Roars ha deciso di avviare una serie di interlocuzioni con alcuni protagonisti dell’open science per portare a conoscenza delle comunità italiane importanti iniziative a livello europeo e italiano che potrebbero modificare in maniera significativa il panorama della comunicazione scientifica. L’intervista di oggi è dedicata ad un editore italiano che da anni ha abbracciato la filosofia dell’accesso aperto Ledizioni. Ne parliamo con il suo fondatore: Nicola Cavalli.

Roars: Ledizioni è una casa editrice che ha circa 300 monografie pubblicate in Open Access, come mai avete abbracciato questo modello?
Ledizioni nasce nel 2008, ci stiamo quindi avvicinando all’anniversario dei 15 anni di attività. La casa editrice nasce però dall’esperienza della Libreria Ledi, attiva dal 1935, che si occupava principalmente di importare prodotti editoriali accademici e distribuirli sul mercato delle istituzioni e delle biblioteche italiane. Abbiamo quindi una prolungata e approfondita conoscenza del mondo accademico italiano ed internazionale. Quando nel mondo delle scienze dure anglosassoni si è iniziato a parlare di Open Access, è nata una curiosità verso il modello che sembrava avere le potenzialità di migliorare significativamente il circuito della circolazione della conoscenza accademica ed io, che ho fondato insieme ai miei familiari Ledizioni, avevo da poco concluso un dottorato in cui mi sono occupato proprio della transizione del settore editoriale accademico al digitale. Ci è sembrato naturale e opportuno iniziare a sperimentare con editoria digitale e Open Access, fondando così il marchio Ledizioni.

Crediamo fortemente che il settore editoriale accademico potesse essere migliorato e debba ancora essere migliorato, e, data la nostra esperienza, ci siamo messi in gioco partendo da un principio banale. Se la pubblicazione riceve un finanziamento sufficiente non c’è ragione perché poi non possa essere distribuita gratuitamente in digitale, sfruttando le possibilità offerte dal web e dai suoi protocolli, fra cui l’OAI-PMH.

R: Nel corso degli anni il movimento Open Access si è andato specializzando con diversi modelli (green, gold, diamond, author’s pay, institution’s pay…) per poi arrivare al più ampio concetto di Open Science.
Come vi comportate di fronte a questa miriade di possibilità ed opzioni?

In una riflessione più ampia che ho già sviluppato in alcune presentazioni, crediamo che il passaggio al prodotto editoriale digitale necessiti anche di un passaggio nella concezione che hanno di sé le case editrici accademiche. Il settore editoriale è sempre stato (e lo è tuttora, almeno a livello formale) un settore produttivo, alle cui basi c’è il prodotto “libro”, da cui conseguono tutta una serie di modalità operative e di offerta verso il proprio mercato di riferimento, che, ricordiamolo, nel caso dell’editoria accademica, vede la peculiare commistione fra produttori e fruitori (gli autori dei prodotti editoriali accademici sono tipicamente docenti o ricercatori universitari, così come lo sono i lettori). Ledizioni si propone, in accordo con le modifiche introdotte dal digitale e della rete nel settore editoriale e nelle società, come una società di servizi, che opera all’interno del circuito della comunicazione scientifica. Non abbiamo quindi particolari difficoltà, se non meramente operative, ad adattarci alle diverse modalità di finanziamento e di evoluzione del settore, dato che possiamo variare con molta flessibilità i servizi che offriamo.

R: Il vostro è un marchio relativamente giovane, come si inserisce nel panorama editoriale nazionale e internazionale?
Non c’è dubbio che la storia dell’editoria sia attraversata da marchi che hanno assunto un’aura quasi mistica e che hanno aiutato ad orientare i lettori nelle loro scelte, garantendo loro una certa “qualità” o almeno una certa prospettiva, un certo taglio. Questo è vero per l’editoria letteraria, per l’editoria di varia, per la saggistica divulgativa e per quasi tutti i sottosettori editoriali. È storicamente vero anche per l’editoria accademica, credo però che l’importanza dei marchi nel meccanismo di circolazione del sapere accademico sia sopravvalutato. In un settore il cui scopo dovrebbe essere quello di far arrivare le informazioni, i dati, insieme alle riflessioni ed alle interpretazioni, degli avanzamenti in un dato settore di studi, il marchio dovrebbe assicurare la correttezza del processo di verifica della validità scientifica di ciò che si pubblica. Questo scopo viene assolto, in modi diversi, attraverso i meccanismi di revisione e decisione paritaria, quindi da parte di membri della stessa comunità scientifica, in ogni caso in qualche modo “esterni” o almeno solo parzialmente interni al marchio editoriale. Credo quindi che non sia corretto affidarsi completamente al prestigio del marchio nel caso dell’editoria accademica, ritengo sarebbe più corretto valutare i marchi in base al tipo di processo di revisione, di validazione e di gestione del processo editoriale che effettuano e non solo in base alla storicità di ciò che hanno pubblicato in passato.

R: La pubblicazione digitale permette modalità di presentazione e di fruizione innovative, ancora poco sfruttate. C’è vita oltre al PDF?
Sicuramente si. Il PDF è un formato standard molto diffuso per il mondo dell’editoria, grazie al fatto di essere nato prima della diffusione della rete, nei primi anni ’90. Quando si è diffusa la rete nella seconda metà degli anni ’90, gli editori già utilizzavano il PDF per inviare i materiali da stampare ai tipografi e quindi è apparso naturale utilizzarlo anche per diffondere i libri in formato digitale. Purtroppo il PDF, pur molto migliorato nel corso degli anni, non è un formato particolarmente alla lettura a schermo ed in particolare alla lettura in mobilità su schermi a inchiostro elettronico o degli smartphone.
Noi abbiamo quindi fin dall’inizio diffuso i nostri contenuti anche in ePub ed iniziato a codificare i nostri contenuti in XML, in modo da poter realizzare anche delle versioni “web”, diciamo per semplicità in html, che possano essere fruiti con la stessa facilità con cui si consulta un qualsiasi sito web, sfruttando però tutte le funzionalità di linking e di display dell’informazione multimediale permessi dal web.

R: Ultima domanda sui costi di pubblicazione. Un report di un progetto finanziato dalle University Press americane (The Cost to Publish TOME Monographs) arriva a stimare un costo di 22000 $ per la pubblicazione di una monografia. È davvero così costoso pubblicare una monografia cartacea e digitale in Open Access?
Decisamente no, i nostri costi si attestano su una scala completamente diversa.
Il nostro modello, basato come dicevo prima sul servizio, permette una vera collaborazione nel processo editoriale fra noi e gli autori, i curatori di monografie o fra di noi e i comitati redazionali o scientifici delle riviste e delle collane monografiche. In questo modo gli eventuali i costi vengono ottimizzati in base alle reali attività che vengono chieste all’editore, senza “pacchetti predefiniti” che sono spesso più comodi a livello gestionale, ma in definitiva meno convenienti.

R: Chi sono i vostri autori?

I nostri autori sono tipicamente professori e ricercatori universitari o comunque afferenti ad istituti scientifici e di ricerca. Pubblichiamo poi anche alcuni volumi di saggistica più divulgativa in cui gli autori possono anche non provenire direttamente dal mondo della ricerca, quando dal mondo del giornalismo o delle professioni. Dato il nostro approccio ed il nostro modello pubblichiamo anche giovani ricercatori, in alcuni casi alla prima monografia. Come dicevo sopra le decisioni di pubblicazione per noi sono in buona misura prese grazie ai pareri dei comitati scientifici e della revisione paritaria, non è una decisione che prende autonomamente l’editore.

 

R: Come editore chiedete agli autori di cedere tutti diritti di sfruttamento economico?

Perché sì o perché no?

Tutti i nostri contratti si basano su una licenza creative commons e quindi non implicano la cessione esclusiva di tutti i diritti di sfruttamento economico, in particolar modo quando si tratta di pubblicazioni finanziate e quindi distribuite in Open Access.  Nell’ottica già richiamata della fornitura di servizi, piuttosto che della produzione di libri cartacei ci pare naturale acquisire i diritti per ciò che concordiamo di fare, lasciando libero l’autore di gestire i diritti per ciò che ritiene di gestire autonomamente. Anche sotto questo aspetto ci poniamo in un’ottica di collaborazione con i nostri autori, in modo da decidere insieme cosa e come farlo, nell’interesse di una reciproca soddisfazione e ottimizzazione delle risorse.

 

R: Come si valuta nel circuito open se un libro ha avuto successo?

Noi lo valutiamo principalmente attraverso le metriche di utilizzo, in primis il numero dei download, seguita dal numero di visualizzazioni dell’abstract. Ci sono poi servizi come “Altmetrics” ed altri che forniscono un indice di quanto quell’articolo o quella monografia siano state menzionate sul web e sui social media e che danno una buona idea dell’impatto che quel contenuto ha avuto nella comunità scientifica. Dato che per quasi tutte le nostre monografie produciamo poi anche una versione cartacea, verifichiamo ovviamente anche le vendite del formato cartaceo. E’ vero che le metriche “tradizionali” come l’impact factor sono state pensate ed utilizzate principalmente per gli articoli pubblicati in rivista, esistono però anche le versioni e gli adattamenti per le monografie, come il Book Citation Index di Web of Science, che però prende in considerazione un sottoinsieme molto ristretto di monografie e non sembra particolarmente utile. Effettivamente, per quanto possa sembrare bizzarro, anche il formato più consolidato e prestigioso per la pubblicazione di studi umanistici ma anche di scienze sociali, la pubblicazione di monografie, è spesso più invisibile nel panorama delle metriche digitali, causando così una distorsione dell’impatto delle diverse comunità accademiche.

 

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