Finalmente i nomi sono usciti. Di fronte alla insostenibilità della situazione e alla brutta figura rimediata nel caso del disastroso esito delle prove di ammissione del TFA, il Ministro ha deciso di pubblicare il decreto – sinora tenuto gelosamente riservato – nel quale sono contenuti i nomi dei 145 esperti che hanno confezionato i quesiti e sono riusciti a battere ogni record in fatto di approssimazioni, inesattezze ed inadeguatezze, così come abbiamo già documentato (vedi link 1, link2, link3).

Intanto la precedente Ministra, Maria Stella Gelmini, non ci sta a fare da capro espiatorio, accollandosi la scelta di questi presunti “esperti”, e ha precisato che il decreto di nomina è direttoriale e non “ministeriale”, ovvero non è di diretta responsabilità del Ministro. Ma, si suppone, di una “direzione” ministeriale, ovvero del MIUR: e il Ministro, in questo casi, non controlla e ciascuna direzione è un regno autonomo e indipendente che fa quel che vuole?

Ma vi sono altri motivi di inquietudine: di fronte alla sfilza degli sconosciuti nomi elencati nel decreto non si può che rimanere perplessi: non sembra – ad un primo esame – che vi siano luminari delle discipline oggetto delle classi di concorso (di quelle con le quali almeno riteniamo di avere qualche familiarità). Ed una cosa salta subito agli occhi: la singolare distribuzione territoriale dei nominati. Sarebbe interessante sapere (a parte i 24 provenienti da Roma, la città col più alto numero di “prescelti”,  che sono comprensibili per questioni logistiche e per altro) in base a quale straordinaria concentrazione di ingegni e competenze sia stato possibile che conquisti la medaglia d’argento Reggio Calabria, con 18 esperti nominati, e quella di bronzo Palermo, con 16 esperti. Gli altri si accontentano: Milano 11, Napoli 9, Torino 8, Biella 5, Caserta 4, Agrigento, Bolzano e Genova 3 e così via, con grandi città e grandi sedi universitarie con zero esperti. Certo non si può dire che ciò sia dovuto alla volontà di qualche premuroso funzionario di gratificare con lauti compensi gli esperti, visto che nessun compenso o gettone era dovuto. E allora? Quale arzigogolio ci sta dietro questa così straordinaria e apparentemente poco causale distribuzione delle competenze sul territorio nazionale?

Sarebbe certo un ulteriore elemento di chiarezza, ora che sappiamo i nomi, riuscire a comprendere per quali misteriosi e arcani ragionamenti e calcoli ministeriali (o più esattamente, “direttoriali”) si siano avute così strane concentrazioni di intelligenze in certe città e una altrettanto accentuata desertificazione di ingegni in altre.

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9 Commenti

  1. Purtroppo non ci sono le discipline.
    Certo se dovessi giudicare da come sono stati formulati i quesiti di diritto, direi che i professori dell’elenco sono da radiare senza possibilità di contraddittorio.
    Non è tanto una questione di contenuti (anche quella) ma soprattutto una questione di didattica e di apertura mentale; l’una e l’altra praticamente assenti, com’è palesate, tra la’altro, dai quesiti sulla causa del contratto, sull’autogoverno e sull’abolizione della disposizione transitoria della Costituzione.
    Risposta assunte esatte quesiti che tradiscono una assoluta ignoranza del dibattito sui suddetti concetti, una conoscenza ma manuale da scuola superiore, uno sciocco nozionismo e una incapacità di porre gli argomenti in modo comprensibile.

  2. Sì i nominativi del DM 14 del 7 agosto sono quelli dei docenti che hanno cercato di correggere (anche se talvolta il rimedio è stato peggiore del male). Tra i nominativi pubblicati nel decreto del 2011, riconosco alcuni consulenti e funzionari ministeriali, per cui arguisco che abbiano tutti quella provenienza, ovvero dirigenti scolastici, ispettori e simili che o sono andati in pensione e ora sono in servizio presso il ministero come consulenti, o vi sono distaccati con qualche mansione, o (immagino nella maggioranza dei casi) aspirano a diventare una delle due cose. Ho avuto qualche contatto con alcuni di loro per questioni riguardanti la normativa della formazione insegnanti e la didattica dell’italiano e ne ho sempre ricavato un’impressione deprimente. L’apparato dei ministeri, come sappiamo, sopravvive ai ministri ed è ciò che più determina storture e immobilismo. Nel Ministero della pubblica istruzione il problema si moltiplica perché, proprio dove più sarebbe necessario l’aggiornamento e l’apertura alle nuove ricerche, ci si scontra con chiusure difensive, rigidità amministrative e strani miscugli di nozioni più o meno scientifiche difficili da scardinare. Nel settore dell’università, talvolta (dipende dal ministro), è più semplice costruire una collaborazione tra universo ministeriale e universo accademico, ma nel settore scuola è molto facile che si crei un muro invalicabile.
    Quanto alla provenienza geografica, non penso che ci siano chissà quali manovre, ma che la motivazione sia, ahimè, ancora peggiore. temo, infatti, che abbia prevalso, come sempre, il criterio della conoscenza (se io sono stato dirigente in Calabria, per esempio, e ora occupo una posizione al ministero, chiamerò gli amici e gli amici degli amici). Purtroppo, come sappiamo, è malcostume diffusissimo a tutti i livelli e ciò che di cui dobbiamo lamentarci non è la provenienza da Reggio Calabria o da Genova (continuo a credere che ci siano elementi ottimi in tutte le nostre città e regioni) ma l’opacità e discutibilità dei criteri che guidano le scelte.

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