.com/education/2020/sep/20/private-and-state-schools-bid-to-kill-off-gcses
[7] M Baldacci, “La scuola al bivio: mercato o democrazia?”, Franco Angeli, 2019.
“Il sistema dei test Invalsi tratta i bambini e i ragazzi come prodotti da supermercato a cui dare un prezzo ed un valore. È una pubblicità ingannevole. È un sistema che ha l’obiettivo di svilire le capacità degli adolescenti, dei docenti e delle scuole che puntano sulla creatività e sui valori della comunità. È un sistema che ha la volontà di piegare la scuola sotto indici economici, aziendali. È un sistema senza alcun fondamento scientifico pedagogico. È un sistema che mortifica le diversità, la creatività, il pensiero divergente”. Ma il M5S, ci fa sapere Gallo, “una volta al governo cancellerà il sistema di potere dei test Invalsi. Ora all’opposizione sostiene chi lo boicotta”. Così scriveva Gallo (M5S) su FB tre anni fa. Qualcuno potrebbe fargli notare che ora il M5S non solo è al governo, ma esprime pure il Ministro dell’Istruzione?
Già