Gli studenti maschi hanno competenze linguistiche inferiori rispetto alle studentesse femmine. Tra le cause c’è anche la disattenzione dei genitori per l’istruzione dei figli maschi. E, badate bene, la soluzione non è nei concorsi-sanatoria. Applicando la stessa metodologia utilizzata da Tito Boeri (ex presidente dell’INPS) per risalire alle cause del divario Nord – Sud, abbiamo indagato le radici del “gender gap” tra ragazze e ragazzi nei test di lettura. Scoprendo che questo marcato e persistente divario nella qualità dell’istruzione si spiega in gran parte con il diverso atteggiamento delle famiglie nei confronti dell’istruzione dei loro figli maschi. Come aveva scritto Boeri: “Tre indizi non fanno una prova, ma puntano tutti in questa direzione“. Seguiteci e vedrete come i rigorosi metodi argomentativi di Tito Boeri e Alessandro Caiumi gettino luce anche su questo preoccupante divario, indicando quale strada vada seguita per colmarlo. Un’altra dimostrazione dell’utilità dei test INVALSI, i cui risultati, soprattutto se intepretati con il rigore che contraddistingue alcuni economisti della Bocconi, possono offrire un aiuto concreto e scientificamente fondato alla riduzione delle disuguaglianze.
1. Il divario
Da ormai vent’anni i maschietti registrano punteggi nettamente inferiori a quelli delle femminucce nei test volti a stabilire le conoscenze linguistiche nel ciclo di studi. I test Pisa (Program for International Student Assessment) sulle competenze degli studenti di 15 anni mostrano in modo inequivocabile questa realtà. Il grafico che segue riportano i punteggi medi di cinque macro-aree italiane in lettura (italiano) nella prova del 2015.
Analogamente, i risultati delle prove Invalsi sia del passato sia dell’ultimo anno convergono tutti nel segnalare un ritardo che nel 2017, per esempio, arrivava fino a 12 punti percentuali negli istituti professionali.
Il risultato per l’anno scolastico 2018-2019 è ancora più significativo perché comprende per la prima volta gli studenti nell’ultimo anno di scuola secondaria superiore. Se poi si considera che gli studenti che abbandonano precocemente la scuola (cui dunque non viene somministrata l’indagine) sono spesso quelli dai risultati peggiori e che gli abbandoni affliggono soprattutto i maschi, si comprende come il divario maschietti-femminucce assuma contorni ancora più preoccupanti.
Il ritardo dei maschietti deve essere considerato come un’emergenza per tutto il paese: è come se per loro la scuola durasse quasi un anno in meno che per le femminucce.
2. Le cause
Cosa spiega un divario nella qualità dell’istruzione così marcato e persistente?
C’è una possibile interpretazione del divario maschi-femmine nella qualità dell’istruzione: i ritardi dei maschietti si spiegano in gran parte con il diverso atteggiamento delle famiglie nei confronti dell’istruzione dei figli maschi. Tre indizi non fanno una prova, ma puntano tutti in questa direzione.
Il primo indizio è che i punteggi dei test sono molto vicini fra maschi e femmine quando si considera la scuola primaria.
Le distribuzioni dei punteggi in seconda elementare appaiono infatti pressoché coincidenti e rimangono tali sino alla fine della scuola primaria. Il divario comincia ad aprirsi a partire dalla scuola secondaria inferiore, quando il carico dei compiti a casa diventa particolarmente oneroso e gli allievi non hanno ancora una chiara idea del valore dell’istruzione. Proprio in questo periodo della carriera scolastica, dunque, il ruolo dei genitori nel verificare l’impegno profuso dai loro figli maschi negli studi assume un’importanza primaria. Il grafico che segue illustra l’evoluzione del divario tra maschi e femmine nei punteggi di lettura rilevati dai test Invalsi 2017.
Il secondo indizio è rappresentato dal fatto che quando il confronto è fra le scuole con i migliori punteggi, le differenze tra maschi e femmine sono più contenute. Se poi limitiamo l’analisi ai licei, il divario tra maschi e femmine è minore di quello rilevato confrontando l’intero campione di scuole (vedi il grafico che segue).
È presumibile che i genitori dei ragazzi che frequentano le scuole migliori siano più interessati al percorso scolastico dei figli maschi e probabilmente più attenti all’impegno e ai risultati che ottengono, e anche più inclini a ponderare con cura le scelte scolastiche e gli investimenti nella loro formazione.
Il terzo indizio è che i genitori italiani sono meno propensi a prendere l’iniziativa di andare a parlare con gli insegnanti riguardo all’istruzione dei propri figli di quanto avvenga altrove. Se vanno a un colloquio coi docenti è perché sono stati invitati da questi ultimi a intervenire sui comportamenti dei propri figli, non per capire come valorizzare nel modo migliore l’investimento in istruzione. In Italia solo il 50 per cento dei genitori discute di propria iniziativa il comportamento dei figli, contro il 57 per cento degli altri paesi che hanno partecipato all’indagine Pisa. Un atteggiamento che penalizza soprattutto chi avrebbe più bisogno di supporto, ovvero i figli maschi.
3. Cosa fare
Se la principale fonte dei problemi è la scarsa attenzione di padri e madri per quello che i figli maschi imparano al di là del titolo di studio, il riscatto dei maschietti non può che passare attraverso un impegno straordinario degli insegnanti nei confronti non solo dei propri allievi, ma anche dei loro genitori.
In Italia non abbiamo università che formano gli insegnanti e le procedure selettive valutano unicamente gli aspetti cognitivi – le conoscenze delle singole materie – ma non le capacità didattiche e le abilità non cognitive (determinazione, carisma, capacità di relazionarsi con i genitori). Occorrono veri concorsi che abbiano luogo regolarmente (ogni anno dobbiamo sostituire circa 25 mila docenti) e che offrano una possibilità a molti giovani che vedono nella scuola un promettente sbocco professionale. Eppure, lo stesso giorno in cui venivano resi pubblici i dati ancora una volta deludenti sulla qualità dell’istruzione dei maschietti, la Camera ha approvato un decreto destinato a riempire fino a 70 mila posti vacanti da qui al 2022 soprattutto mediante stabilizzazioni automatiche di precari, sanatorie, riaperture di graduatorie e concorsi riservati. In altre parole, riservati a chi è già dentro la scuola e ha dimostrato nei fatti di non essere in grado di imprimerle quel salto di qualità di cui hanno bisogno i maschietti. Sarebbero invece necessari concorsi veri chiamando nelle commissioni d’esame quegli insegnanti che hanno saputo fare la differenza anche nell’aiutare i maschietti: loro più di chiunque altro conoscono la qualità di cui si ha bisogno per alzare la qualità dell’istruzione.
4. No, non siamo impazziti
Chi ha letto fino a qui, probabilmente starà pensando che questo articolo usa come pretesto i dati OCSE-PISA e INVALSI (che sono riportati fedelmente) per lanciarsi in ragionamenti privi di senso. La verità è che ci siamo limitati a riprodurre in modo pressoché letterale l’articolo Come ridare smalto alla scuola senza qualità del Sud, apparso sul blog lavoce.info a firma di Tito Boeri e Alessandro Caiumi. L’unica differenza è che abbiamo sostituito il divario Nord-Sud nei test INVALSI con il divario Femmine-Maschi nei test di lettura. Non è un parallelismo azzardato, perché il divario Femmine-Maschi esiste, è statisticamente significativo e la sua entità è paragonabile alla differenza tra Nord e Centro o a quella tra Centro e Sud.
Tornando al divario Nord-Sud, Boeri e Caiumi spiegano che il problema principale sono i genitori meridionali e che a dimostrarlo ci sono tre indizi:
- il divario si acccresce con l’età;
- nelle scuole superiori migliori il divario si riduce;
- i genitori sono meno propensi a prendere l’iniziativa di andare a parlare con gli insegnanti.
Il caso vuole che i primi due indizi valgano tali e quali per il divario Femmine-Maschi. Riguardo al terzo indizio, se i genitori italiani parlano poco con i docenti (come sostiene l’OCSE), è verosimile che ad essere più penalizzati (per la lettura) siano i figli più in difficoltà, ovvero i maschietti.
Ergo, se i maschietti hanno competenze linguistiche nettamente inferiori alle femminucce è tutta colpa dei genitori dei loro genitori e una grande missione attende i super-insegnanti del futuro che dovranno “fare la differenza” nei confronti non solo dei propri allievi, ma anche dei loro genitori menefreghisti.
Tutto ciò vi sembra un cumulo di sciocchezze? Difficile darvi torto, ma se vi sembrano solo parole in libertà, non prendetevela con noi. Abbiamo semplicemente cercato di metterci al livello della tipica discussione pubblica sull’interpretazione dei test INVALSI. In particolare, abbiamo ricalcato con minime modifiche un serissimo articolo pubblicato dal blog più ascoltato in tema di economia e istruzione dai governi di centro sinistra. Non ci aspettiamo per questo di essere chiamati a dirigere l’INPS.
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P.S. In matematica il gender-gap si inverte ed è di entità ancora maggiore. Volendo, ci sarebbe materiale per un altro esercizio di sociologia da bar, volto a dimostrare che è di nuovo colpa dei genitori (sempre loro!) i quali si disinteressano degli apprendimenti matematici delle loro figlie e che ciò pone una grande sfida agli insegnanti del futuro che bla, bla, bla …
Cosa si intende qui con “12 punti percentuali”? Se quel 12 deriva da 174-162, non mi sembra che siano punti percentuali ma piuttosto una differenza di punteggio non normalizzata.
Giusta osservazione. Stavo per correggere, ma dopo aver verificato che Boeri e Caiumi scrivono “i risultati delle prove Invalsi […] convergono tutti nel segnalare un ritardo che arriva fino a circa 20-25 punti percentuali fra il Sud e il Nord-Ovest o il Nord-Est del paese”, mi sembra giusto restare fedele all’originale. Dopo tutto, lo scopo è “metterci al livello della tipica discussione pubblica sull’interpretazione dei test INVALSI” ;-)
Sul Sussidiario, Tiziana Pedrizzi (preside in istituti tecnici di Milano, ricercatrice IRRE Lombardia, e responsabile PISA Lombardia 2003 e 2006) ringrazia lavoce.info per aver argomentato “ampiamente con documentazione statistica sulle differenze fra i risultati del Nord Italia e quelli del Sud”. Poi si spinge oltre Boeri e Caiumi, tirando in ballo anche la “cultura alta, tradizionalmente umanistica, tendenzialmente astratta, riservata alle élites “e il “compiaciuto atteggiamento paternalistico delle élite stesse”.
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Dobbiamo essere grati a lavoce.info che, contrariamente ad altri ambienti accademici di studi economici, non si dimentica della scuola. Nella sua ultima uscita due contributi tornano sul tema della scuola del Meridione, argomentando ampiamente con documentazione statistica sulle differenze fra i risultati del Nord Italia e quelli del Sud. […]
Forse, dunque, una spiegazione del mistero del Sud bisogna cercarla nell’abisso fra una cultura alta, tradizionalmente umanistica, tendenzialmente astratta, riservata alle élites e l’incultura, o meglio la subcultura, della “plebe”. E nel compiaciuto atteggiamento paternalistico delle élite stesse.
https://www.ilsussidiario.net/news/scuola-invalsi-le-colpe-delle-elite-spiegano-il-mistero-del-sud/1975812/
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Insomma, non c’è limite ai tesori che si possono estrarre dalla miniera degli esiti dei test INVALSI. Mi viene da commentare con la canzoncina che accompagnava le Fiabe Sonore edite dai Fratelli Fabbri:
A mille ce n’è
nel mio cuore di fiabe da narrar.
Venite con me
nel mio mondo fatato per sognar…
Non serve l’ombrello,
il cappottino rosso o la cartella bella
per venire con me…
Basta un po’ di fantasia e di bontà
Analisi imbarazzante. Non c’è alcuna prova per supportare un rapporto di causalità tra l’attitudine all’educazione dei genitori e la performance scolastica, solo alcune correlazioni. Anche l’articolo di Boeri è disarmante, incredibile come queste cose vengano prese sul serio
“Analisi imbarazzante”: sono il primo a essere d’accordo. Infatti, l’articolo è ironico. Non a caso, avevo seminato degli indizi (l’uso ripetuto dei termini “maschietti” e “femminucce”). E per chi non sapeva leggere tra le righe, c’è anche la spiegazione finale in cui si parla senza mezzi termini di “sciocchezze”, “parole in libertà” e “sociologia da bar”:
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“Tutto ciò vi sembra un cumulo di sciocchezze? Difficile darvi torto, ma se vi sembrano solo parole in libertà, non prendetevela con noi. Abbiamo semplicemente cercato di metterci al livello della tipica discussione pubblica sull’interpretazione dei test INVALSI. […]
P.S. In matematica il gender-gap si inverte ed è di entità ancora maggiore. Volendo, ci sarebbe materiale per un altro esercizio di sociologia da bar, volto a dimostrare che è di nuovo colpa dei genitori (sempre loro!) i quali si disinteressano degli apprendimenti matematici delle loro figlie e che ciò pone una grande sfida agli insegnanti del futuro che bla, bla, bla …
Faccine! Dovete mettere le faccine!
:-)
Differenze nei risultati scolastici, per come misurati dai test, si riscontrano in tutti i paesi e a vario livello: tra gruppi di studenti sulla base dello status socioeconomico delle famiglie; tra scuole; tra quartieri; tra regioni. Nei quartieri avvantaggiati sotto il profilo socioeconomico, i risultati medi degli studenti sono più elevati di quelli dei quartieri svantaggiati. Come mostrano numerosi studi, queste differenze non dipendono dal grado di attenzione dei genitori nei confronti dell’istruzione dei propri figli. Dipendono, invece, dalle condizioni familiari e dall’ambiente extra-familiare in cui si strutturano le relazioni sociali di bambini e ragazzi. Lo stesso dicasi per i divari regionali. Nei test Ocse-Pisa di matematica, il divario regionale è di 51 punti in Canada, di 65 in Kazakistan, di 66 punti in Australia e di 70 in Argentina e Messico. È difficile che anche in questi paesi sia l’attenzione dei genitori a spiegare i divari nei risultati scolastici. Questi risultano, invece, legati al livello di sviluppo socioeconomico delle regioni. Anche in Italia il gradiente Nord-Sud nei test è correlato a quello nello sviluppo economico.
In tutti i paesi, poi, le differenze nei test scolastici tra gruppi di studenti aumentano durante il percorso scolastico: per una serie di ragioni, le lacune nell’apprendimento si cumulano a quelle di partenza. Di nuovo, non esiste alcuna prova che ciò dipenda dall’attenzione dei genitori.
Il tema, com’è evidente, è di grande importanza: le disuguaglianze nell’apprendimento sono un effetto, ma anche una causa, delle disuguaglianze sociali. Segnalo, per chi fosse interessato, un mio commento al citato articolo di Boeri e Caiumi sul sito lavoce.info con replica dei due autori.
Io non trovo il tuo commento nè la risposta dei due autori Boeri e Ciaumi. E’ stato tolto?
Il commento è sulla home del sito lavoce
Bisogna vedere come si fanno i questionari. Io ricordi di aver letto di un questionario statunitense che aveva portato alla conclusione (scientifica!) che gli afroamericani fossero meno intelligenti. Cambiato il test, i risultati sono stati, come il buonsenso dice, non interpretabili in questo modo.
Noi sappiamo. Abbiamo il dovere morale di intervenire.