Prevedere il futuro è da sempre un’aspirazione dell’uomo. Lasciando da parte maghi e indovini, la capacità di prevedere è stata sempre legata allo sviluppo delle conoscenze, e per questo i sapienti di ogni epoca (o quasi) hanno avuto un certo prestigio. Ad esempio, uno dei libri più affascinanti delle civiltà precolombiane è il codice di Dresda, un manoscritto Maya del XI secolo, in cui si trovano riportate tavole astronomiche calcolate con una sorprendente accuratezza, che descrivono il moto orbitale di Venere, il calcolo delle sue fasi e le previsioni delle eclissi solari e lunari. Queste tavole sono state costruite grazie alla tabulazione dei moti periodici del Sole, della Luna e dei pianeti, frutto di centinaia di anni d’osservazioni.
Parecchi secoli dopo, in un’altra parte della Terra, l’affermazione del modello Copernicano e la successiva comprensione della legge di gravitazione universale da parte di Newton hanno permesso di eseguire calcoli molto più precisi, passando da un modello descrittivo a uno interpretativo e predittivo: da una teoria fisica si possono prevedere la posizione dei pianeti e della Luna risolvendo dei sistemi di equazioni. Nell’Ottocento Pierre Simon Laplace era convinto che una conoscenza infinitamente precisa ad un certo tempo delle posizioni e delle velocità dei pianeti, sarebbe stata sufficiente per una previsione delle loro posizioni e velocità in qualsiasi tempo futuro. Questo è, in effetti, il caso fino a quando si considera un sistema a due corpi, come ad esempio la Luna e la Terra, o la Terra e il Sole, in cui la soluzione del problema può essere ottenuta esattamente. Quando invece si considera l’interazione di tre o più corpi, ad esempio il sistema Sole-Luna-Terra o lo stesso sistema solare, le mutue interazioni gravitazionali di tali corpi danno luogo a moti molto complessi.
Henri Poincaré comprese che anche semplici sistemi composti di pochi corpi, ma con leggi dinamiche non lineari (come la gravità), possono mostrare un comportamento caotico in cui “piccole differenze nelle condizioni iniziali ne producono di grandissime nei fenomeni finali e un piccolo errore nelle prime produce un errore enorme nei secondi: la previsione diventa impossibile e si ha un fenomeno fortuito”. Questo è il famoso effetto farfalla: una farfalla che sbatte le ali in Brasile può causare un ciclone in Florida, nel senso che un a piccola perturbazione può causare, in determinate circostanze, molto rapidamente grandi cambiamenti nell’evoluzione futura di un certo sistema.
Quando il sistema mostra una dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali, la previsione del suo stato futuro cessa di essere ragionevolmente precisa dopo un certo tempo (detto di Lyapunov), che può essere calcolato a partire dalle leggi fondamentali e dalle caratteristiche del sistema stesso. Ad esempio per il sistema solare la previsione diventa inaffidabile (entro una ragionevole accuratezza sperimentale) dopo circa un milione di anni. Nel caso della meteorologia il problema, in principio, è molto simile: si conoscono le leggi dinamiche fondamentali e si possono misurare le condizioni del sistema a un certo tempo con una ragionevole precisione. La differenza con il moto dei pianeti sta nel fatto che nell’atmosfera il tempo di Lyapunov è dell’ordine di qualche giorno, il che impedisce di fare previsioni a lunga scadenza.
Per i terremoti la situazione è più difficile: infatti, le condizioni dinamiche di una zona sismica e le sue leggi di evoluzione non possono essere conosciute in maniera abbastanza dettagliata da poter fare una previsione a breve termine. Si può però comprendere, attraverso uno studio delle fonti storiche e delle caratteristiche geologiche e geofisiche, se una certa zona sia sismica il che poi implica che prima o poi vi sarà sicuramente un terremoto. I geofisici possono dunque costruire una mappa della pericolosità sismica del territorio, che rappresenta la sintesi delle conoscenze che si sono accumulate su di una determinata zona. Questa però presenta incertezze significative su di una variabile fondamentale: il tempo. Il geofisico Robert J. Geller scrisse dopo il devastante terremoto giapponese: “è ora di dire al pubblico francamente che i terremoti non possono essere previsti… Tutto il Giappone è a rischio terremoti, e lo stato attuale della scienza sismologica non ci permette di differenziare il livello di rischio in particolari aree geografiche. Noi dovremmo dire al pubblico e al governo di ‘prepararsi per l’imprevisto’ e fare del nostro meglio per comunicare sia quello che sappiamo che quello che non sappiamo”.
Le predizioni in economia sono decisamente più complicate: non solo non si conoscono le leggi dinamiche ma non è neppure chiaro se queste esistano e se siano universali nello stesso senso, ad esempio, della gravità. Sono però stati sviluppati e sono correntemente utilizzati dei modelli per descrivere matematicamente le fluttuazioni dei prezzi delle azioni nei mercati finanziari. Un’assunzione fondamentale in questo ambito, ipotizzata agli inizi del secolo scorso dal matematico francese Louis Bachelier, e utilizzata in modo più sofisticato dai modelli finanziari correnti, è che le variazioni dei prezzi siano statisticamente indipendenti: il prezzo di un’azione oggi è indipendente da quello di ieri, e quello di domani è indipendente da quello di oggi. Purtroppo l’assunzione di stazionarietà statistica, che è necessaria per costruire una teoria, nella pratica molto spesso non vale.
Secondo questo modellizzazione un crollo dei mercati come il martedì nero del 1987, la crisi delle economie asiatiche del 1997, l’attuale crisi finanziaria, dovrebbe avvenire una volta ogni centinaia di migliaia di anni o più. Gli economisti ortodossi invocano allora la presenza di calamità “naturali” esterne al modello che fanno sballare tutte le predizioni, e che causano eventi improbabili a ripetizione. Il matematico Benoit Mandelbrot sostiene invece che le assunzioni alla base di questi modelli ortodossi siano completamente sbagliate in quanto le grandi fluttuazioni dei prezzi sono la norma nei mercati finanziari e non delle aberrazioni che possono essere ignorate. La natura delle fluttuazioni nei mercati finanziari è strettamente connessa alla sottostante visione teorica macro-economica, e dunque anche politica. Se si trova che i mercati liberi sono efficienti e si auto-regolano verso una situazione di equilibrio, allora si cercherà di incentivare la loro liberalizzazione e deregolamentazione. Se invece si trova che i mercati liberi sono dominati da fluttuazioni selvagge e dunque intrinsecamente lontani da un equilibrio stabile, generando pericolosi squilibri e disuguaglianze, allora si cercherà di indurre un maggiore intervento dello Stato, cercando di migliorare l’efficienza di quest’ultimo, come ultimo regolatore. Robert Lucas, premio Nobel per l’economia, argomentava nel 2007, prima di essere clamorosamente smentito dai fatti, che una crisi economica non sarebbe potuta accadere poiché “se abbiamo imparato qualcosa dai passati 20 anni è che c’è parecchia stabilità incorporata nell’economia reale”. Dunque l’autoregolazione dei mercati finanziari è diventata un dogma piuttosto che essere un fatto da verificare empiricamente.
Nell’accademia ogni disciplina ha le sue metodologie e tecniche e i concetti sviluppati in un campo molto difficilmente riescono a penetrare in un altro, se non dopo anni di fatica e lotte intellettuali. Un confronto sul problema delle previsioni tra scienziati di diversa formazione è però urgente perché si rivela ogni giorno fondamentalmente importante la valutazione dei rischi di eventi estremi, dalla meteorologia ai terremoti, dalla diffusione dell’epidemia alle crisi economiche. Se il ruolo della scienza è di presentare le informazioni sui rischi, il ruolo dei media è riportarli correttamente all’opinione pubblica e il ruolo dei decisori politici è di considerare queste informazioni al fine di prendere le decisioni migliori per il bene pubblico: perché questa catena non s’interrompa c’è dunque bisogno di uno sforzo di comprensione vicendevole dei vari attori. Se ne discuterà al Museo MAXXI di Roma il prossimo 10 dicembre in un convegno dal titolo: “Si può prevedere il futuro? Ruolo e limiti della scienza”.