Se esiste un’autentica croce e delizia dei vertici accademici italiani, questa è costituita dalle classifiche internazionali degli atenei. Croce perché offrono poche soddisfazioni agli atenei italiani (apparentemente) relegati in posizioni di rincalzo. Ma anche delizia, ogni qual volta il proprio ateneo svetta tra quelli italiani.

Ciò che accomuna chi esibisce la coda del pavone e chi se la tiene tra le gambe è l’ignoranza pressoché assoluta del funzionamento di questi ranking. L’effetto può essere discretamente comico, come quando, scambiando una classifica per un’altra, si vanta un balzo in avanti in un ranking in cui il proprio ateneo non figura nemmeno.

Oppure quando un prorettore di Bologna, tratto in inganno dalla stampa, afferma che «senza fare trionfalismi  è consolante essere la prima italiana» nella classifica ARWU-Shanghai, senza avvedersi che si trattava di un’ordine alfabetico delle italiane classificatesi nell’intervallo 151-200. Prontamente smentito dal rettore della Sapienza, Luigi Frati, che – fatti due conti – aveva rivendicato il primato indebitamente scippato alla Sapienza di Roma,  che precedeva Bologna di quasi 50 posizioni.

Uno a zero e palla al centro.

Ma nel passaggio delle consegne tra Frati ed il suo successore qualcosa deve essere andato storto. Il nuovo rettore, Eugenio Gaudio, nella sua prima inaugurazione dell’anno accademico, prende palla e la insacca … nella propria porta, riproponendo la “classifica alfabetica” di Shanghai:

ShanghaiAlfabetico

Citare delle classifiche metodologicamente traballanti e famose per i propri svarioni non depone a favore di chi governa una comunità accademica. Uno scienziato non si fregia di cabale di cui non comprende il senso. Cosa può esserci di peggiore?

Renderlo chiaro a tutti, citandole anche sbagliate.

 

 

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