Il titolo di questo post riprende il tema lanciato in questi giorni per la Open access week: comunità più che commercializzazione. Ci sembrano particolarmente opportune le domande poste nella call: Cosa si perde quando un numero sempre più ristretto di aziende controlla la produzione di conoscenza anziché i ricercatori stessi? Qual è il costo dei modelli di business che si basano su livelli estremi di profitto? Quando la raccolta e l’uso dei dati personali iniziano a minare la libertà accademica? La commercializzazione può mai funzionare a sostegno dell’interesse pubblico? Quali opzioni per l’utilizzo di infrastrutture controllate dalla comunità esistono già che potrebbero servire meglio gli interessi della comunità di ricerca e del pubblico (come i server di preprint, i repository e le piattaforme editoriali aperte)? Come possiamo spostare il default verso l’utilizzo di queste opzioni orientate alla comunità?
Negli ultimi 10 anni sono molte le iniziative sviluppatesi a livello europeo a sostegno della scienza aperta. Le politiche stesse di finanziamento dei progetti hanno tracciato un percorso molto chiaro.
Con il VII Programma quadro l’Unione Europea introduceva un progetto pilota sull’accesso aperto: ai ricercatori si chiedeva di pubblicare i propri lavori direttamente in riviste ad accesso aperto oppure in repository istituzionali o disciplinari, depositando una versione del proprio lavoro uguale a quella pubblicata, ma con il layout dell’autore. Quella che inizialmente era una opzione è diventata nei Programmi Quadro successivi un obbligo. In H2020 è stato avviato un progetto pilota sui dati FAIR (findable, accessible, interoperable e reusable) e la produzione di Data management plans per documentare il trattamento e la gestione dei dati e favorirne il riuso (anche in questo caso quella che prima era una opzione è poi diventato un obbligo). Con Horizon Europe, le pratiche di open science sono ritenute necessarie e trasversali a tutte le attività di progettazione di una ricerca a partire dalla stesura della proposta.
Ma cosa è effettivamente la scienza aperta e come si realizza per davvero? Qualcuno ha detto che non ha senso parlare di scienza e scienza aperta perché le due cose coincidono per cui la scienza aperta dovrebbe essere la pratica “normale” della scienza. Qualcun altro ritiene queste attività “difficili” da realizzare oppure ritiene che la scienza aperta si trovi con armi spuntate di fronte a sistemi di valutazione nazionali e locali che per ora non sembrano riconoscere ancora il valore della apertura, anzi a volta lo guardano con sospetto.
Open science in effetti è molto più che open access (come spesso si crede nel nostro Paese) e dati FAIR. Nel progetto FOSTER troviamo la definizione comunemente accettata:
Open Science is the practice of science in such a way that others can collaborate and contribute, where research data, lab notes and other research processes are freely available, under terms that enable reuse, redistribution and reproduction of the research and its underlying data and methods.
La Commissione Europea ha anche definito 8 pillars che rappresentano tutte quelle dimensioni di accessibilità, trasparenza e riproducibilità fondamentali perché la scienza sia veramente aperta:
Fair data, Research integrity, Next generation metrics, Future of scholarly communication, Citizen science, Education and skills, Reward and incentives, European Open Science Cloud.
Inoltre, sotto l’egida della Commissione europea è stato avviato un processo di riforma della valutazione della ricerca che si basa su alcuni principi della scienza aperta, come la trasparenza del processo valutativo (Agreement on Reforming Research Assessment; per un commento v. qui). I principi alla base dell’agreement sono oggetto di un ampio dibattito scientifico con voci a favore e contro. Sta di fatto che il processo di riforma sta entrando nella sua prima fase operativa (CoARA).
Da qualche anno anche i Paesi membri della Unione europea hanno cominciato a varare alcune misure (politiche e soprattutto finanziamenti) atte a sostenere la scienza aperta (qui e qui alcuni esempi), e di queste politiche sia i paesi membri sia la Commissione europea monitorano con attenzione gli effetti e gli sviluppi.
L’anno scorso anche il nostro Paese ha emanato un Piano nazionale sulla scienza aperta, per ora rimasto sostanzialmente lettera morta e privo di investimenti pubblici volti alla sua attuazione. Recentemente il MUR ha costituito un tavolo di lavoro per l’implementazione del Programma Nazionale per Scienza Aperta che dovrà:
– redigere un documento operativo per l’attuazione del PNSA 2021-2027 comprensivo di priorità, tempi ed eventuali costi;
– proporre processi per individuare le attività già in essere nel Paese riconducibili agli obiettivi del PNSA 2021-2027;
– monitorare gli interventi che saranno eseguiti nelle varie fasi di implementazione del piano.
Il tempo dirà se il Piano nazionale sulla scienza aperta si trasformerà da lettera morta a lettera viva.
Nel frattempo, in alcuni ambiti specifici, le cose evolvono rapidamente. Uno di questi ambiti è quello della comunicazione e condivisione di risultati della ricerca validati e attendibili (il pillar Future of scholarly communication) e in particolar modo delle modalità con cui le ricerche vengono validate e disseminate. Per moltissimi anni il ruolo di validazione e disseminazione delle ricerche è stato delegato esclusivamente alle riviste scientifiche e a soggetti commerciali, ma oggi le cose sono molto più articolate e complesse, a seguito della nascita di piattaforme e iniziative scholar led che mirano a disaccoppiare il momento della valutazione da quello della disseminazione, e alla introduzione di una diversa gestione dei diritti d’autore. Un’antica tradizione e una nuova tecnologia sono confluite per dar vita a un bene pubblico senza precedenti, recita l’incipit della Berlin Declaration.
ROARS intende presentare alcune di queste nuove esperienze facendosele raccontare direttamente dai protagonisti che le hanno ideate e che le portano avanti, sempre secondo i principi di condivisione, trasparenza e accessibilità che contraddistinguono la scienza aperta.