“Pertanto, l’istituzione del ruolo unico del professore universitario pare un’operazione con numerosi vantaggi e pochissimi “svantaggi” (difficile individuarne uno se non la perdita di potere di lobby baronali nei casi in cui ciò si verifica, certamente uno svantaggio per i pochi disonesti) ad un costo economico praticamente nullo.” Dopo aver pubblicato la prima parte dedicata all’analisi dell’Andamento dell’Organico della Docenza Universitaria dal 2000 al 2018, pubblichiamo in versione integrale la Proposta del Comitato Nazionale Universitario per la riforma della Docenza Universitaria (ruolo e pre-ruolo). Tra i punti salienti, l’abolizione del ruolo del professore ordinario e del professore associato con la contestuale istituzione del ruolo unico di Professore Universitario. Il percorso di accesso al ruolo unico, schematizzato dal seguente diagramma, prevede una semplificazione delle figure pre-ruolo attraverso tre passaggi: dottorato, post-doc e Ricercatore a tempo determinato di tipo B. Di seguito, riportiamo la parte finale della proposta e il testo completo del documento, scaricabile anche in formato pdf.
Pertanto, l’istituzione del ruolo unico del professore universitario pare un’operazione con numerosi vantaggi e pochissimi “svantaggi” (difficile individuarne uno se non la perdita di potere di lobby baronali nei casi in cui ciò si verifica, certamente uno svantaggio per i pochi disonesti) ad un costo economico praticamente nullo.
La progressione nel ruolo di Professore Universitario avverrà tramite scatti biennali che sono acquisiti previa verifica dell’assolvimento complessivo dei propri doveri sul piano della ricerca (risultare “ricercatori attivi”), dell’attività didattica (di norma 120 ore di lezione per anno accademico) e dell’impegno profuso nello svolgimento di attività istituzionali e gestionali. L’applicazione delle norme di cui sopra ai docenti di area medica dovrà ovviamente tener conto dell’impegno del docente nelle attività in ambito assistenziale.
L’accesso a ruoli gestionali dei PU richiederà l’acquisizione di esperienza che può essere legata agli anni di servizio nel ruolo. Ad esempio, i PU che hanno maturato tre anni di anzianità possono rivestire il ruolo di Coordinatore di Dottorato o di Coordinatore di Corsi di Studio o di Laura. Dopo aver maturato 6 anni di anzianità i PU possono accedere a tutte le cariche direttivo-gestionali (es.: Rettore, Direttore Dipartimento) nonché far parte delle commissioni concorsuali e ASN.
Si può inoltre ipotizzare l’accesso diretto a PU per quanti si ritengono idonei al ruolo (l’unico requisito è il Dottorato) attraverso un concorso nazionale per settore concorsuale e con cadenza annuale. Le modalità operative di questo secondo canale di accesso alla docenza universitaria, che interesserà comunque un numero limitato e programmato per anno, saranno definite in modo specifico in una seconda fase e potranno ad esempio prevedere una percentuale definita tra i due canali di accesso al PU.
Rimarrà possibile la chiamata per chiara fama (l’ingresso nel ruolo avviene direttamente al VI anno di servizio avendo quindi già maturato l’anzianità per accedere a tutte le cariche).
A livello stipendiale, gli incrementi importanti saranno:
- nel passaggio tra RTD B a PU;
- al superamento del VI anno di anzianità da PU;
- gli scatti rimarranno biennali (il primo avviene dopo due anni dall’entrata in ruolo come PU);
- sarà necessario che l’attuale classe 14/5 per professore ordinario risulti raggiungibile per coloro che entrano nel ruolo nell’età media prevista (35 anni).
Il futuro sistema, una volta a regime e nell’ipotesi di un turn-over regolare dei professori universitari pari al 3% (assenza quindi di “tappi anagrafici”, uno dei principali problemi attuali per una corretta ed equa programmazione del personale), è delineato in Figura 20. Tale schema deve essere considerato come un mero “progetto di fattibilità” indicante come tale situazione sia sostanzialmente compatibile con le risorse attualmente allocate nel sistema universitario. I punti organico impegnati in tale schema sarebbero pari a 50.000 (+11% rispetto alla situazione attuale in Figura 17) e il n.ro di ore massimo di didattica erogabile sarebbe pari a ca. 7.000.000 (+27% rispetto alla situazione attuale in Figura 17).
Esaminando le proposte CNU, ANDU (http://www.andu-universita.it/2019/09/17/ruolo-unico/), Movimento Dignità (https://sites.google.com/site/controbloccoscatti/home/documenti-elaborati), CUN/ADI (https://dottorato.it/node/1273) ci sono importanti punti di convergenza, anche al di là di significative differenze di principio e di visione, uno su tutti sembra l’abolizione del folle precariato attuale (soprattutto del famigerato RTD-A).
Più variegate le opinioni sul ruolo unico e sulla riforma dell’ASN, ma non così inconciliabili come potrebbe sembrare a prima vista.
Ora non avrebbe senso unire almeno sui punti comuni le proposte in un’unica proposta? magari poi declinata su sottocapitoli con diverse opzioni/suggerimenti per i punti di disaccordo? Avrebbe molto più impatto sui politici e suggerirebbe simbolicamente l’inizio di una maggiore coesione di un mondo universitario tradizionalmente frammentato.
E’ il mondo dei sogni. Il ruolo unico non si farà mai. Intanto nel gennaio 2020 cominceranno a morire le prime abilitazioni scientifiche nazionali con buona pace della proposta del Movimento della Dignità o di altre simili che le userebbero in prima battuta per riordinare i ruoli d’ufficio. Nessuno sta considerando la possibilità di congelarle nell’ottica di una revisione del ruolo di Professore Universitario. Le lobby ci stanno e sono molto forti. Non riesco a vedere chi possa sostenere una progressione di carriera, basata sull’esperienza maturata nel ruolo, dentro l’Università o fuori nelle istituzioni che contano (in particolare nel Parlamento).
Nel decreto legge “scuola”, oggi in consiglio dei ministri, c’è la proroga delle abilitazioni (passate e future) da 6 a 9 anni, ma il ruolo unico non credo si farà
A P.V.
Da 9 a 12, da 12 a 15, da 15 a 18 e così via. Ma nel frattempo i paradigmi di ricerca e anche il mondo saranno cambiati. E molti abilitati guarderanno appagati da un altro mondo, se esiste, e tenderanno le loro ali protettive, e a ciò abilitate, sopra l’intera accademia italiana.
La cosa è molto semplice: siccome su Università e ricerca non si vuole investire neanche un euro (altro che tre miliardi!) si va, e si andrà avanti a forza di proroghe: da 5 a 6, da 6 a 9, da 9 a mille. Così, a costo zero: tutti buoni, tutti in fila.
Tutte le proposte possono essere potenzialmente buone.
Tuttavia, ho sempre la sensazione, ogni volta che il Cun o il Consiglio dei Ministri propone qualcosa, che non si concretizzerà mai.
E’ come se fosse tutto fumo, non per l’inconsistenza, ma perché alla fine svanisce.
Mi ricordo il passaggio da 6 a 9 dell’ASN dell’anno scorso, alla fine bocciato, nel decreto “semplificazioni” 2019; pensiamo poi al decreto c.d. “merito” di Profumo del 2012.
L’eventuale equiparazione rtda a rtdb (sto semplificando) è stata proposta dal tar lazio alla Corte di Giustizia Europea, perché la politica non ha interesse: che differenza c’è tra rtda abilitato e rtdb abiltato nei fatti?
Dovrebbero essere equiparati, anche perché se uno guarda i curricula del rtdb abiltato a PA e di un corrispondente rtdb abilitato a PA dello stesso settore, essi sono sovrapponibili; anzi a volte è possibile che il ric. tda abbia un curriculum superiore al rtdb.
A prescindere dal contenuto di ciascun provvedimento, che può piacere o non piacere, alla fine quel provvedimento dato per scontato non passerà mai, come se ci fosse una mano invisibile che, a un minuto, dall’approvazione, fa crollare tutto.
Sono rassegnato, non cambierà mai nulla.
anto: “ho sempre la sensazione, ogni volta che il Cun o il Consiglio dei Ministri propone qualcosa, che non si concretizzerà mai.”
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Lo sapevamo che molti ci sarebbero cascati e, non a caso, nella quinta riga c’è scritto:
“pubblichiamo in versione integrale la Proposta del *Comitato Nazionale Universitario* per la riforma della Docenza Universitaria”
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A scanso di equivoci: Comitato Nazionale Universitario (CNU) *non* è il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) ma è un sindacato.
Mi auguro che sulla “morte” delle abilitazioni scientifiche nazionali qualcuno si decida a fare ricorso: visto che le ASN sono basate su titoli “statici” quali le pubblicazioni – che, se fossero scientifiche, sarebbero uno ktema es aei – è irragionevole trattarle come se fossero patenti di guida, dipendenti da titoli “dinamici”, quali l’efficienza fisica. A meno di non voler sostenere che le pubblicazioni, misurate bibliometricamente, non hanno più nessun senso cognitivo, ma sono da considerarsi, amministrativamente, meri indicatori di “produttività” per il profitto dei compilatori di classifiche e dei mercanti di metadati.
In realtà le nostre abilitazioni (caso forse unico al mondo) si fondano su indicatori intensivi di natura dinamica (ultimi N anni). I lavori oltre la finestra temporale vengono cancellati, anche se molto buoni scadono come lo yogurt. Questa è l’ASN.
Da questo segue (a) che le pubblicazioni ai fini ASN non sono considerate come scientifiche; e (b) che dunque è più che legittimo ricorrere al gaming citazionale, al salami slicing e ad altri trucchi il cui contribuito all’avanzamento della conoscenza è nullo se non negativo: non si tratta, infatti, di produrre opere scientifiche, bensì di guadagnare un punteggio.
Il ricorso ci sta tutto, almeno finché l’ASN continuerà a chiamarsi Abilitazione Scientifica Nazionale invece che, più ragionevolmente, AN.
Giuseppe De Nicolao:
ha ragione,
comunque, è sempre una delle tante proposte che, di regola, non hanno seguito per colpa della politica.
Ho appreso poco fa del decreto scuola approvato dal CDM, e del passaggio da 6 a 9 anni dell’ASN. E’ però un decreto legge, ha bisogno di conversione entro 60 giorni. Il governo non è stabile, la maggioranza parlamentare neppure, sono pessimista sia sul fatto che possa essere convertito sia sul fatto che possa essere convertito con modificazioni che potranno eliminare questo importante passaggio da 6 a 9 anni (come pure modificarne qualche aspetto).
Ormai non mi fido più.
La morte dell’ASN è semplicemente giusta. E’ stata usata in modo improprio, i giudizi dati erano contraddittori, a volte offensivi, illogici, e non tenevano conto delle pubblicazioni per il valore che realmente avevano. Sono servite soltanto a riordinare i ruoli secondo i capricci, le antipatie.
Inoltre, forse che gli associati non svolgono già da ora il ruolo di ordinari? Forse che fra gli associati non vi è chi ha un curriculum pare a quello degli ordinari? Come qualcuno dice: perché passare ad ordinario un associato se già gli si possono richiedere le 120 ore? Sono mille volte a favore all’abolizione dell’ASN, del ruolo unico, della fine della precarizzazione per i ricercatori, costretti ad obbedire al cosiddetto mentore che ne ha permesso l’esito positivo alla selezione.
Non mi stanchero’ mai di dire che qualsiasi soluzione “solo universitaria” che ignora il personale scientifico degli enti pubblici di ricerca (EPR, che in alcuni settori disciplinari sono numericamente preponderanti) e’ incompleta e quindi sostanzialmente dannosa. Una soluzione “integrata” dovrebbe dare finalmente uno stato giuridico al personale degli EPR ora contrattualizzati (mettendo anche fine alle pulsioni cartellinesche), e contemplare una mobilita’ bidirezionale e un parallelismo nelle carriere.
Da questo punto costituisce un ostacolo il fatto che gli EPR hanno ancora la struttura a tre fasce mimicata sulla 382 universitaria (ricercatori/ primi ricercatori/ dirigenti di ricerca, con de facto un cursus che passa per assegni di ricerca, ricercatori TD, ricercatori TI e fasce superiori), con quella iniziale di ruolo sovrappopolata, mentre l’universita’ ha disgraziatamente messo a esaurimento i ricercatori TI.
Molte idee interessanti pero’
1) si da poca considerazione al fatto che esistono percorsi del genere nel resto del mondo
2) si dimentica che viene fatta ricerca anche negli enti pubblici, tipo CNR, INAF, INGV, INFN, ecc.
Quindi vedo questo documento un po’ autarchico e soprattutto un po’ troppo accademio-centrico (non so se si puo’ dire, ma mi sembra si capisca.
Lo dico senza alcuna intenzione polemica, solo per far notare i punti, che non mi sembrano di poca importanza, specie siccome si arriva a formulare delle proposte
(Alcuni motivi: iI nostri giovani si muovono in giro per il mondo, i percorsi si intrecciano in modi complessi, ci sono delle pratiche di successo da cui potremmo imparare – anziché continuare ad ignorarle – i ricercatori degli enti pubblici non sono dei “tecnici” come si pretende nella vulgata corrente, ma sono bravi e capaci almeno quanto gli accademici).
Infine, mi sento sempre a disagio quando un documento non e’ firmato. Fosse anche rilasciato a nome dell’ONU, mi piacerebbe avere un idea chi ne sia l’estensore.
Al di là del merito, di cui non voglio discutere (tipo mondo del lavoro = disoccupato), trattasi di documento di sindacato universitario e quindi accademio-centrico.
Riguardo al capitolo guerra dei poveri, l’università aggiunge alla sofferenza generale del precariato l’assenza ingiustificata delle ripetute stabilizzazioni (e concorsi che prevedono graduatorie a scorrimento) di cui invece godono i ricercatori bravi e capaci degli enti di ricerca.
Anche il decreto appeva approvato da un lato apre giustamente ad ulteriori stabilizzazioni negli Enti di ricerca, dall’altro allunga ingiustamente il precariato nelle università con abilitazioni di 9 anni che varrebbero ben tre stabilizzazioni al CNR, per esempio.
Forse gli universitari hanno un’aspettativa di vita intorno ai 240 anni?
Il CNU, Comitato Nazionale Universitario, è una associazione culturale e sindacale di ricercatori e professori universitari. Per questo non può parlare a nome dei ricercatori degli enti di ricerca, figura professionale diversa, in quanto non include la didattica.
Anche il CUN, organo di rappresentanza elettivo della comunità universitaria tutta, docenti, non docenti, studenti, sta elaborando una sua proposta di riforma della docenza universitaria.
Da osservatore esterno all’università mi sembra un delirio sindacalista. Ordinario è una definizione, esistente con altri termini in quasi tutti i sistemi universitari, per individuare chi, nell’accademia, ha raggiunto il vertice della propria specialità. Ora che tale “certificazione” debba essere data sostanzialmente in automatico nel corso della carriera mi sembra una follia. L’unico altro ambito dove questa operazione è riuscita è la magistratura (l’alto costo dei magistrati è causa non secondaria, anche se non unica, di avere contestualmente spesa allineata agli standard europei e risultati pessimi). I problema NON è selezionare ordinari ma selezionarli bene.
Il problema è che la situazione attuale italiana con personale diviso fra le fasce docenti non è paragonabile a quelle di sistemi universitari esteri come quello anglosassone per esempio. Da noi si parte con uno stipendio basso che può rivalutarsi, ad un certo punto, solo con la promozione. Abbiamo avuto addirittura 5 anni di blocco senza riconoscimento dell’anzianità (finito il blocco ci voleva la ricostruzione della carriera che invece non c’è stata). Come se non bastasse, la legge Gelmini ha tolto il ruolo del ricercatore a tempo indeterminato, la terza fascia (il lecturer e senior lecturer inglese). Oggi ci troviamo davanti la prospettiva di un corpo docente fatto di ordinari che dettano legge perchè sono gli “ufficiali generali” e una marea di associati, il ruolo nel quale ammassiamo tutta la docenza universitaria. Bella schifezza. Almeno il ruolo unico, che io definisco il libro dei sogni, introduce una dinamicità. I risultati delle politiche universitarie adottate nel nostro paese nell’ultimo decennio si vedranno ben presto e non saranno granchè. Lasciamo stare la “buona selezione”, ci ha portato l’ASN che, secondo me, è ben peggio del ruolo unico. E’ un opinione personale ma sono un osservatore interno.
Caro Fabrizio Bigoni, certo esistono i Full professors, ma non passano per qualcosa di così assurdo come i nostri concorsi o abilitazioni nazionali. Sono pagati molto meglio. Viene assicurato spazio e tempo per la ricerca. Il mondo accademico è ingiusto ovunque, ma in Italia è proprio cattivo ed anche stupido, quando si parla di carriera.