La comunicazione scientifica sta evolvendo rapidamente e le richieste di trasparenza da parte delle agenzie di finanziamento, delle comunità scientifiche e del pubblico in generale sono sempre più pressanti. Una ricerca di qualche anno fa, che riportava un sondaggio condotto su un ampio campione di ricercatori in tutto il mondo, indicava che solo il 45% degli intervistati riteneva l’attuale sistema di comunicazione scientifica un sistema funzionante. Un sistema opaco, che richiede tempo, nella maggior parte dei casi poco tracciabile e appaltato ormai da anni ad operatori commerciali il cui scopo primario è il profitto. Negli ultimi anni e soprattutto nelle cosiddette scienze dure si è cercato di attribuire le funzioni di diffusione e validazione dei contenuti scientifici secondo modelli diversi da quello dell’editoria tradizionale in cui l’editore è responsabile di entrambi i processi. Modelli tracciabili, trasparenti, guidati da studiosi che si affidano a infrastrutture pubbliche. Ma il disaccoppiamento della fase di revisione dalla fase di disseminazione è possibile nelle scienze umane e sociali? Lo abbiamo chiesto a Maria Chiara Pievatolo, membro dell’editorial board del Bollettino telematico di filosofia politica.

 


Roars: Il “Bollettino telematico di filosofia politica” ha adottato la open peer review da molto tempo. Il primo lavoro per cui si chiede una revisione aperta risale al 2012. Può raccontarci il perché di questa scelta, l’esperienza di questi anni, e le reazioni delle comunità scientifiche.

Già alla fine del secolo scorso – ArXiv è nato nel 1991 – era chiaro che la telematica avrebbe potuto eliminare i colli di bottiglia tecnici e le barriere proprietarie che affliggevano la comunicazione scientifica della tarda età della stampa. Il fatto che il momento della valutazione da parte dei  cosiddetti “pari” coincida con la selezione per la pubblicazione e che chi ne governa l’accesso abbia un grande potere è infatti solo un’accidentalità dovuta ai costi e alla relativa centralizzazione dell’industria della stampa.

Nella seconda metà del secolo scorso questa accidentalità ha reso possibile una  valutazione della ricerca basata sulla sede della pubblicazione – sul contenitore e non sul contenuto-  e sul publish or perish. Ma già alla fine del ‘900 la tecnologia avrebbe reso possibile domandarsi  perché mai una rivista scientifica on-line dovesse replicare la stampa in rete, riproducendone artificiosamente i limiti tecnici ed economici. Perché non pubblicare tutto e discutere e valutare dopo?

Per chiedere questo è però necessario sfidare ciò  che l’attuale valutazione della ricerca, amministrativa e centralizzata, dà per scontato – che la cosiddetta revisione paritaria sia una specie di controllo di qualità industriale organizzata da editori commerciali – e tornare alle origini della scienza moderna, intendendo la discussione pubblica delle opere proprie e altrui come parte dello stesso processo della ricerca.

Nel 2012, in Italia, per una rivista ad accesso aperto che intendeva se stessa come luogo di discussione e non come autorità entro un presunto controllo di qualità amministrativamente determinato, la scelta della revisione paritaria aperta era pressoché obbligata. L’alternativa, infatti, sarebbe stata andare dall’ANVUR con il cappello in mano, chiedere la grazia della classe A – come hanno fatto alcuni colleghi pur critici della valutazione di stato –  e con essa sottomettersi al suo controllo e al carico di lavoro generato dalla massa di proposte di pubblicazione a scopo di carriera. Questa scelta avrebbe reso difficile sperimentare nuove forme di pubblicazione e avrebbe condotto ad adeguarsi al modello commerciale dell’editoria scientifica e dell’analisi dei dati proprietaria imposto dall’ANVUR in una non nuova alleanza fra big government e big business.

R: Come avete scelto lo strumento? Vi pare che la scelta sia ottimale e consigliabile per altre riviste che volessero aderire a questa pratica?

All’epoca adottammo un plugin per WordPress, Commentpress, il cui sviluppo è al momento fermo. Si tratta, però, di software libero. Se ci fosse interesse, lo sviluppo potrebbe riprendere.  I vantaggi di Commentpress sono ovvi: si installa sul comunissimo WordPress, anch’esso software libero, ed è relativamente facile da usare. Tutti gli autori che ci hanno proposto opere per la revisione paritaria aperta sono stati in grado di imparare a predisporre il proprio testo da sé.

Open Research Europe, il sito della commissione europea per la revisione paritaria aperta è stato affidato  a un gruppo che fa capo a un editore commerciale, Taylor & Francis.  Ma nulla vieta – e anzi sarebbe per certi versi preferibile – di installare moduli per la revisione paritaria aperta negli archivi ad accesso aperto gestiti da università, biblioteche ed enti di ricerca.

R: L’open peer review non è uno strumento molto utilizzato nelle scienze umane e sociali, secondo lei perché e cosa si potrebbe fare per darne maggiore diffusione?

Credo che sia uno dei molti effetti dell’irrigidimento imposto dalla valutazione di stato,  che ha dissuaso i più, proprio in un momento importante di rivoluzione tecnologica, dalla sperimentazione, e ha imposto, come un lucus a non lucendo, forme di pubblicazione private sia nei testi, ceduti agli editori commerciali, sia nei processi, rinchiusi in scatole nere sempre sotto il loro controllo. Pure qui, identificare valutazione e pubblicazione entro un sistema di competizione forzata ha condotto a percepire la discussione pubblica non come componente della ricerca, ma come un pericolo sia per chi critica, sia per chi viene criticato.  Così il critico, nominato nel chiuso delle redazioni con una procedura gerarchica e non fra pari, preferisce nascondersi nell’anonimato, e il criticato preferisce non rivelare e lasciare senza risposta le critiche e tentare la sorte in qualche altra scatola nera meno “prestigiosa”.

R: Alcune iniziative come quella di Elife o anche Open Research Europe prevedono che un lavoro (preprint) sottoposto a revisione resti pubblicato come revised article sia che la revisione sia positiva sia che la revisione sia negativa.

Può essere un ostacolo o l’inizio di un cambiamento per le comunità HSS?

Rispondo in maniera “aneddotica” – ma le opere scientifiche, quando non nascono come ”prodotti” fungibili per far numero all’ASN, sono pezzi unici –  con la vicenda di un articolo che stiamo sottoponendo alla revisione paritaria aperta proprio ora. Il testo, molto critico nei confronti della cosiddetta intelligenza artificiale e della sua presunta etica, non aveva avuto fortuna con una rivista di classe A dell’ANVUR: se fosse rimasto lì, forse sarebbe stato pubblicato, ma con modifiche pesantissime, o forse non avrebbe affatto visto la luce. Noi invece l’abbiamo pubblicato e proposto alla revisione paritaria aperta

L’articolo, in realtà, ci piaceva: ma anche se l’avessimo ritenuto soltanto “discutibile”, l’avremmo pubblicato lo stesso, perché la nostra pubblicazione non impegna a fornire una garanzia di qualità, ma solo a presentare qualcosa, appunto, di “discutibile” nel senso di meritevole di discussione. Questo ci permette di essere più coraggiosi delle riviste di classe A, e di avere, qualche volta, successo. L’articolo, in effetti, era così discutibile che è stato ripubblicato altrove e ha procurato all’autrice interviste  e inviti a tenere seminari.

Lucio Russo, che cito qui commentando un altro articolo molto interessante sottoposto alla revisione paritaria aperta, scriveva nel 2008 che la valutazione bibliometrica, combinata all’anonimato dei referee, genera conformismo e scoraggia la ricerca innovativa, proprio perché fa valere il presupposto che i giudizi scientifici sono quantitativi e fungibili e non qualitativi e personali.  Le scienze umane, invece di cercare di riprodurre in brutta copia un modello che ormai perfino l’Unione europea sta cercando di superare, avrebbero tutto l’interesse a ri-imparare a confrontarsi in modo più dialettico.

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