In esito (e solo in esito, lo ricordiamo soprattutto a beneficio dei colleghi che hanno espresso profondo – e a tratti sdegnato – distacco dall’iniziativa, a volte compiacendosi di manifestare pubblicamente la propria personale contrarietà all’iniziativa, per stigmatizzare la determinazione dei colleghi che hanno rinunciato a un giorno della propria retribuzione, esercitando il proprio diritto costituzionale allo sciopero) alla strenua protesta sostenuta dai docenti che hanno concretamente rivendicato le ragioni della categoria, aderendo allo sciopero della docenza proclamato su iniziativa del comitato guidato dal prof. Ferraro in conseguenza dell’irragionevole trattamento riservato alla docenza universitaria nella vicenda del blocco degli scatti della PA, la legge di bilancio del dicembre 2017 ha previsto quanto segue:

Articolo 1 Comma 629

In vigore dal 01/01/2018

629. Con decorrenza dalla classe stipendiale successiva a quella triennale in corso di maturazione al 31 dicembre 2017 e conseguente effetto economico a decorrere dall’anno 2020, il regime della progressione stipendiale triennale per classi dei professori e ricercatori universitari previsto dagli articoli 6, comma 14, e 8 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e disciplinato dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, è trasformato in regime di progressione biennale per classi, utilizzando gli stessi importi definiti per ciascuna classe dallo stesso decreto. A titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per il quinquennio 2011-2015 dall’articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ai professori e ricercatori universitari di ruolo in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge e che lo erano alla data del 1° gennaio 2011, o che hanno preso servizio tra il 1° gennaio 2011 e il 31 dicembre 2015, è attribuito una tantum un importo ad personam in relazione alla classe stipendiale che avrebbero potuto maturare nel predetto quinquennio e in proporzione all’entità del blocco stipendiale che hanno subito, calcolato, nei limiti delle risorse di cui al presente comma, sulla base di criteri e modalità definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. La corresponsione dell’importo di cui al periodo precedente cessa al 31 dicembre 2019 e non produce effetti ai fini della successiva progressione di carriera; l’importo è corrisposto in due rate da erogare entro il 28 febbraio 2018 ed entro il 28 febbraio 2019. Al fine di sostenere i bilanci delle università per la corresponsione dei predetti importi, il fondo per il finanziamento ordinario delle università di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è incrementato di 50 milioni di euro per l’anno 2018 e di 40 milioni di euro per l’anno 2019. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione, per gli anni 2018 e 2019, del Fondo di cui all’articolo 1, comma 207, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Nel biennio 2018-19 questo testo normativo sposta, dunque, 90 milioni di euro dalla iniziale attribuzione alle famigerate cattedre Natta al finanziamento del beneficio una tantum, concesso dal legislatore “a titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per il quinquennio 2011-2015”.

Sibillinamente, la norma rimetteva l’erogazione dell’importo ad personam (legisticamente: una nozione non casuale, dalla quale traspare l’attenzione a non definire tale somma un indennizzo, ma un nudo pagamento, si direbbe privo di causa, se non fosse che tale causa è definita dalla stessa legge, in quanto corrisposto a titolo di parziale compensazione per gli scatti non attribuiti) alla definizione di criteri e modalità da definirsi con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca entro 30 giorni a decorrere dal 1 gennaio 2018.

Tale decreto veniva alfine siglato dalla Ministra Fedeli, con due mesi di ritardo sulla previsione di legge, il 2 marzo 2018.

Nel licenziare un testo che avrebbe dovuto essere di mera applicazione dell’articolato  normativo, la norma ministeriale “vedeva” l’art. 6 della Legge Gelmini.

VISTO
in particolare l’articolo 6, comma 14, della predetta legge n. 240 del 2010, ove è previsto che “I professori e i ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul complesso delle attività didattiche, di ricerca e gestionali svolte, unitamente alla richiesta di attribuzione dello scatto stipendiale di cui agli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio1980, n. 382, fermo restando quanto previsto in materia dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. La valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale ai fini dell’attribuzione degli scatti triennali di cui all’articolo 8 è di competenza delle singole università secondo quanto stabilito nei regolamenti di ateneo. In caso di valutazione negativa, la richiesta di attribuzione dello scatto può essere reiterata dopo che sia trascorso almeno un anno accademico”.
Seguiva un testo ispirato al più barocco bizantinismo calcolatorio, redatto come segue.
DECRETA
Articolo 1
(Oggetto e ambito di applicazione)
1. A valere sulle risorse stanziate dall’articolo 1, comma 629, ultimo periodo della legge 27
dicembre 2017, n. 205, pari a 50 milioni di euro per l’anno 2018 e a 40 milioni di euro per l’anno 2019, sono assegnate alle Istituzioni universitarie statali, ivi comprese quelle ad ordinamento speciale, di seguito denominate “Istituzioni”, specifiche risorse per l’attribuzione ai professori e ai ricercatori universitari di ruolo di un importo una tantum, ad personam, a titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per
il quinquennio 2011-2015, dall’articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, come prorogato dall’art. 1, comma 1, lett. a), del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 e dall’art. 1, comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
2. Sono soggetti beneficiari dell’intervento i professori e ricercatori di ruolo in servizio alla data del 1° gennaio 2018 e che lo erano alla data del 1° gennaio 2011, o che hanno preso servizio tra il 1° gennaio 2011 e il 31 dicembre 2015, e che avrebbero potuto maturare nel quinquennio 2011-2015 la progressione stipendiale per classi e scatti, ai sensi del d.P.R. 15 dicembre 2011, n. 232, in assenza delle disposizioni di cui all’articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e delle citate disposizioni di proroga.
Articolo 2
(Criteri e modalità di attribuzione)
1. L’attribuzione delle risorse alle Istituzioni è determinata utilizzando le informazioni inviate dalle stesse e presenti sulla banca dati “Dalia” al 1° gennaio 2018, secondo i criteri e le modalità di cui ai commi 2 e 3.
2. L’attribuzione delle risorse alle Istituzioni è effettuata in maniera proporzionale al peso di ogni Istituzione determinato dalla somma del valore attribuito ai soggetti ammissibili, secondo i seguenti criteri:
a) ad ogni docente viene riconosciuto un peso pari al valore, espresso in termini di Punti Organico, delle sei qualifiche rivestite rispettivamente al 1° gennaio 2011 e al 31 dicembre di ciascuno degli anni 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015, tenendo conto dei coefficienti della seguente tabella:
b) il peso di ogni docente, dato dalla somma dei valori di cui alla lettera a), è diviso per 6;
c) il coefficiente di cui alla lettera b) è moltiplicato per il valore medio del costo caratteristico del Professore di I fascia riferito agli anni e alle Istituzioni in cui il docente era in servizio nel periodo 2011-2015, e rappresenta il valore pesato del singolo docente.
3. Le risorse derivanti dai conteggi di cui al comma 2 sono assegnate alle Istituzioni e dalle stesse attribuite a titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per il quinquennio 2011-2015, riconoscendo un importo una tantum ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, in relazione alla classe stipendiale che avrebbero potuto maturare nel quinquennio predetto e in misura proporzionale all’entità del blocco stipendiale che hanno subìto, tenendo conto che l’importo attribuito ai soggetti beneficiari del presente intervento:
a) è ridotto in misura percentuale determinata da ciascuna Istituzione, compresa tra il 20% e il 30% per coloro che hanno beneficiato per una sola annualità e tra il 40 % e il 50% per coloro che nel periodo 2011-2013 hanno beneficiato di due annualità degli incentivi una tantum di cui all’articolo 29, comma 19, della legge 30 dicembre 2010, n.240;
b) è riconosciuto esclusivamente all’esito della positiva valutazione ottenuta ai sensi dell’articolo 6, comma 14, della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
4. Le somme eventualmente disponibili derivanti dall’applicazione dei criteri di cui al comma 3, lettere a) e b), sono proporzionalmente redistribuite tra i restanti docenti dell’Istituzione ammessi all’incentivo di cui al presente decreto.
5. L’importo riconosciuto a ogni docente è attribuito in due annualità proporzionali all’assegnazione spettante a ciascuna Istituzione secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 629, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.
6. La corresponsione dell’importo di cui al comma 5 non produce effetti ai fini della successiva progressione di carriera.
Cosa emerge da questo complesso pacchetto normativo?
Innanzitutto – perché balza agli occhi – che il legislatore aveva previsto che tali somme dovevano essere erogate in due annualità agli aventi diritto “entro il 28 febbraio 2018  (!) ed entro il 28 febbraio 2019”.
Il primo termine è stato clamorosamente tradito dagli atenei italiani, in primis per il ritardo di due mesi maturato dalla rimpianta (?) Ministra Fedeli nel firmare il Decreto secondo i termini previsti dalla legge stessa, e in secondo luogo per la convinta adesione dei Rettori italiani al motto “festina lente”, che fa sì che, ad ottobre 2018, la più parte dei senati degli atenei italiani pigramente discuta o venga a conoscenza che il Rettore intende discutere come avviare le procedure interne per addivenire all’erogazione delle “spettanze” (proprio nel senso di ciò che spetta ai professori universitari italiani in esito a una legittima rivendicazione, tesa a contrastare la mortificazione della docenza italiana voluta da governi che hanno fatto sì che la categoria fosse l’unico corpo del pubblico impiego a non ottenere il ripristino degli scatti dopo la stretta seguita alla crisi – stretta invece revocata politicamente a beneficio di  tutte le altre categorie del pubblico impiego). Mentre, ovviamente, gli atenei hanno già da tempo incamerato nei propri bilanci le dotazioni finanziarie previste dalla legge di stabilità per questo pagamento di somme una tantum.
A questo proposito sarebbe interessante se i lettori commentassero questo articolo, dando notizia in tempo reale dello stato di avanzamento delle cose nei propri atenei, anche per rendere pubblico e conoscibile il protrarsi dell’inadempiente ritardo del proprio ateneo di riferimento.
Quello che il decreto del MIUR a guida Fedeli ha stabilito, con una interpretazione additiva che si pone fuori dal perimetro delle previsioni della legge di bilancio che abbiamo richiamato, è che i docenti che hanno conseguito nel biennio 2011-13 l’erogazione premiale prevista dalla legge Gelmini (art. 29, comma 19) si vedranno decurtare la “spettanza”, stabilita a loro favore senza altre condizioni dalla Legge di stabilità 2018, secondo queste percentuali, la cui determinazione finale è rimessa agli atenei:
“l’importo attribuito ai soggetti beneficiari del presente intervento:
a) è ridotto in misura percentuale determinata da ciascuna Istituzione, compresa tra il 20% e il 30% per coloro che hanno beneficiato per una sola annualità e tra il 40 % e il 50% per coloro che nel periodo 2011-2013 hanno beneficiato di due annualità degli incentivi una tantum di cui all’articolo 29, comma 19, della legge 30 dicembre 2010, n. 240″.
In più, l’importo una tantum ad personam (e poi dicono che il latino sia lingua morta), è riconosciuto esclusivamente in esito alla positiva valutazione ottenuta dal docente/ricercatore ai sensi dell’articolo 6, comma 14, della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
La norma esplicita la sorte che attenderanno le somme che gli atenei non erogheranno a quanti:
a) hanno ottenuto la erogazione dell’importo premiale nel biennio 2011-13 e vedranno così decurtata in misura variabile, come abbiamo visto, la propria “spettanza”;
b) non supereranno o dimenticheranno per qualsiasi motivo (c’è da auspicarsi che fra costoro ci sia una folta rappresentanza di quei colleghi che hanno condannato senz’appello lo sciopero che ha portato a conseguire questa “parziale compensazione” e che – ne siamo certi – avvertiranno il dovere morale di non concorrere alla richiesta di erogazione di somme per le quali a suo tempo ritenevano disdicevole svolgere legittime rivendicazioni) di seguire le arzigogolate procedure informatiche messe in atto dagli atenei per dare seguito alla valutazione dei meritevoli.
Le somme così “risparmiate”, infatti, andranno ad accrescere la spettanza ripartita fra i “meritevoli”.
C’è da auspicarsi che i novelli Augusti degli atenei italiani – espressione del voto di un corpo elettorale composto anche dai docenti che a suo tempo li vollero designare sapendo di nominare, per legge, un proprio collega non più soggetto alla riconferma elettorale – si ricordino che il motto “festina lente” fu rivolto da Svetonio alla figura storica su cui è modellato il tipico rettore post Gelmini, per lasciare intendere che alla lentezza deve accompagnarsi, quanto meno, la pulsione per le cose fatte bene, con attenzione e trasparenza. E che – fuor di metafora – i nostri Augusti si diano da fare senza più indugi per far pervenire quanto spetta a chi per anni ha lottato per ottenere questa giusta compensazione, incontrando l’indifferenza, se non in qualche caso l’aperta ostilità, del collega che a suo tempo era stato elevato alla “augusta” funzione.
Aggiunto il 23.10.2018

Qui è possibile leggere un’analisi più approfondita del decreto MIUR, a cura del prof. Ferraro.

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5 Commenti

  1. E chi nel frattempo è andato in pensione (ma era in servizio negli anni indicati dal decreto) non avrà nessun recupero. Non solo ci hanno tolto la possibilità di fruire dei due anni di proroga del pubblico impiego; non solo, se eravamo ordinari, hanno abolito i nostri sacrosanti tre anni di straordinariato (alla faccia dei ‘diritti acquisiti’…), adesso anche questa beffa. E nessuno sembra accorgersene. In compenso ci chiedono di tenere ancora (ma per non più di due anni) i nostri corsi (con contratti gratuiti: ma non erano stati vietati?), ci chiedono di continuare a valutare gratuitamente come referee anonimi i progetti di ricerca (compresi i PRIN 2017). Tutto per la gloria, ovviamente (una gloria che non si può neanche rendere pubblica…). E hanno fatto dell’Università un deserto (grazie al blocco degli scatti e ai punti organico da spendere con estrema parsimonia), buttando alle ortiche persone che, di questi tempi, avrebbero potuto fare ancora molto. Ma restando in servizio. Tutto il resto, cui molti si prestano (per ‘salvare’ le discipline, per ‘tutelare’ i loro allievi, ecc. ecc. è inutile volontariato che, ancora una volta, tampona le falle enormi createsi e non serve ad evidenziare l’urgenza di altri provvedimenti, concorsi per i giovani compresi).

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