Il CUN ha recentemente rilasciato una proposta sui criteri per il riconoscimento di scientificita’ delle riviste nella quale vengono riportati quattro principi alla base di tale riconoscimento, che si dichiarano ispirati a quelli definiti dall’Accademia Norvegese di Scienze e Lettere.
1. una pubblicazione si può definire “accademica” se soddisfa contemporaneamente tutti i quattro criteri sottoelencati:
1. i risultati presentati hanno caratteri di originalità;
2. i risultati sono presentati in una forma atta alla verifica e/o al riuso in attività di ricerca;
3. la lingua utilizzata e la distribuzione sono tali da rendere la pubblicazione accessibile alla maggior parte dei ricercatori potenzialmente interessati;
4. la sede editoriale (rivista, collana, monografia, sito web) assicura sistematicamente l’esistenza di una peer review esterna.
Una ricerca sui siti istituzionali norvegesi attribuisce la definizione di questi criteri al documento intitolato “Vekt på forskning” presente a questa pagina del sito web dell’Associazione Norvegese delle Istituzioni di Educazione Superiore e disponibile anche in traduzione inglese.
Tale documento appare molto interessante, alla luce del furore classificatorio impostoci negli ultimi mesi, perche’ anche in Norvegia esiste un meccanismo di classificazione delle sedi di pubblicazione – definiti “canali”, che e’ basato sulle seguenti norme presenti a questa pagina (attivando il tab “english version”):
I canali “Scientifici” sono riviste, serie e case editrici che soddisfano specifici criteri forniti dall’Associazione Norvegese delle Istituzione di Educazione Superiore (UHR). Ci sono due livelli: canali di pubblicazione ordinaria (livello 1) e canali di pubblicazione altamente prestigiosi (livello 2). Questa classificazione viene usata nel sistema di finanziamento norvegese dell’educazione superiore.
I canali “Altri” sono rapporti tecnici, riviste di popolarizzazione della scienza, periodici e riviste professionali, cosi’ come canali di pubblicazione appena proposti e non ancora classificati dal Comitato di Pubblicazione dell’UHR. Nella lista dei risultati di ricerca, questi sono indicati con un trattino (“-“)
Gli elenchi sono rivisti annualmente. La classificazione viene definita alla fine di ogni anno ed utilizzata dalle istituzioni norvegesi di educazione superiore per il rapporto annuale sulle pubblicazioni prodotte.
Cio’ che e’ molto interessante – e che sarebbe stato bello se fosse stato ben ponderato prima di definire i compiti dell’ANVUR – e’ che tale classificazione ha l’unico scopo di distribuire fondi e non tanto di valutare la qualita’ intrinseca della ricerca. Un articolo pubblicato in una rivista di livello 2 ha peso triplo di uno pubblicato al livello 1, ma solo come meccanismo di incentivazione verso uno stile di pubblicazione dei risultati scientifici che non sia meramente quantitativo. Si noti infatti che il livello 2 (che contiene al piu’ il 20% di tutti canali dello stesso settore) intende premiare lo sforzo necessario per ottenere la pubblicazione su quel canale (“labour-intensive”, e’ l’espressione usata).
Infatti, dopo aver definito cosa e’ una pubblicazione scientifica e cosa non lo e’, si e’ capito che il semplice contare le pubblicazioni scientifiche avrebbe indotto i ricercatori a seguire la strategia opportunistica di “stesso risultato con sforzo inferiore”. L’esistenza di due livelli (e non quattro!) e’ invece un incentivo, moderato ma significativo, verso l’adozione di buone pratiche di pubblicazione, stimolando il sistema della ricerca norvegese ad indirizzarsi verso i canali di livello 2 e dissuadendolo dal semplice incremento del numero di pubblicazioni.
Ma l’aspetto piu’ importante, e sul quale penso che in Italia ci sarebbe da apprendere, e’ l’esplicita dichiarazione (sezione 4.5) che
la classificazione in due livelli non puo’ rimpiazzare ne’ simulare la valutazione qualitativa delle pubblicazioni al livello dell’individuo, cosi’ come un modello generale per la distribuzione dei finanziamenti non puo’ sostituire la valutazione e la definizione di strategie dell’attivita’ di ricerca nelle singole istitutioni. Risultati di alto livello sono talvolta pubblicati su canali meno riconosciuti e viceversa. Il canale di pubblicazione non deve essere usato per trarre conclusioni sullo specifico articolo dello specifico ricercatore, ne’ e’ questo il suo scopo.
Viene anche chiarito che questa impostazione puo’ andar bene a livello di sistema-paese nell’obiettivo di distribuire annualmente le risorse, ma potrebbe non andar bene a livello di singola istituzione e certamente non va bene a livello del singolo ricercatore (oltre ovviamente a chiarire che non si puo’ stabilire una correlazione tra il livello della rivista ed il livello del singolo risultato pubblicato sulla rivista).
Sembra anche di capire che il sistema messo in piedi e’ frutto di un lavoro lungo ed approfondito, condotto con il coinvolgimento attivo dell’intera comunita’ scientifica.
Alle volte sarebbe bello portare qualcosa di scandinavo nel paese del sole…
Al di là di tutto, è sempre bene precisare che un lavoro (monografia, articolo o altro) per essere valutato deve essere letto: limitarsi a considerare il crattere prestigioso della sede in cui è ospitato può essere fuorviante. Soprattutto in certi ambiti, articoli di valore possono essere ospitati su riviste locali. Cito il caso dei lavori di toponomastica che proprio per il taglio dell’argomento sono spesso pubblicati su periodici legati a istituzioni locali.
I lavori vanno letti e giudicati. Pero’ la posizione del cun e’ condivisibile, perche’ cerca di fissare uno standard minimo di rivista scientifica, per evitare che qualche incappucciato aspiri alla cattedra solo perche’ ha pubblicato sul sole 24 ore.
Concordo. L’essenziale è che si operi sempre col necessario buon senso e alla luce del sole.
Purtroppo e’ assurdo e impossibile pretendere che le pubblicazioni scientifiche siano lette a scopo di valutazione. Primo: sono troppe. Ciascuno di noi ha nel suo curriculum 100 pubblicazioni o piu’ e questo dice tutto. Secondo: sono troppo specifiche e l’autore e’ mediamente molto piu’ competetente nel suo campo dei suoi valutatori. A tutti noi e’ capitato molte volte di rifiutare di fare il reviewer di un lavoro mandato ad una rivista scientifica perche’ l’argomento non rientrava nelle nostre competenze, sebbene fossimo stati scelti in quanto esperti dall’editorial board.
In breve: si devono usare criteri bibliometrici ma non si puo’ pretenedere che siano piu’ precisi di quello che sono. Per questo mediane, classifiche, etc. sono sbagliate in partenza: il massimo che si puo’ realisticamente fare e’ distinguere i ricercatori in due o tre gruppi: mediocri, bravi, eccellenti.
Concordo al 100% ! la questione è stata inutilmente complicata confusa cercando di contrapporre chi è a favore della bibliometria e chi è contro. Il problema non è la bibliometria, è l’uso che se ne fa – quando ovviamente la si costruisce su database completi, non per ricercatori ad inizio carriera ecc. Bastava leggersi questo un paio d’anni fa per non precipitare in questo stato confusionale https://www.roars.it/on-the-proper-use-of-bibliometrics-to-evaluate-individual-researchers/